Premessa
Il regime dell’adempimento collaborativo, o cooperative compliance, introduce, per la prima volta, nel nostro ordinamento giuridico e nelle altre giurisdizioni dei Paesi aderenti all’Ocse, una forma di cooperazione tra le due parti contrapposte del rapporto d’imposta, ossia tra il contribuente, soggetto passivo dell’obbligazione tributaria e l’Amministrazione finanziaria.
In buona sostanza, con l’adempimento collaborativo viene individuato un momento procedimentale ad hoc idoneo a stimolare il confronto tra i contribuenti e l’autorità fiscale, prima della trasmissione della dichiarazione tributaria, onde evitare che l’eventuale controversia, una volta definitiva, venga suggellata in un atto impositivo.
La peculiarità di tale regime è che, rispetto al passato, garantisce una maggiore cooperazione nonché dialetticità tra fisco e cittadino-contribuente, i quali si ritrovano ad operare in un contesto chiaro e trasparente che permette, in primo luogo, di contrastare i fenomeni di evasione fiscale e ridurre, al contempo, il carico del contenzioso tributario su fattispecie giuridicamente incerte.
Nel proseguo dell’elaborato si procederà all’analisi dei profili giuridici che connotano l’istituto dal punto di vista non solo meramente interno, ossia per quel che concerne l’ordinamento tributario italiano ma anche analizzandone i relativi aspetti in relazione alle altre giurisdizioni dei Paesi aderenti all’OCSE, ponendo l’accento, in particolare, sulla relativa applicazione all’interno dell’ordinamento fiscale francese.
L’origine internazionale dell’adempimento collaborativo e il ruolo centrale dell’Ocse nel recepimento all’interno dell’ordinamento tributario italiano
L’adempimento collaborativo, comunemente noto in ambito internazionale come cooperative compliance, è un regime previsto dagli ordinamenti tributari di quasi tutti i Paesi occidentali[1].
Suddetto istituto si sostanzia in forme di collaborazione tra contribuenti e autorità fiscali permettendo, così, al contribuente di verificare in anticipo, ossia prima del momento impositivo, se ha esattamente interpretato la norma tributaria che intende applicare e, nel caso di dubbio, può sollecitare l’Amministrazione finanziaria ad esaminare la fattispecie di controversa interpretazione, onde evitare contestazioni fondate su erronei presupposti.
In linea generale, mediante il coinvolgimento attivo del contribuente e moderando l’azione repressiva del fisco, si perseguono due obiettivi principali, da un lato la riduzione dell’evasione fiscale e dall’altro la progressiva diminuzione del carico del contenzioso tributario.
È stata l’OCSE a dare un primo significativo impulso agli Stati membri nell’introdurre strumenti di cooperazione rafforzata, mediante una serie di interventi[2] conclusosi, poi, con la pubblicazione, nel 2013[3], delle linee guida per consentire agli Stati aderenti di implementare i momenti di collaborazione tra i due soggetti del rapporto d’imposta.
In altre parole, il suggerimento dell’OCSE mirava ad implementare i momenti di confronto tra contribuenti e autorità fiscali, i cui rapporti dovevano incentrarsi sui principi di collaborazione, correttezza e trasparenza, mediante il coinvolgimento del contribuente nei momenti antecedenti alle scadenze fiscali. Inoltre, tutto quanto emerso dal dialogo preventivo doveva essere suggellato in accordi vincolanti tra le parti, di modo che il contribuente, uniformandosi agli indirizzi emersi, maturi quel grado di affidamento verso l’autorità di controllo, necessario a realizzare un rapporto collaborativo e duraturo nel tempo.
Volgendo lo sguardo all’ordinamento tributario italiano, con l’introduzione della Legge di delega fiscale n. 23, dell’11 marzo 2014 e il Titolo III del D.lgs. n. 128 del 2015, che ne è conseguito, è stato adottato in Italia un regime di prevenzione del “rischio fiscale” delle grandi imprese. Si parla, però, di adempimento collaborativo solo a partire dal mese di maggio del 2017, mese di pubblicazione del Provvedimento dell’Agenzia delle Entrate (Provv. del 26 maggio 2017, n. 101573).
