- I presupposti processuali e l’interesse a ricorrere. –Preliminare allo studio dell’impugnabilità di atti di diversa natura, cioè riconducibili a diverse tipologie, appare il richiamo, necessariamente sintetico, di alcune nozioni relative ai presupposti di un ricorso giurisdizionale.
Questi, come è noto, possono essere distinti in presupposti di ricevibilità e procedibilità, da una parte, e presupposti di ammissibilità, dall’altra, con il presupposto della competenza del giudice adito, nel mezzo. La categoria dei presupposti di ammissibilità, o condizioni dell’azione, comprende le “condizioni la cui mancanza impedisce al giudice (…) di esaminare la fondatezza della domanda proposta dalla parte (…): il disconoscimento dell’esistenza delle condizioni dell’azione dà luogo ad una pronuncia di inammissibilità che, a differenza di quanto accade nell’ipotesi di accertamento dell’assenza di un presupposto processuale, preclude ulteriori possibilità di ottenere una decisione sul merito della domanda, almeno finchè tale esistenza non si verifichi”[1]. Tra questi, la legittimazione ad ottenere la decisione, l’interesse alla decisione, la mancanza di una rinuncia alla proposizione del ricorso (o di una acquiescenza all’atto impugnato)[2].
Ora, mentre questi stessi elementi sono compresi anche fra i presupposti di ricevibilità, e devono quindi essere presenti al momento della presentazione del ricorso, anche se soltanto alla stregua delle affermazioni del ricorrente, e i presupposti di procedibilità comprendono tutti quegli adempimenti ai quali il ricorrente è tenuto, sotto pena di decadenza, unitamente o successivamente alla presentazione del ricorso, i presupposti di ammissibilità, invece, devono sussistere effettivamente affinché si arrivi ad una pronuncia sul merito.
In quest’ottica, si può affermare che per essere legittimato ad ottenere la decisione (requisito da non confondere con l’interesse all’impugnazione, che va considerato un presupposto di ricevibilità) il ricorrente non solo deve essere effettivamente titolare di un interesse sostanziale (interesse legittimo o, nel caso di giurisdizione esclusiva, anche diritto soggettivo), ma tale interesse deve anche avere subìto una lesione da parte dell’atto amministrativo impugnato[3].
L’interesse alla decisione, poi, che è evidentemente un interesse processuale, corrisponde sostanzialmente all’<interesse ad agire> previsto dall’art.100 c.p.c., in base al quale “per proporre una domanda o per contraddire alla stessa è necessario avervi interesse”, e dipende dal fatto che il ricorrente sia effettivamente in grado di ricevere un vantaggio da una decisione di accoglimento.
Come è stato precisato, “l’interesse in esame si differenzia dall’interesse, per evitare il pregiudizio del quale il ricorrente agisce, e, pur quando questo non manchi, sussiste solo in quanto l’accoglimento del ricorso sarebbe in grado di attribuire al ricorrente…una qualche utilità”[4].
L’interesse al ricorso deve cioè superare la cosiddetta prova di resistenza, occorrendo valutare in concreto, per ritenere ammissibile il ricorso, se l’accoglimento di quest’ultimo sia in grado di produrre una certa utilità, anche solo potenziale, in favore del ricorrente[5].
Sia l’interesse sostanziale protetto che l’interesse ad agire, però, debbono possedere i caratteri della personalità e dell’attualità, cioè devono essere interessi propri del ricorrente e devono sussistere al momento della controversia[6].
La giurisprudenza richiede che l’interesse ad agire debba essere presente non soltanto al momento della decisione, perché in tal caso si avrebbe decisione di rito in ordine alla sopravvenuta carenza di interesse, ma anche al momento della proposizione del ricorso, perché i ricorsi giurisdizionali amministrativi non sono dati in difesa di posizioni giuridiche non ancora nate[7]. La lesione che l’interesse sostanziale deve avere necessariamente subìto per permettere al ricorrente di impugnare il provvedimento deve essere concreta ed attuale, vale a dire che non può essere eventuale o potenziale e deve sussistere tanto al momento della proposizione del ricorso che in quello della decisione (in quest’ultimo caso verrebbe dichiarata la cessazione della materia del contendere)[8]. Inoltre la lesione deve colpire direttamente l’interesse sostanziale a protezione del quale si agisce, e non in maniera mediata dalla lesione di un altro interesse[9].
In sintesi, quindi, può avere titolo a che un giudice amministrativo si pronunci sul merito di un ricorso “soltanto chi faccia valere una lesione recata in modo diretto e attuale ad un proprio interesse personale e attuale, protetto dall’ordinamento, e abbia un interesse – anch’esso personale e attuale – alla pronuncia richiesta”[10].
