TikTok: stop del Garante alla pubblicità mirata senza consenso esplicito

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Il 7 luglio scorso, con un provvedimento in urgenza, il Garante per la Protezione dei Dati Personali ha chiesto a TikTok di interrompere immediatamente l’invio di pubblicità mirata ai suoi utenti.

Il Garante ha rilevato infatti che il social più utilizzato da giovani e giovanissimi ha modificato la propria privacy policy in modo da poter inviare ai propri utenti maggiorenni pubblicità personalizzate profilando gli utenti. Tuttavia, la base giuridica utilizzata per questa operazione di marketing non è stata individuata, come sarebbe stato corretto, nel consenso degli interessati, ma nel legittimo interesse del Titolare. Nella stessa nota, l’Autorità ha espresso preoccupazione per il fatto che TikTok non riesca ad identificare i propri utenti minorenni, diversamente da quanto aveva dichiarato all’indomani dell’indagine avviata sempre dal Garante a seguito della morte di una bimba di soli 10 anni, a Palermo (di cui abbiamo parlato in questo articolo).

Per il momento il Garante ha semplicemente mandato un “avvertimento formale” al social network, riservandosi di sanzionarlo in un momento successivo, ma TikTok ha già dimostrato un comportamento considerato spregiudicato per i guardiani della privacy, in quanto i suoi impegni per la tutela dei diritti dei più piccoli pare siano rimasti solo sulla carta.

Il provvedimento in commento è solo l’ennesimo tassello della “guerra dei dati” che vede da un lato le società che gestiscono social e le Big Tech americane e dall’altro le Autorità indipendenti europee e lo stesso Garante Europeo, che pressano per un accordo politico per il trasferimento dei dati tra UE e USA.

Le pubblicità sui social network, dove tutto è apparentemente gratuito, sono ciò che porta linfa (e quindi fatturato) alle società che le gestiscono.

Come funziona l’algoritmo che permette al social di conoscere i nostri gusti meglio ancora dei nostri genitori, della nostra migliore amica, dei nostri partner e persino di noi stessi?

Ogni interazione che compiamo sui social mette un piccolo, ma indispensabile tassello al nostro profilo: ogni like che lasciamo, ogni commento, ogni condivisione, persino quanti secondi ci soffermiamo su un contenuto o su ogni singola foto; la velocità con cui “skippiamo” quello che non ci interessa e la ricorrenza con cui invece ritorniamo su ciò che ci ha colpito. Tutto questo, unitamente a quello che postiamo noi, ogni secondo di ogni giorno raffina il nostro profilo.

Arriverà un momento in cui il social sarà in grado non solo di conoscere i nostri gusti, ma anche di prevederli, di sapere i nostri sogni, ambizioni, speranze, paure, aspirazioni. Non è fantascienza, è realtà, e non è magia: è semplicemente l’utilizzo dei dati che le società che gestiscono i social operano, e lo fanno (o almeno dovrebbero farlo) col nostro consenso, perché siamo noi che glielo permettiamo, quando clicchiamo “accetta tutto” senza nemmeno premurarci di leggere.


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Non poter utilizzare i dati dei propri utenti in modo mirato e profilato, per veicolare messaggi pubblicitari che raggiungano obiettivi caldi, sensibili, perfettamente in target, potrebbe costituire un danno economico inimmaginabile: per questo motivo, non solo TikTok, ma anche le società dell’universo Meta di Zuckerberg hanno minacciato più volte di abbandonare l’Europa, se non si troverà un accordo per il transito (e l’utilizzo) dei dati dall’altra parte dell’Atlantico.

Possiamo immaginare un mondo, o meglio un’Europa, senza Instagram, Facebook e WhatsApp? Naturalmente no, ma allo stesso modo le stesse Instagram, Facebook e WhatsApp non possono immaginare di sopravvivere senza il bacino di utenti europei, considerando che il solo Facebook conta  più di 300 milioni di account nel vecchio continente.

L’accordo politico rimane l’unica via percorribile, ma sarebbe auspicabile che le stesse società che gestiscono i social facessero un uso meno spregiudicato e più consapevole del patrimonio che possiedono, che è poi, in sostanza, la stessa vita di milioni di persone in tutto il mondo.

Purtroppo, se da un lato mancano volontà politica e capacità di impegnarsi da parte delle aziende, dall’altro siamo noi utenti i primi a dimostrare di tenere in scarsissima, per non dire nulla considerazione i nostri dati, laddove pur di usufruire dei servizi messi a disposizione dei social e di acchiappare like mettiamo alla mercè di non sappiamo nemmeno noi chi le vite nostre e quelle dei nostri figli, che abbandonati nel mondo digitale senza consenso né criterio diventano facile fonte di profitto e bersaglio dell’ennesimo messaggio pubblicitario di cui, fino a quel momento non sapevamo nemmeno di avere bisogno.

Con una prontezza che ha positivamente impressionato l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati Personali, in ogni caso, TikTok ha sospeso il passaggio al legittimo interesse come base giuridica per la pubblicità personalizzata e targettizzata rivolta alle persone maggiori di età.

Il Garante ha preso atto di questa decisione che ha ritenuto “responsabile” e si è dichiarato aperto al dialogo con i vertici del social, che possa trovare una sintesi tra i diritti degli interessati, sempre prevalenti, e gli interessi economici e di business dell’azienda.

Il rischio, nell’impossibilità per TikTok di stabilire l’effettiva età dei propri utenti, è stato individuato, tra l’altro, nella possibilità che le pubblicità raggiungessero anche persone minori di età, oltre che nell’errata base giuridica posta a fondamento del trattamento.

Anche l’Autorità Garante per la Protezione dei Dati d’Irlanda, Paese in cui TikTok ha il proprio stabilimento europeo principale, è stata coinvolta e siede al tavolo delle trattative, unitamente al Garante Europeo.

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