Nello specifico, il quadro normativo nazionale in tema di cooperative compliance ruota intorno ai principi sanciti negli artt. 5, 6 e 9 della summenzionata Legge n. 23/2014, la quale a sua volta ha incaricato il Governo di individuare quelle norme che prevedono forme di collaborazione tra le imprese e le autorità di controllo, anche preventive rispetto alle scadenze fiscali.
Sempre la suddetta legge sottolinea come i contribuenti di maggiori dimensioni devono rendere noti, in un clima di certezza e trasparenza, i sistemi aziendali di “gestione e di controllo del rischio fiscale[4]”, permettendo così all’Amministrazione finanziaria di avere una completa cognizione delle fattispecie economiche realizzate dal contribuente e, quindi, migliorare l’assistenza fiscale prestata a quest’ultimo. Pertanto, l’adesione al regime comporta da un lato, l’obbligo per il contribuente di fornire una mappatura aziendale delle aree dove potrebbero annidarsi rischi di “non compliance”, ossia di evasione tributaria, dall’altra parte vengono riconosciuti al contribuente una serie di incentivi, sotto forma di minori adempimenti, nonché misure premiali quali ad esempio, la riduzione delle sanzioni amministrative, l’accesso agevolato ai rimborsi delle imposte, il riconoscimento di una sorta di protezione dai reati tributari[5].
Successivamente, il D.lgs. 128 del 2015, al Titolo III ha recepito completamente i principi espressi dalla legge delega, prevedendo come i soggetti aderenti al regime debbano munirsi di sistemi di monitoraggio e controllo del rischio fiscale, evidenziando quelle aree dell’impresa ove potrebbe verificarsi una perdita illegittima di gettito per l’erario.
L’art. 6 del citato decreto, rende noti gli effetti derivanti dall’adesione al regime di adempimento collaborativo, il quale permette alle parti, tramite un dialogo preventivo, di giungere ad un comune giudizio su fattispecie di dubbia interpretazione che, generalmente, riguardano temi quali l’abuso del diritto, del transfer pricing, della residenza fiscale e delle relazioni instaurate con i Paesi c.d. Black List.
Per conseguire gli effetti postulati, è necessario che l’Amministrazione venga percepita quale soggetto terzo ed imparziale che agisca nel pieno rispetto dei principi di trasparenza, ragionevolezza e di buon andamento, favorendo un contesto fiscale di assoluta certezza.
Venendo ai profili applicativi dell’istituto, l’accesso al regime prende avvio con l’iniziativa del contribuente, il quale trasmette all’Agenzia delle Entrate l’istanza di adesione, per cui è il contribuente a stimolare l’iniziativa delle autorità di controllo ed è sempre il contribuente che, mediante l’esibizione all’Ufficio della relazione sul funzionamento dell’impresa e sui relativi rischi fiscali, a fornire ai verificatori tutti gli elementi necessari per avviare la fase istruttoria. Infine, è ancora il contribuente a sottoporre all’attenzione dell’Ufficio i dubbi relativi all’interpretazione e/o applicazione di norme tributarie.
L’adesione a tale regime stimola l’innescarsi di un’attività procedimentale volta a concludersi non con l’emanazione di un avviso di accertamento, quindi con un atto impositivo unilaterale dell’Amministrazione finanziaria, ma con un possibile accordo, vincolante tra le parti, sull’effettiva obbligazione tributaria dovuta dal contribuente. Siffatta partecipazione, non è altro che mera espressione della funzione “giustiziale” dell’Amministrazione Finanziaria, considerato che detto preventivo dialogo funge essenzialmente da “filtro” da applicarsi nella fase che precede l’accertamento, il cui obiettivo è quello di avvicinare la situazione risultante dall’istruttoria alla verità economica-fattuale del grande contribuente.