La necessità di tali presupposti condiziona la possibilità di ritenere impugnabili atti riconducibili a tipologie molto diverse l’una dall’altra, cioè ad affermare, correlativamente, l’onere della loro impugnazione a carico dei soggetti destinatari dei loro effetti. Proprio queste premesse, pertanto, consentono di individuare gli elementi comuni o differenzianti le diverse categorie di atti o provvedimenti, e quindi i motivi, a volte analoghi a volte diversi, per i quali un atto non è impugnabile, o se si preferisce non è configurabile un relativo onere di impugnazione.
- Gli atti confermativi, consequenziali ed esecutivi. – Così, per quanto attiene alla concretezza ed attualità della lesione, in relazione all’efficacia dell’atto, in giurisprudenza si esclude l’interesse ad impugnare gli atti ancora soggetti a controllo preventivo, gli atti preparatori e infraprocedimentali, le circolari, proprio perché non incidono ancora concretamente nella sfera giuridica dei destinatari[11]. Tali atti, infatti, ove siano viziati, incidono su interessi sostanziali soltanto indirettamente, cioè tramite l’invalidità derivata dell’atto in funzione del quale furono emanati, con la conseguenza che l’interessato si limiterà ad impugnare l’atto derivato o definitivo per il vizio suo proprio derivatogli dal primo[12].
Anche gli atti confermativi ed esecutivi non sono impugnabili, perché in nulla innovano le situazioni giuridiche, limitandosi a ribadire e mantenere ferma una precedente determinazione, nel caso dell’atto confermativo, e ad eseguire semplicemente un precedente atto, per gli atti esecutivi[13].
L’atto confermativo in quanto tale, dunque, non è impugnabile, da un lato perché consentendo la sua impugnazione si consentirebbe al ricorrente di eludere i termini che egli avrebbe invece dovuto rispettare con l’atto confermato, dall’altro per carenza assoluta di interesse al ricorso, perché questo, anche in caso di suo accoglimento, non è in grado di rimuovere la lesione già prodotta dall’atto precedente divenuto inoppugnabile (ovviamente nel caso in cui quest’ultimo atto fosse a sua volta lesivo e quindi impugnabile)[14].
Vi sono poi quegli atti, chiamati consequenziali in senso stretto, che, seguendo ad un provvedimento di per sè compiuto ed autonomo, lo presuppongono e ne costituiscono il consequenziale svolgimento, necessario per dargli esecuzione[15]. Deve trattarsi di atti che presentino a loro volta una certa autonomia, per essere dotati di un contenuto anche solo parzialmente discrezionale, dimodochè la regola è sempre quella dell’impugnabilità separata sia dell’atto presupposto che di quello consequenziale, sempre che nei confronti di quest’ultimo non si facciano valere censure di legittimità che risalgano all’atto presupposto, per invalidità derivata.
In questo caso, la negazione dell’impugnabilità dell’atto consequenziale può discendere, come nel caso dell’atto confermativo, dall’osservanza del principio della perentorietà del termine, nel senso che se questo non è stato osservato per l’impugnazione dell’atto presupposto, che fosse però immediatamente lesivo, l’inoppugnabilità per quest’ultimo atto determinatasi si riflette anche nei confronti dell’atto consequenziale[16]; salva comunque la possibilità che l’atto consequenziale venga impugnato per vizi propri, autonomi e non derivati dall’atto presupposto[17].
In ogni caso, occorre che l’atto consequenziale non sia un atto meramente esecutivo, privo cioè di un contenuto anche solo parzialmente discrezionale. In caso contrario, la ricorribilità contro il medesimo è esclusa dall’impossibilità di rimettere in discussione la validità dell’atto che esso esegue, ormai divenuto inattaccabile per non essere stato impugnato nei termini[18]. L’atto di mera esecuzione di un altro provvedimento trova in quest’ultimo non soltanto il presupposto, come per gli atti consequenziali, ma il regolamento completo e puntuale del rapporto, costituendo niente altro che il mezzo per portarlo ad esecuzione[19].
- Atti presupposti e atti preparatori. – Per quanto riguarda la categoria degli atti presupposti in senso stretto – cioè quegli atti che non possono essere considerati preparatori, nel senso che non vengono emanati specificamente in funzione di altri atti, ma pongono delle norme di comportamento per l’Amministrazione o stabiliscono requisiti di validità per futuri provvedimenti – la giurisprudenza esclude, a causa della mancanza attuale della lesione di un interesse, che l’illegittimità dell’atto presupposto possa essere fatta valere autonomamente, se non al momento in cui sia stato emanato il provvedimento concretamente lesivo adottato sul suo presupposto (come nel caso tipico di un regolamento di cui il provvedimento lesivo sia applicazione)[20].
Solo che in questi casi la giurisprudenza ritiene che l’atto presupposto vada impugnato in maniera autonoma, sebbene contestualmente all’atto che ne faccia applicazione, dichiarando inammissibile il ricorso contro tale provvedimento applicativo che non sia rivolto anche contro quello presupposto, di cui si esclude la disapplicabilità[21].
