Il diffuso allarmismo sociale relativo alle violenze commesse in occasione di eventi sportivi ha avuto la funzione pratica di detonatore per quelle tendenze di riforma, e rimodulazione aspra, degli strumenti legislativi volti al contenimento del tifo organizzato.
Questa ipotesi di politica legislativa ha radici antiche, e risale al 1989[1], quando, pochi mesi dopo il nuovo codice del rito penale, che teoricamente doveva servire ad adeguare il processo penale italiano agli standard garantistici ed accusatori propri degli altri ordinamenti e di specifiche convenzioni internazionali[2], veniva invece concepita una legge che affrontava in modo non lieve il fenomeno della violenza sportiva, delineando sempre più concretamente la possibilità di usare norme ad hoc, anche in deroga ai principi generali dettati dalla Costituzione. La creazione di una classe normativa dedicata alle manifestazioni sportive, e agli eventuali illeciti commessi da supporters organizzati, si è definitivamente consolidata nel 2005, con un’accoppiata, sempre più scontata nella legislazione delle nuove emergenze, D.L.-legge ordinaria[3]: in questo caso, l’applicazione della normativa italiana sembrava essere pronta ad estendersi anche alle competizioni sportive disputate all’Estero. Il che, se non altro per opportunità strategica, si dimostrava strategia poco apprezzata, sia per l’obbligo perlomeno programmatico di leale cooperazione che dovrebbe informare i rapporti tra Stati, sia per il concreto rischio di conflitto di giurisdizione.
Le modifiche che risalgono al D.L. n. 8/2007 (cd “Amato-Melandri”), lungi dall’intervenire sulle dinamiche inflative che stanno contraddistinguendo la giustizia relativa a presunti fatti di violenza avvenuti negli stadi o in occasione di eventi sportivi, prevedono una lunga serie di inasprimenti a limitazioni già esistenti, e sostanzialmente ripropongono la strategia dilatoria già sperimentata: introduzione di norme ad hoc, che sono idonee a determinare procedimenti sin qui extra ordinem, modifiche più o meno incisive ad articoli del Codice sostanziale[4].
Il dibattito giurisprudenziale e dottrinario degli ultimi anni ha riguardato soprattutto la misura del DASPO (Divieto di Accedere alle manifestazioni SPortive), ciò specialmente perché essa si è dimostrata minare la nozione codicistica e costituzionale di flagranza del reato -introducendo ipotesi di flagranza differita sino a 48 ore- e, non secondariamente, perché lo strumento “DASPO” è stato individuato in modo almeno parzialmente inesatto dalla stessa giurisprudenza costituzionale, che gli ha attribuito natura preventiva[5], ma che non ha affrontato in modo soddisfacente il necessario rispetto del principio ex art. 16 Cost[6].
Né è sin qui emersa una netta strategia di coordinamento idonea a limitare i potenziali conflitti tra questo peculiare divieto e altre disposizioni costituzionali, come quelle desumibili in base al successivo art. 19[7], o ad altre “sezioni” ancora del testo costituzionale[8].
Chiariti gli antecedenti storici, non stupisce il tentativo di adottare per via amministrativa l’ulteriore “strozzatura” agli accessi della “tessera del tifoso”.
La terminologia adoperata nelle fonti ministeriali rimanda al tifoso ritualmente tesserato –recte, ad oggi: tesserando- come supporter “fidelizzato”. Per la sociologia dei movimenti collettivi e per l’antropologia culturale potrebbe trattarsi di una conferma, retroattiva, di intuizioni sviluppate da gran tempo. Sulla componente metropolitana del tifo sportivo, tralasciati gli istant books[9] che hanno spesso accompagnato singoli episodi luttuosi, ma che non forniscono ragguagli sostanziali fruibili anche dal giurista, è ormai accertata l’ansia di controllo e commercializzazione del fenomeno. Anzi, le tesi più significative sostengono la biunivocità della direzione[10].