Nel dettaglio, l’adesione al regime comporta che: 1) l’obbligo incombente sul contribuente di fornire periodicamente alle autorità fiscali le risultanze delle attività di controllo dei propri rischi fiscali. Successivamente, l’Ufficio procede ad un controllo sull’attività espletata; 2) le parti sono obbligate a pervenire ad un accordo in relazione a quelle fattispecie in cui potrebbero annidarsi rischi fiscali[6]; 3) ulteriori forme di partecipazione del contribuente, consistono nella facoltà di poter formulare, mediante il c.d. interpello abbreviato, quesiti all’Amministrazione finanziaria ovvero stimolare anticipatamente l’Ufficio all’esercizio dei propri poteri di controllo, nel caso in cui specifici elementi di fatto potrebbero far sorgere potenziali rischi fiscali.
Occorre precisare che tale regime non va confuso con l’istituto del contraddittorio endoprocedimentale: una volta che il contribuente ha fatto richiesta di adesione, sorge l’obbligo dell’Amministrazione finanziaria di ascoltarne le ragioni. A differenza del contradditorio preventivo, l’originalità dell’istituto risiede nell’anticipare le forme di interlocuzione con il contribuente ad un momento temporale che precede l’avvio e la conclusione dell’istruttoria e, naturalmente, prima della determinazione finale assunta dall’Ufficio. Dunque, mentre il contraddittorio endoprocedimentale si colloca in un momento che segue la fase istruttoria, ossia dopo la consegna del Pvc e prima dell’emanazione del provvedimento impositivo, l’interlocuzione, invece, precede qualsiasi fase amministrativa, anzi rappresenta l’inizio della stessa.
Altro punto di divergenza sono le finalità che connotano i diversi istituti, mentre il primo (il contraddittorio, per l’appunto) è preordinato alla salvaguardia nonché alla tutela dei diritti del contribuente inquisito, il secondo assolve una funzione meramente preparatoria rispetto alla futura istruttoria tributaria, per cui al seguito del dialogo, l’Ufficio può procedere o meno all’espletamento dei propri poteri di controllo.
Altra peculiarità dell’istituto che ne circoscrive, allo stesso tempo, l’originalità risiede nell’oggetto dell’interlocuzione; generalmente, il contribuente, in sede di contraddittorio è chiamato a pronunciarsi in relazione ad un presupposto giuridico già concretizzatosi, invece, attraverso l’istituto delle interlocuzioni, le parti accertano, discutono ed esaminano fattispecie economiche non ancora realizzate o, se realizzate, non ancora dichiarate. Quindi, questo tipo di dialogo permette al contribuente di prospettare all’Amministrazione finanziaria una fattispecie economica non ancora palesatosi nella realtà, che supponga possa generare potenziali rischi fiscali. Per tale effetto, l’Amministrazione è tenuta ad elaborare una risposta in merito alle disposizioni tributarie da applicarsi.
In conclusione, l’adempimento collaborativo permette alle autorità fiscali di interloquire con i contribuenti, ossia di intrattenere interlocuzioni costanti con le imprese ed è proprio questa maggiore dialetticità, voluta dal legislatore, che contraddistingue tale istituto rispetto a quello del contraddittorio endoprocedimentale. Non si tratta di un momento circoscritto e procedurale in cui le parti sono chiamate a far valere i propri interessi contrapposti, ma di uno “spazio istruttorio”, ossia funzionale ad acquisire elementi e a valutare in concreto le operazioni economiche che il contribuente porrà in essere.
Ebbene, un siffatto dialogo permetterà all’Amministrazione, una volta acquisiti tutti gli elementi necessari e dopo aver preso piena conoscenza della realtà economico-giuridico nel cui perimetro il contribuente di grandi dimensioni opererà, di applicare in modo imparziale le leggi d’imposta, cosicché da “gettare le basi” affinché si crei un rapporto confidenziale e di reciproca fiducia tra i due soggetti del rapporto d’imposta.