L’errore di tale impostazione consiste probabilmente nel far coincidere il concetto di illegittimità e quello di lesione, non considerando che anche un atto illegittimo non è necessariamente lesivo[22]. Nè, d’altro canto, l’essere lesivo o meno può dipendere da un fatto meramente eventuale ed incerto come l’emanazione di un atto successivo o la realizzazione di una certa fattispecie. La conclusione obbligata è che un atto o è lesivo o non lo è, ma se non lo è, pur essendo illegittimo, non può diventarlo a causa dell’emanazione successiva di un atto che da esso tragga la propria illegittimità. Vale a dire che l’atto presupposto “non tanto diventa inoppugnabile, quanto rimane, quale anteriormente era, originariamente inimpugnabile, per carenza di lesività”, perché “manca qualsiasi nesso tra la lesività del regolamento e la lesione dell’interesse legittimo…fatta valere, e d’altro canto l’illegittimità dedotta quale principale oggetto dell’accertamento è pur sempre l’illegittimità del provvedimento applicativo, illegittimità che non cessa di essere propria di questo, per la circostanza che deriva da quella del regolamento”[23].
In sostanza, l’atteggiamento della giurisprudenza si giustifica solo in quei casi in cui l’atto poteva essere a suo tempo impugnato, per cui ammetterne la disapplicazione significherebbe consentire l’elusione dei termini. Ma se l’assetto di interessi stabilito nel primo provvedimento non poteva essere messo in discussione perché l’atto non era impugnabile, o se con l’impugnazione è un assetto di interessi diverso che si vuole mettere in discussione; oppure, ancora, se l’atto continua a non essere impugnabile da parte del soggetto che di quell’atto chiede la disapplicazione, allora è chiaro come la disapplicazione diventi veramente l’unico strumento di tutela sostanziale degli interessi del privato coinvolto[24].
Trattando anche di quello che viene definito atto preparatorio in senso stretto, per distinguerlo dall’atto preparatorio inteso in senso lato e che coincide spesso con l’atto presupposto in generale, bisogna dire che si intende per tale quell’atto emanato in stretta ed immediata funzione di uno specifico atto (per lo più avente natura di provvedimento) che lo presuppone in via diretta, cosicchè esso è del tutto sfornito di una propria autonomia funzionale ed è in genere inidoneo, per questo stesso fatto, a produrre la lesione di situazioni giuridiche soggettive, se non, indirettamente, attraverso lo specifico atto in funzione del quale fu emanato. Rientrano nella categoria gli atti di iniziativa, i pareri, le deliberazioni preliminari, ecc.[25].
Poiché l’atto preparatorio non è in grado in genere di modificare le situazioni giuridiche sulle quali verrà invece ad incidere l’atto definitivo, è chiaro allora che, da un lato, non può neanche essere impugnato, e dall’altro non fa neanche sorgere in capo all’interessato un qualificato interesse a ricorrere, con la conseguenza che i vizi propri di esso assumono giuridica rilevanza esclusivamente attraverso il provvedimento che chiude l’iter procedimentale[26].
Come infatti è stato sottolineato, è anche condizione “di ammissibilità del ricorso avanti il Consiglio di Stato…la lesione di un interesse attuale e concreto”, per cui “non ricorrono tali condizioni nel caso di impugnativa contro la graduatoria di un concorso, in quanto essa è provvedimento preparatorio, da impugnarsi soltanto in occasione della nomina del vincitore del concorso stesso, che è appunto il momento nel quale si verifica la concreta lesione di interesse”[27].
Naturalmente è da escludere l’ipotesi in cui, con formale provvedimento, si sia proceduto ad approvare la graduatoria, nel qual caso l’interesse ad impugnare sorge sin dal momento dell’approvazione[28]. Nello stesso senso, si è affermato che “i vari atti della procedura concorsuale sono preparatori della deliberazione di approvazione dei verbali della commissione giudicatrice del concorso e della graduatoria del concorso medesimo; pertanto è tale delibera, quale atto conclusivo della accennata procedura, idonea a generare una lesione immediata e diretta al concorrente, che deve essere impugnata dall’interessato in sede giurisdizionale”[29].
D’altra parte, possono esservi dei casi in cui anche un atto preparatorio può diventare impugnabile e, anzi, deve essere impugnato, se non si vuole affrontare il rischio di incorrere nella decadenza dai termini. Sono cioè quei casi in cui l’atto in questione, pur essendo tipicamente preparatorio, acquista immediata efficacia lesiva e, quindi, modifica immediatamente le situazioni giuridiche dall’atto stesso interessate. Vale a dire che “gli atti preparatori definitivi e lesivi di un interesse sono impugnabili in sede giurisdizionale”[30].