Va inoltre precisato che parlare di “fonti ministeriali” significa avvalorare il deficit di performatività del decreto ministeriale sul punto[11], e perciò doversi richiamare alla direttiva[12], anch’essa a rischio di valutazione extra ordinem, in quanto non solo specificativa del già stabilito in atto ministeriale (e lo strumento non sembra congruo), ma persino, sì dettagliata, introduttiva dell’aliquid novi che non dovrebbe contraddistinguere la fonte esplicativa. Risulterà dall’analisi dei punti qualificanti[13]:
1. il primo punto della richiamata direttiva sembra subordinare la richiesta della tessera ad una scelta in capo all’acquirente del singolo tagliando o dell’intero abbonamento. Posto che, però, non vi è discrimine alcuno tra le due opzioni, è da chiedersi come mai nelle precedenti stagioni sportive si rivelò invalsa la pratica di garantire l’accesso per determinate manifestazioni ai soli titolari dell’abbonamento annuale e non anche ad acquirenti occasionali, la cui eventuale pericolosità sociale -sempre che possa essere questa la ratio giustificativa della previsione- dovrebbe a maggior ragione non essere correlata alla specificità dell’evento calcistico in atto[14];
2. al secondo punto si introduce un profilo apparentemente premiale nel possesso della tessera, ovverosia l’accesso alle tribune attraverso ingressi preferenziali. Ma delle due l’una: o la norma intende restare provvisoria e residuale, elitaria, per cui pochi titolari si troveranno certamente avvantaggiati rispetto alle normali code d’ingresso, o se il fenomeno resterà settario ed eventuale non può certo essere la più rapida confluenza allo stadio il grimaldello attraverso cui promuoverne la diffusione[15];
3. la “tessera” ha valenza identificativa solo rispetto alla manifestazione sportiva, salvo “[…] contingenti valutazioni degli Ufficiali ed Agenti di P.S. […]”;
4. nella prima parte del punto quarto sembra essere introdotto un principio di reciprocità tra società sportive (garantire l’ingresso ai rispettivi titolari delle tessere durante un incontro), e subito dopo però si enuncia espressamente il principio di prevalenza dei propri “fidelizzati”[16];
5. nei riguardi dei non tesserati, le società calcistiche, quasi venissero investite di autonoma potestà regolamentare, possono aumentare gli stewards, o (pare) addirittura prevedere orari d’accesso differenziati o comunque anticipati[17];
6. dal primo gennaio del 2010, probabilmente ancora una volta in conflitto col principio tutelato ex art. 16 Cost., i biglietti d’accesso al “settore ospiti” potranno essere destinati soltanto a possessori della tessera del tifoso[18]. Si noti che, magari per refuso, non si specifica se gli “ospiti” tesserati debbano esserlo necessariamente per conto della società sportiva che gioca in trasferta oppure no[19];
7. dalla stessa data, potrà abbonarsi soltanto chi è già in possesso della tessera predetta (l’automatismo è apparente, perché l’indicazione dovrà allora riferirsi all’anno 2010/2011, essendo concluse le campagne abbonamenti generali destinate all’annata in corso).
A corredo di quest’analisi testuale può allora argomentarsi che, se il difetto di comprensibilità giuridica è pure a monte, dietro la disciplina generale e contemporaneamente speciale relativa al fenomeno del tifo sportivo, proprio quegli atti destinati a fornire i dovuti chiarimenti operativi sembrano riproporre, o accrescere, incertezze, lacune e finanche perplessità d’ordine costituzionale suscitate dalle fonti primarie. Il che potrebbe non giovare in alcun modo al contenimento degli episodi di violenza.
Domenico Bilotti
[1] Cfr. l. 401/1989 (di multiforme contenuto, assimilabile al cd fenomeno della “legislazione [o “decretazione”] omnibus”, difatti “INTERVENTI NEL SETTORE DEL GIUOCO E DELLE SCOMMESSE CLANDESTINI E TUTELA DELLA CORRETTEZZA NELLO SVOLGIMENTO DI COMPETIZIONI AGONISTICHE”).