Cooperative compliance senza più confine: scenario globale e in particolare la nouvelle relation de confiance tra Fisco e imprese nell’ordinamento tributario francese
La cooperative compliance o regime di adempimento collaborativo, si basa su di un nuovo rapporto tra l’Amministrazione finanziaria e le grandi imprese, o “grandi contribuenti”, fondato non più sull’antagonismo ma, piuttosto, sull’interazione reciproca.
Si tratta di un istituto che nasce nel più generale contesto internazionale, grazie alla spinta riformatrice dell’OCSE, per cui non solo l’Italia ha adottato tale regime ma anche la Francia, il Regno Unito, l’Olanda, l’Australia, il Canada e, nonostante la riottosità iniziale anche la Germania, la Finlandia, l’Irlanda e, persino, la Russia.
In Australia, ad esempio, da anni è vigente l’Annual Compliance Arrangement (ACA). Si tratta, nella specie, di uno strumento che si applica, in via esclusiva, ai grandi gruppi transnazionali e alle multinazionali. A seguire il Canada con il New Approach to Large Business Compliance, avviato nel 2010. Un programma ed una procedura più chiusa rispetto all’iniziativa australiana. In Finlandia invece ci imbattiamo in un progetto pilota in materia di cooperative compliance i cui esordi risalgono al 2013. Al momento, gli esiti iniziali sono ancora in fase di studio.
Particolare è il caso tedesco. In Germania, infatti, non esistono sistemi né modelli di cooperative compliance su base federale. Al contrario di altri Paesi, sono invece in vigore diversi progetti di collaborazione stile cooperative ma gestiti interamente a livello regionale, ovvero, da ogni singolo Lander. Ciò deriva dal fatto che il potere impositivo in Germania è tradizionalmente spostato anche a favore delle autorità regionali, non esclusivamente sul governo centrale.
In Olanda, invece, lo schema collaborativo tra fisco e grandi imprese adottato è noto come “Horizontal Monitoring”, mentre nel Regno Unito è stato adattato il sistema di Tax Compliance Program, entrambi introdotti a partire dal 2005.
Nello specifico, l’analisi verterà sul regime di adempimento collaborativo previsto nell’ordinamento tributario francese, ove si assiste ad una progressiva evoluzione dei rapporti tra Fisco e imprese all’insegna del dialogo, della fiducia e della certezza del diritto. L’Amministrazione fiscale francese rivoluziona e arricchisce i propri servizi alle imprese, introducendo nuovi strumenti di consulenza, informazione e supporto orientati ad aumentare la trasparenza e la fiducia degli operatori nella risoluzione delle proprie situazioni fiscali.
Con la legge sulla pubblica amministrazione approvata il 10 agosto 2018, nota come “Essoc” (État au service d’une société de confiance), lo Stato francese da una parte ha introdotto il “diritto all’errore” per il cittadino che opera in buonafede nelle relazioni con la pubblica amministrazione e dall’altra ha stabilito che i rapporti tra i cittadini e lo Stato debbano svolgersi secondo principi di dialogo e fiducia reciproca[7].
Il nuovo partenariat fiscal costituisce la traduzione francese della cooperative compliance di ispirazione Ocse.
Les petites et moyennes entreprises (PME) potranno sottoscrivere un accordo di partenariato con l’Amministrazione fiscale e aprire così un canale di dialogo diretto con il team di consulenza del Fisco, creato ad hoc all’interno della Direzione grandi aziende (DGE) delle Entrate. I consulenti del Fisco si occuperanno, in particolare, di offrire chiarimenti sugli aspetti fiscali connessi alla crescita del business e all’innovazione dell’impresa.
Anche le altre misure intervengono sui rapporti tra Fisco e imprese, introducendo elementi di trasparenza, collaborazione, maggiore certezza da applicarsi alla vita d’impresa[8].