Così come sono impugnabili quegli atti preparatori il contenuto dei quali debba essere considerato preclusivo dell’ulteriore corso del procedimento e perciò comporti l’arresto di questo, come succede nel caso di nulla-osta o parere vincolante negativo[31]. Analogamente, in giurisprudenza viene ammessa l’impugnabilità ex se dei pareri di organi amministrativi preordinati a provvedimenti di autorità non amministrative, i quali ultimi, in quanto tali, non sono impugnabili davanti al giudice amministrativo[32].
- Atti endoprocedimentali e provvedimenti in corso. – Problemi analoghi sorgono con riferimento a quelle fattispecie in cui l’interessato, in qualsiasi modo, venga a conoscenza di un procedimento amministrativo che lo riguarda e il cui esito finale pregiudicherebbe i suoi interessi. Fattispecie in pratica in cui vi è un provvedimento “in corso”, in relazione al quale si è più volte posto, sia in dottrina sia in giurisprudenza, il problema dell’impugnabilità degli atti endoprocedimentali. In casi del genere, ovviamente, bisognerà prima accertare se nell’ambito del procedimento avviato sia stato o meno emanato qualche atto in relazione al quale possa porsi un problema di impugnativa, perché può anche darsi il caso in cui al privato venga semplicemente comunicato, o ne venga comunque a conoscenza, che l’Amministrazione ha intenzione di provvedere in un certo senso, ma senza che sia stato ancora emanato nessun atto finalizzato ad ottenere quel risultato, ed allora si avrebbe soltanto da accertare che non esiste un atto da potere impugnare[33]. Infatti, la lesività è legata alla concreta ed attuale modificazione di posizioni giuridiche, motivo per cui di solito non è dato ricorso in caso di lesione soltanto temuta.
Ora, è chiaro che lo stabilire l’obbligo di impugnare il provvedimento “in corso”, ed entro i normali termini di decadenza decorrenti dalla avvenuta conoscenza dello svolgimento dell’iter, comporta per il privato delle conseguenze gravemente pregiudizievoli, se solo si pensa che la mancata impugnazione condurrà a ritenere inammissibile l’impugnazione proposta contro il provvedimento perfezionato, proprio perché, per tale impostazione, ciò significherebbe permettere un’elusione dei termini, considerando così il provvedimento perfezionato quasi alla stregua di un atto confermativo. In pratica, però, si trascura di considerare un elemento fondamentale che, in questa come in altre fattispecie, funge da fattore discriminante per ritenere proponibile o meno un ricorso, e cioè l’avvenuta lesione di interessi, cioè l’avvenuta modificazione delle situazioni giuridiche del privato, visto che, come già precisato, tale lesione deve sussistere fin dal momento della proposizione del ricorso. Fermo restando che, nella fattispecie appena descritta, tale problema della mancanza di lesione e, quindi, della carenza di interesse a ricorrere, deve essere considerato assorbito dal problema dell’inesistenza di un atto da potere impugnare[34].
Senza contare poi che si costringe in tal modo il privato ad una impugnazione per la quale non ha tutti gli elementi necessari, non avendo infatti quella piena conoscenza che rende possibile una seria ed effettiva reazione contro un provvedimento. Considerato poi che in alcuni casi si è anche affermato che la comunicazione di un provvedimento pone senz’altro l’interessato in grado di ricorrere alla giurisdizione amministrativa, ed è quindi idonea a far decorrere il termine di impugnativa, “anche se fatta in forma sommaria e limitata alle sole statuizioni dispositive”[35].
Allora la questione deve essere affrontata diversamente, osservando che, nelle fattispecie descritte, un problema di impugnazione, e di una correlativa lesione di interessi, può essere posta soltanto in quei casi in cui al futuro provvedimento venga data esecuzione anticipata, e venga quindi realizzato l’assetto di interessi previsto, perché normalmente “un provvedimento in corso non è ancora un provvedimento capace di produrre tutti gli effetti giuridici cui tende”, e proprio per questo “la comunicazione di esso all’interessato non può essere ritenuta idonea a mettere in moto il termine per presentare ricorso giurisdizionale”[36].
Di contro, realizzando una modificazione delle situazioni giuridiche del privato coinvolto, si concretizza l’attualità dell’interesse a ricorrere, ma sempre nell’ottica che la regola debba comunque essere quella dell’impugnabilità al momento dell’avvenuto perfezionamento dell’atto. Ed ecco perché in giurisprudenza – con una formula comunque compromissoria – si è anche affermato che “la comunicazione che un provvedimento è tuttora in corso consente di impugnarlo in sede giurisdizionale, ma non fa decorrere il termine per l’impugnazione”[37]; concedendo così all’interessato la facoltà di ricorrere, ma non configurando un onere in tal senso, e con la possibilità di attendere il perfezionamento secondo legge dell’atto, momento a partire dal quale decorreranno perciò i termini di decadenza.