[2] L’intento va giustamente rapportato alla (tardiva) novella costituzionale -cfr. l. cost. 2/1999, la quale, come noto, irrobustiva il sistema di tutele e garanzie previsto ex art. 111 Cost.
[3] Il gioco delle modifiche in sede di conversione non migliora la leggibilità delle norme, né la fluidità del sistema. Cfr. D.L. 162/2005 et L. 210/2005.
[4] Cfr. artt. 339 (circostanze aggravanti relativi ai reati ex artt. 336–338 CP) & 583 (circostanze aggravanti relative alla lesione personale, altro settore dell’ordinamento oggetto di frequenti modifiche)CP, in specie art. 583-quater, ulteriormente “rimaneggiato” dalla l. 41/2007 di conversione con modifiche del decreto richiamato.
[5] L’iter argomentativo, pure consolidato, pare apodittico, perché non si discute di astratta ammissibilità dell’intervento della Pubblica Sicurezza, bensì della natura dei suoi provvedimenti. “[…] Il presupposto della eccezionale necessità ed urgenza, richiesto dall’art. 13 della Costituzione, affinché l’autorità di pubblica sicurezza possa temporaneamente adottare provvedimenti incidenti sulla libertà personale, al contrario di quanto ritiene il remittente, è pienamente vigente nell’ordinamento giuridico, rappresentando attualmente sia un presupposto dell’azione amministrativa, sia un criterio per il relativo giudizio di convalida effettuato dall’autorità giudiziaria. Come la Corte ha già avuto modo di affermare con riferimento ad altre misure restrittive della libertà personale emanate da autorità di pubblica sicurezza (sentenza n. 64 del 1977), il fatto stesso che tali misure siano qualificate dalla legge come facoltative – come accade nel caso di specie – obbliga il soggetto titolare del potere a "verificare la ricorrenza in concreto della necessità ed urgenza dell’intervento", consentendo, conseguentemente al giudice della convalida di verificarne l’effettiva esistenza. Il fatto che la legge, in ossequio all’art. 13 della Costituzione, abbia definito tassativamente i casi in cui il questore può imporre l’obbligo di comparizione, implica infatti che la stessa autorità di pubblica sicurezza debba motivare il provvedimento in relazione all’esistenza di situazioni di eccezionale necessità ed urgenza. La non automaticità del provvedimento e, quindi, la necessità di una sua ponderata motivazione e conformazione, richiedono anzitutto che l’autorità amministrativa, in presenza di un soggetto al quale ha irrogato il divieto di accesso, valuti comunque le ragioni di necessità e di urgenza che richiedono anche l’adozione dell’obbligo di comparizione […]”. Cfr. C. Cost. n . 512/2002 (grassetto sottolineato mio).
[6] Non rischia d’esser spropositato l’inquadramento della diffida nell’ambito delle “[…] limitazioni che la legge stabilisce in via generale per motivi di sanità o di sicurezza […]”? E se ragione della diffida fosse il contenuto di uno striscione, tuttavia non inneggiante a forme di odio razziale? È infatti innegabile che alcuna “[…] restrizione può essere determinata da ragioni politiche […]”.
[7] Dato il giorno tendenzialmente deputato alle manifestazioni sportive (quello domenicale), l’obbligo di comparizione potrebbe intralciare la presenza del destinatario ad una funzione religiosa, per quanto siffatta ipotesi possa apparire residuale o comunque facilmente arginabile, anche ove l’interessato alleghi le “gravi e documentate esigenze” che impediscano la comparizione materiale. Quid iuris nel valutare la documentabilità (o documentazione?) delle stesse, e la loro gravità, che induce a circoscriverle ad ambiti ancora più specifici, come le esigenze medico-sanitarie?
[8] Potrebbe prospettarsi, ripetendo certo le avvertenze di mera configurabilità avanzate nella nota precedente, un eventuale conflitto tra la misura irrogata e la qualificazione del voto ex art. 48 Cost, specie in caso di consultazione svolgentesi in un solo giorno settimanale.