È il caso della démarche spontanée de mise en conformité, che consiste nella possibilità per gli operatori di richiedere spontaneamente al Fisco come potersi mettere in regola godendo di sanzioni ridotte in specifici casi di irregolarità, per esempio nel caso di acquisizione di una nuova azienda con anomalie fiscali da sanare. Le imprese avranno inoltre la possibilità di richiedere a tiers de confiance, professionisti “terzi di fiducia” (per il momento potranno essere riconosciuti come tali i commissaires aux comptes) una certificazione di conformità fiscale riguardo a determinati aspetti contabili e tributari. In caso di controlli, responsabili di eventuali errori saranno gli stessi professionisti, fatta salva la buonafede da parte del contribuente.
Ulteriori cambiamenti hanno riguardato la rivisitazione in chiave di maggiore trasparenza e semplicità della procedura di accesso ai rescrits fiscals, ossia le richieste di pareri vincolanti da parte della Direction générale des Finances publiques per l’interpretazione di una specifica disposizione tributaria, e nuove regole nelle procedure di controllo da parte dei funzionari del Fisco, sempre secondo un maggior ricorso al dialogo.
Infine, viene inaugurato un servizio ad hoc per le aziende attive in campo internazionale. La Direction générale des Finances publiques, infatti, si è offerta di dare supporto agli operatori francesi nelle loro relazioni con le amministrazioni fiscali di altri Stati.
Profili critici del modello e considerazioni conclusive
L’adempimento collaborativo è un vero e proprio istituto di cooperazione tra Fisco e contribuente che permette di instaurare un dialogo nel momento antecedente alla fase istruttoria. Tramite, quindi, la partecipazione del contribuente si attua un vero e proprio confronto tra fisco e imprese che permette di conoscere l’indirizzo interpretativo dell’Amministrazione finanziaria in ordine a specifiche operazioni economiche.
Di matrice internazionale, sulla spinta dell’Ocse tale regime è stato adottato da quasi tutti i Paesi aderenti.
Si osserva, sul punto, come l’A.F. nel proprio agire deve muoversi intorno al perimetro delimitato dai principi di buon andamento, imparzialità e trasparenza istituendo, così, un ambiente fiscale certo, in applicazione al principio del legittimo affidamento, che nel nostro ordinamento tributario è sancito dall’art. 10, comma 2, dello Statuto dei diritti del contribuente.
Dunque, affinché si possano concretamente realizzare gli obiettivi prefissati dal legislatore, ossia la riduzione dei fenomeni evasivi mediante la sollecitazione all’adempimento collaborativo e, al contempo, la progressiva riduzione del carico del contenzioso tributario, è necessario che le parti si impegnino reciprocamente a mantenere un clima di cooperazione e lealtà reciproca.
Nonostante lo scenario idilliaco, l’implementazione dei momenti di confronto non è immune da critiche.
In primo luogo, bisogna osservare come l’applicazione regime investe solamente le grandi imprese, provocando una disparità di trattamento rispetto a quei contribuenti che non rientrano nel relativo campo di applicazione; in secondo luogo, si assiste all’assenza di coordinamento tra le amministrazioni finanziarie che sono parte del procedimento di adempimento collaborativo, ossia l’Agenzia delle Dogane e la Guardia di finanza.
Nel dettaglio, quanto al primo aspetto, riservando l’istituto della cooperative compliance alle sole imprese di grandi dimensioni, verrebbe a crearsi una sorta di privilegio per il quale solamente un “club ristretto” avrebbe modo di dialogare con il fisco ed, inoltre, sarebbe inconcepibile pensare ad un fisco “a due facce”, ossia uno collaborativo in relazione a determinate categorie di contribuenti e un fisco ordinario con altre, dando vita ad una paradossale ed inconcepibile disparità di trattamento.