Il fatto è che tale soluzione di compromesso potrebbe andare bene solo nell’ipotesi in cui fosse data anticipata esecuzione al “provvedimento in corso”, che, appunto per questo, viene comunicato; solo che anche in questo caso, però, il prendere atto della lesione apportata agli interessi privati dall’esecuzione anticipata dell’atto, dovrebbe indurre, più coerentemente, a ritenere che il termine di decadenza decorra necessariamente da quel momento e non da quello di avvenuto perfezionamento dell’atto. Infatti, o l’esecuzione dell’atto, per quanto illegittima e fonte di eventuale responsabilità per il funzionario preposto, modifica gli interessi sostanziali del privato, e fa quindi sorgere in capo ad esso la legittimazione al ricorso – salva la presentazione di motivi aggiunti in seguito al perfezionamento dell’atto – oppure no, e solo in quest’ultimo caso, allora, il termine coinciderà con quello di perfezione dell’atto e della sua comunicazione al privato[38].
In sostanza, quindi, soltanto l’anticipata esecuzione dell’atto può rendere attuale l’interesse a ricorrere, mentre non può essere considerato momento di decorrenza del termine quello della comunicazione del provvedimento in corso, soprattutto se il provvedimento in questione non sia, come spesso avviene, né efficace né, tantomeno, perfetto. Un ricorso contro un atto del genere, quindi, dovrà essere dichiarato irricevibile, per mancanza dell’oggetto, o, quanto meno, inammissibile, per carenza di interesse[39].
- Gli atti sottoposti a fase integrativa dell’efficacia. – Considerazioni simili a quelle finora esposte possono essere fatte con riferimento agli atti perfezionati ma non ancora efficaci, perché sottoposti a condizione, a controllo, ecc. Infatti, molto spesso a tali atti è data esecuzione già prima del realizzarsi della condizione o dell’esperimento del controllo. È da ritenere che nei casi in cui l’atto sia perfetto ma non ancora efficace, perché ad esempio non sottoposto ancora a controllo, o perché manchi ancora una decisione dell’organo preposto, la regola debba essere quella che il termine di decadenza comincia a decorrere dal momento in cui l’atto acquista efficacia ed incide quindi sulle situazioni giuridiche da esso coinvolte.
Sebbene in tali casi non si ponga il problema dell’esistenza dell’atto, come si è visto accadere invece per i provvedimenti in corso, è infatti solo dalla data del controllo o dell’avverarsi della condizione che si concretizza quel presupposto processuale costituito dalla lesione dell’interesse sostanziale, che, a causa della mancata produzione degli effetti dell’atto, non può evidentemente sussistere in un momento precedente[40].
L’unico dato veramente rilevante non è che vi sia un atto potenzialmente lesivo, ma che i suoi effetti non si sono ancora prodotti: infatti, “è l’efficacia del provvedimento che viene sospesa sino a che il potere di controllo non sia a sua volta esercitato, mediante il relativo procedimento, nei termini e con le modalità di legge”[41]. Nè, d’altronde, vi può essere certezza sul fatto che si produrranno, perché, sia con riferimento agli atti endoprocedimentali che a quelli in esame, “è possibile infatti che il <<corso>> si arresti prima che l’atto giunga a perfezionarsi o ad acquistare efficacia: perché il Ministro ne rifiuti la firma, perché la Corte dei Conti ne rifiuti la registrazione, o per qualsiasi altra causa”[42], che può anche essere costituita dalla circostanza che la stessa Amministrazione emanante non dia seguito all’attività amministrativa già avviata, non inviando l’atto all’organo di controllo o non proseguendo l’iter procedimentale. Vale a dire che per lo stesso fatto che gli effetti sono sospesi le modificazioni giuridiche non possono essersi prodotte, e la correlativa lesione non può essere avvenuta, e perciò la circostanza che manchi il reale avverarsi delle conseguenze diventa determinante[43].
A meno che tale requisito della lesione non si concretizzi prima del realizzarsi dell’efficacia ex lege, a causa dell’anticipata esecuzione dell’atto, nel qual caso sembra possano avanzarsi le medesime conclusioni prima formulate a proposito degli atti preparatori, quando si è chiarito che, sotto l’aspetto evidenziato della lesione già causata, gli atti imperfetti possono essere equiparati agli atti inefficaci, quando entrambi siano eseguiti anticipatamente, consentendo (od imponendo?) l’impugnazione dell’atto già a partire da quel momento, anche in relazione al fatto che in tal modo il controllo, da preventivo diventa repressivo, e risolutivo dell’efficacia[44].