[9] Ovviamente non si vuole avanzare una critica di tipo editoriale, anzi, pure singoli episodi possono essere inquadrati in uno studio più generale. Tuttavia, con qualche perplessità, cfr. M. STEFANINI, Ultras. Identità, politica e violenza nel tifo sportivo da Pompei a Raciti e Sandri, Milano, 2009.
[10] Un’analisi ancora più articolata si trova in V. MARCHI, Il derby del bambino morto. Violenza e ordine pubblico nel calcio, Roma, 2005, anche con alcuni profili di politica del diritto. Sul tifo come riscatto partecipativo dello spettatore all’evento, nel contesto d’un rifiuto d’applicazione di termini mercatori, cfr. per tutti C. DIONESALVI, Comunicazione e potere nello spettacolo calcistico, Cosenza, 1997.
[11] Cfr. D.M. (Interni) 15 agosto 2009 (cd “Decreto Maroni”).
[12] Cfr. http://www.altalex.com/index.php?idnot=47267.
[13] Ovviamente si intende avvalorare come l’istituzione e messa a regime della “tessera del tifoso” possa innegabilmente costituire fonte lesiva di diritti costituzionalmente garantiti, ma il rilievo, dal punto di vista giurisdizionale, non è invocato da parte della Corte Costituzionale, la quale non solo -come noto- non estende la propria attività sino ad atti regolamentari, ma addirittura, secondo giurisprudenza recente, neanche ove l’eventuale norma regolamentare (o di provenienza ministeriale) fosse espressamente richiamata in norma di legge o d’atto avente forza di legge. Cfr. ord. N. 389/2004.
[14] “[…]a chiunque la richiederà, contestualmente all’acquisto di un biglietto o all’esibizione dell’abbonamento […]”. Il sottolineato (mio) lascia intendere che, se l’abbonamento va esibito ed esso solitamente è sottoscritto prima dell’inizio della stagione regolare, le società, per ragioni impiantistiche oppure organizzative, non erano pronte a partire con tali “tesseramenti” sin dall’inizio della stagione in corso.
[15] “[…] dovranno essere previste “corsie dedicate” per i possessori della “tessera del tifoso” e dei loro familiari o accompagnatori […]”… E se l’accompagnatore fosse a sua volta un tesserato? O, invece, persona sfornita dei requisiti oggettivi e soggettivi necessari per ottenere il tesseramento?
[16] Cfr. “[…] le società che adotteranno il programma “tessera del tifoso” consentiranno la circolarità della tessera tra le tifoserie (fermo restando il principio della “prevalenza” dei propri fidelizzati), favorendo cosi l’accesso allo stadio ai possessori del titolo, anche se rilasciato da altre società o organismi sportivi del calcio […]”. Si noti incidentalmente che neanche l’organismo emittente sembra individuato sic et simpliciter, non comprendendosi se per “organismi sportivi del calcio” vadano intesi quelli già esistenti o altri in corso di istituzione per secondare l’iter applicativo del decreto.
[17] Cfr. “[…] al fine di garantire elevati standard di sicurezza per tutti gli spettatori i controlli presso i varchi dello stadio riservati ai tifosi sprovvisti della “tessera del tifoso” dovranno essere improntati al massimo rigore, anche prescrivendo alle società sportive l’obbligo di aumentare il numero degli stewards e di avviare campagne di comunicazione tese ad anticipare l’arrivo dei tifosi allo stadio […]”.
[18] Cfr. “[…]a decorrere dal 1 gennaio 2010 le società potranno vendere o cedere a qualsiasi titolo i tagliandi riservati ai settori ospiti esclusivamente ai possessori della “tessera del tifoso” […]”.
[19] La precisazione è meno peregrina delle apparenze, essendo consuetudine nel tifo calcistico che taluni gruppi organizzati seguano occasionalmente squadre diverse dalla propria in quanto “gemellati” (legati da rapporti di amicizia in qualche modo incoraggiati dai vari clubs e gruppi sportivi) coi sostenitori della formazione in trasferta.
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