Quanto al secondo aspetto, l’assenza di coordinamento tra l’Agenzia delle Entrate e le altre amministrazioni operanti nel settore fiscale, comporterebbe in concreto un rischio per il contribuente aderente, visto e considerato che la maggioranza dei controlli presso la sede del contribuente viene eseguita dal Corpo della Guardia di finanza.
Per le motivazioni su esposte è necessario, nel caso di implementazione del regime, in primis estenderne l’ambito applicativo, al fine di evitare situazioni di disuguaglianza e poi di garantire un maggior coordinamento delle operazioni fra tutte le autorità fiscali.
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Note
[1] Seguendo le indicazioni dell’OCSE, alcuni ordinamenti fiscali dei Paesi occidentali hanno istituto specifici regimi collaborativi tra contribuenti e autorità fiscali, con lo scopo di ridurre i fenomeni evasivi e, allo stesso tempo, le controversie tributarie. Per completezza espositiva, qui di seguito, si elencano alcuni tra i più significativi modelli di cooperative compliance attualmente in vigore tra i Paesi membri dell’OCSE: il sistema di Tax Compliance Program adottato dal Regno Unito; la Compliance Assurance Program adottato negli Stati Uniti d’America; la Taxpayers Engagement Strategy adottata dal Sud Africa; il c.d. Horizontal Monitoring adottato dall’Irlanda e dai Paesi Bassi.
[2] Cfr. OECD, Taxpayers rights and obligation. A survey of the legal situation in OECD countries, 1990. Con tale rapporto, essenzialmente veniva evidenziato come le contestazioni fiscali non procedute dalla partecipazione del contribuente alla fase istruttoria eseguita dall’autorità di controllo, avrebbe potuto compromettere la fiducia e la stabilità dei rapporti coinvolti, fungendo da deterrente agli investimenti e alla crescita economica in detti paesi. Le medesime osservazioni sono state ribadite, sempre dall’OCSE, nel rapporto del 2008, OECD, Annual Report, 2008 Guidelines for Multinational Enterprises, dell’11 marzo 2009. Questo documento ha rimarcato la necessità, negli ordinamenti tributari, di addivenire a forme di cooperazione tra contribuenti di grandi dimensioni e Amministrazioni finanziarie.
[3] Nel 2013, l’OCSE ha pubblicato il successivo rapporto denominato Cooperative Compliance: A Framework. From Enhanced Relationship to Cooperative Compliance, per mezzo del quale sono stati approfonditi i concetti di “relazione rafforzata” e di “adempimento collaborativo”.
[4] Il Provv. Dell’Agenzia delle Entrate, n. 101573 del 26 maggio 2017, definisce il “rischio fiscale” quale rischio di operare in violazione delle norme tributarie ovvero in contrasto con i principi e le finalità dell’ordinamento giuridico.
[5] L’art. 6, comma 4, D.LGS. 128/2015, sulla scia dell’art. 6 e 8 della Legge delega n. 23/2014, specifica come i soggetti potenzialmente esposti a contestazioni di natura penale, possano chiedere all’Agenzia delle Entrate di trasmettere al P.M. la loro adesione al regime collaborativo, al fine di attenuare o escludere la colpevolezza in relazione all’eventuale illecito contestato.
[6] A mo’ di esempio, il contribuente deve informare l’A.F. in merito a quelle operazioni transnazionali che potrebbero sfociare in aggressive tax planning, poi sarà l’Ufficio a fornire le proprie indicazioni a cui le imprese possono decidere di conformarsi o meno.
[7] Cfr. a “Entreprises et administration fiscal: une nouvelle relation de confiance” in République Française, impots.gouv.fr.
[8] Les parties observent les principes de coopération suivants: 1) transparence et clarté dans l’échange d’information; 2) disponibilité et célérité; 3) pragmatisme et prise en compte des contraintes de chaque partie. Ces principes alimenteront la connaissance et la confiance mutuelles sur la base desquelles les deux parties pourront développer une relation de travail de plus en plus efficace.
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