Nei casi in cui, invece, il provvedimento amministrativo sottoposto a controllo non abbia il carattere della immediata esecutività, “si tratta…dell’individuazione della fase del procedimento nella quale il provvedimento diventa lesivo, e quindi ci si riferisce al momento in cui possono iniziare a decorrere i termini per l’impugnativa. Infatti la conoscenza del provvedimento, anteriore a tale momento, non fa iniziare a decorrere i termini per l’impugnativa”[45].
In questo senso, sembra conforme alle norme che disciplinano il processo amministrativo ritenere che “la conoscenza piena da parte del soggetto contemplato si realizza solo nel momento in cui l’interessato acquista la notizia dell’intervenuto controllo positivo, costituente elemento materiale della fattispecie”[46].
In giurisprudenza si è talvolta distinto, nel senso che “il termine per l’impugnazione degli atti soggetti a controllo previo di legittimità e non dichiarati immediatamente esecutivi decorre solo dal momento in cui l’interessato ha piena ed effettiva conoscenza dell’intervenuto controllo positivo, ma tale principio non s’applica nel caso in cui per l’atto controllando non sia stabilita la notificazione individuale e sia soggetto invece a pubblicazione in appositi albi, chè, allora, il predetto termine decorre dalla positiva decisione tutoria e indipendentemente da ogni effettiva conoscenza, in quanto l’esistenza dei meccanismi legali idonei a determinare la conoscenza legale del provvedimento non solo non ne implica la notificazione ai soggetti non direttamente destinatari (dovendosi ragionevolmente contemperare le esigenze di tutela dei privati con l’interesse pubblico alla certezza dei rapporti giuridici, derivante dall’acquisita inoppugnabilità dell’atto stesso), ma non esige neppure la comunicazione dell’esito del controllo a costoro, i quali hanno l’onere di verificare se l’atto ritenuto lesivo abbia acquisito definitiva efficacia”[47].
Tuttavia, come aspetti conclusivi, non sembrano prive di rilievo le considerazioni di chi ha osservato che gli atti della fase integrativa, come gli atti di controllo, è da ritenere facciano parte del procedimento amministrativo sfociato nell’atto da sottoporre a controllo, sia perché trovano la propria ragione d’essere nel provvedimento esterno, già emanato, che però non ha ancora efficacia, sia perché la l. 241/90, “attribuendo al responsabile del procedimento anche compiti che riguardano la fase successiva all’emanazione del provvedimento (relativi, ad esempio, alla comunicazione e alla pubblicazione di esso: art. 6), conferma che pure questi ultimi sono atti del medesimo procedimento di cui quel soggetto è responsabile”[48].
Ma allora in questo caso c’è solo da tenere presente – per quanto riguarda un eventuale onere dell’Amministrazione di portare l’atto già sottoposto positivamente a controllo a conoscenza degli interessati, e con riferimento alla possibilità che gli atti in questione (ad esempio, delibere di organi collegiali) siano soggetti a pubblicazione – la necessità di operare una distinzione, a seconda dei soggetti coinvolti dall’adozione del provvedimento della cui conoscenza si discute. Infatti, come specificamente affermato in giurisprudenza, per le persone direttamente contemplate nell’atto, “a norma degli art. 36, 1° comma, t. u. 26 giugno 1924, n. 1054 e 2 r. d. 17 agosto 1907, n. 642, il termine di impugnazione decorre dalla data di notificazione o di comunicazione o di effettiva piena conoscenza dell’atto e non anche da quello di pubblicazione della delibera nelle forme di legge”[49].
Però, per “persone direttamente contemplate” nell’atto amministrativo alle quali – ai sensi dell’art. 2 r. d. 17 agosto 1907, n. 642 – deve essere notificato o comunicato l’atto stesso, non deve intendersi soltanto i soggetti menzionati nell’atto, ma anche chi, pur non menzionato, sia in qualche modo da ritenere destinatario del medesimo; pertanto, nei confronti di tali soggetti, la pubblicazione dell’atto nelle forme di rito non fa decorrere il termine per l’impugnazione, occorrendo a tal fine la notifica o comunicazione individuale, ovvero la prova dell’effettiva conoscenza[50].
DAUNO F.G. TREBASTONI
Segretario comunale –
Dottore di Ricerca in Diritto Amministrativo
[1] Così CASETTA, Manuale di diritto amministrativo, Milano, 2000, 744.
[2] Secondo CASETTA, tra le condizioni dell’azione rientrerebbe anche la mancata decorrenza dei termini di impugnativa, che la giurisprudenza considera invece spesso tra i presupposti di ricevibilità. Infatti, rileva CASETTA, op. cit., 750, “che la decadenza per decorso del termine determini l’inammissibilità del ricorso trova comunque espressa conferma nel disposto dell’art. 37 t.u. Cons. Stato, ai sensi del quale il ricorso incidentale (…) è inefficace quando quello principale sia stato rinunziato o <<dichiarato inammissibile perché proposto fuori termine>>”.
[3] In giurisprudenza, come in dottrina, si parla di interesse giuridicamente protetto, differenziato e qualificato, rispetto all’interesse dei singoli ovvero a quello diffuso della generalità degli appartenenti ad una certa categoria. Cfr. Cons. St., sez. VI, 24 ottobre 2000 n. 5707. TRAVI, Lezioni di giustizia amministrativa, Torino, 2000, 193, rileva che la legittimazione a ricorrere viene interpretata dalla giurisprudenza amministrativa “non come affermazione della titolarità della posizione qualificata necessaria ai fini del ricorso (…), ma come effettiva titolarità di tale posizione. Pertanto il giudice amministrativo, quando accerta che il ricorrente non è titolare di tale posizione qualificata, dichiara il ricorso inammissibile, e non infondato”. Per Cons. St., sez. V, 31 gennaio 2001 n. 358, in Giustizia amministrativa, www.giust.it, 2001, 3, “occorre…dimostrare il danno che…deriva specificamente al soggetto in quanto titolare del bene”.
[4] Cfr. SANDULLI, Manuale di diritto amministrativo, Napoli, 1989, 1214. A proposito della giurisprudenza, che continua a distinguere l’interesse al risultato utile dall’interesse a ricorrere, secondo TRAVI, op. cit., 192, “alle affermazioni di principio corrispondono spesso prassi almeno in parte diverse”. Infatti, rileva TRAVI, “per esempio, è ricorrente l’affermazione della necessità di verificare puntualmente e concretamente la sussistenza dell’interesse a ricorrere…, proprio perché tale interesse identificherebbe una condizione generale dell’azione, con una rilevanza specifica. Invece, di fatto, la giurisprudenza attribuisce importanza all’interesse a ricorrere in una logica prevalentemente negativa: l’interesse a ricorrere rileva non come fattore che giustifica l’azione, ma come fattore la cui mancanza preclude la pronuncia sul merito del ricorso. In questo modo, però, l’esclusione della tutela giurisdizionale potrebbe spiegarsi forse anche nel quadro della distinzione fra interesse legittimo e interesse a ricorrere, ma in una logica diversa da quella delle condizioni generali dell’azione, e precisamente in una logica analoga a quella che fonda il divieto di azioni emulative nei rapporti civili (art. 833 c.c.)”.
[5] Cfr. Cons. St., sez. V, 7 agosto 1996 n. 884, in Foro Amm., 1996, 2287. Tale vantaggio non deve necessariamente consistere in un’utilità patrimoniale o concreta, essendo sufficiente anche un solo interesse morale: vedi Cons. St., sez. IV, 17 febbraio 1997 n. 122, in Foro amm., 1997, 441. In altri casi, è stato ammesso che possa trattarsi di un vantaggio anche solo potenziale o strumentale, ritenendo sufficiente anche il solo fatto che il rapporto possa essere rimesso in discussione dopo l’annullamento, potendo così, astrattamente, giungersi ad una conclusione positiva per il ricorrente (cfr. Cons. St., sez. VI, 30 marzo 1994 n.463, in Giur. it., 1994, III, 644; Id., sez. VI, 4 settembre 1998 n. 1212, in Cons. St., 1998, I, 1321), o che la decisione sia comunque idonea a far conseguire il soddisfacimento dell’interesse sostanziale in relazione ad ulteriori attività amministrative, in quei casi cioè in cui la sentenza del giudice amministrativo non sia in grado di soddisfare direttamente l’interesse sostanziale a tutela del quale si è agito (vedi Id., sez. VI, 11 gennaio 1999 n.8, in Cons. St., 1998, I, 91). Cfr. Id., sez. V, 30 luglio 1993 n. 811, in Cons. St., 1993, I, 934, per la precisazione che “l’interesse a ricorrere contro un procedimento concorsuale può concretarsi in una mera utilità strumentale, costituita dalla rinnovazione (totale o parziale) del procedimento che solo eventualmente potrà recare al ricorrente un qualche vantaggio, come l’acquisizione di una posizione a lui più favorevole in graduatoria”. Nello stesso senso Id., sez. V, 26 marzo 1996 n. 311, in Foro Amm., 1996, 909. Cfr. T.A.R. Milano, sez. III, 15 febbraio 2001 n. 1086, in Italedi on line, www.giurisprudenza.it/defaultit.asp, circa la necessità che la ditta ricorrente, graduata in posizione non utile in graduatoria, dimostri che, nell’ipotesi di accoglimento del ricorso, gli effetti della pronuncia siano in grado di rovesciare a suo favore l’aggiudicazione o comunque di impedire l’aggiudicazione stessa in capo a soggetto diverso dal ricorrente.
[6] Per quanto riguarda quest’ultimo requisito, è necessario precisare che “esso non può, al momento della controversia, essere considerato sussistente, allorquando l’interesse tragga origine da una fattispecie la quale in quel momento non si sia…ancora perfezionata, in quanto non ne siano ancora venuti in essere tutti gli elementi costitutivi e di efficacia (si pensi, ad esempio, che l’interesse legittimo relativo ad una promozione si acquista soltanto quando si siano conseguiti tutti i requisiti per la promozione, tra cui la prescritta anzianità nel grado attuale: onde non può essere considerato portatore, in atto, di un interesse legittimo in ordine alla promozione chi non abbia maturato l’anzianità prescritta)”: SANDULLI, op. cit., 1217. Contra, invece, CASSARINO, L’impugnabilità degli atti amministrativi in corso di perfezionamento, in Riv. trim. dir. pubbl., 1962, 850, secondo il quale “il requisito dell’attualità dell’interesse….non sembra rilevante ai fini della legittimazione al ricorso contro un atto amministrativo”.
[7] Vedi in questo senso DOMENICHELLI, Il processo amministrativo, in Diritto amministrativo, a cura di MAZZAROLLI, PERICU, A. ROMANO, ROVERSI MONACO, SCOCA, Bologna, 1998, 1587; CASETTA, op. cit., 748. Contra, invece, SANDULLI, op. cit., 1217, secondo il quale “l’interesse ad agire basta che sia presente al momento della decisione”. Nel senso del testo vedi, fra le tante, Cons. St., sez. V, 25 settembre 1995 n. 1340, in Cons. St., 1995, I, 1237, secondo cui l’interesse al ricorso deve “essere attuale e permanere fino al momento della decisione”. Cfr. anche Id., sez. V, 27 maggio 1993 n.636, in Foro amm., 1993, 986; Id., sez. V, 4 aprile 1991 n.405, in Foro amm., 1991, 1058.
[8] Cfr. Cons. St., sez. V, 22 novembre 1996 n. 1393, in Foro Amm., 1996, 3281. Nel processo civile, invece, “l’interesse ad agire con l’azione di mero accertamento non implica necessariamente l’attuale verificarsi della lesione di un diritto, essendo sufficiente uno stato di incertezza oggettiva sull’esistenza di un rapporto giuridico e sull’esatta portata dei diritti e degli obblighi da esso scaturenti, costituendo la rimozione della detta incertezza un risultato utile e giuridicamente rilevante e non conseguibile senza l’intervento del giudice”: Cass., Sez. Lav., 28 giugno 1997 n. 5819, in Nuova Giur. Civ., 1998, I, 716. A proposito dell’attualità della lesione, strettamente legata all’immediata efficacia lesiva dell’atto, bisogna anche distinguere l’ipotesi in cui l’efficacia, appunto, e quindi la lesione, mancano temporaneamente, ovvero mancano ancora, come nel caso di atto sottoposto a controllo. In casi del genere, è da ritenere, l’onere d’impugnazione sorge solo al momento in cui la lesione sarà reale.
[9] Per esempio, “non può dirsi che la mancata promozione di un superiore di un impiegato a un grado più alto leda direttamente l’interesse sostanziale di quest’ultimo ad essere (a sua volta) promosso al posto che sarebbe lasciato libero dal superiore in conseguenza del proprio avanzamento”: SANDULLI, op. cit., 1218.
[10] SANDULLI, op. ult. cit., ibidem. Per l’esame di un’ampia casistica giurisprudenziale v. SILVESTRI, Le parti del processo amministrativo, in Il diritto amministrativo nella giurisprudenza, a cura di FALCONE e POZZI, 2, Torino, II, 1998, 840 s.s. Non sembrano quindi fondate le affermazioni di chi ha ritenuto di poter sostenere che “posto che il potere di ricorrere consiste nella capacità di ottenere la mera prestazione giurisdizionale e non la decisione e, tanto meno, la decisione di accoglimento del ricorso, non può riconoscersi alla lesione dell’interesse legittimo alcuna funzione di condizionamento dell’esercizio di siffatto potere, e ciò per la fondamentale considerazione che del potere di ricorrere è investito anche chi ha torto”: così DEL POZZO, Decorrenza del termine, lesione dell’interesse e disapplicazione dell’atto nel diritto processuale amministrativo (nota a Cons. St., sez. V, 1° marzo 1952 n.340), in Foro amm., 1952, I, 2, 143. Il fatto è, però, che il richiedere una lesione effettiva ed attuale degli interessi sostanziali del ricorrente non è un requisito di proponibilità del ricorso, essendo sufficiente che esso emerga alla stregua delle affermazioni del ricorrente, ma perché il giudice si pronunci sul merito del ricorso stesso.
[11] Come gli atti sottoposti a controllo sono ritenuti da impugnare nel caso in cui, ad esempio, vengano portati ad esecuzione anticipatamente, ledendo quindi immediatamente gli interessi sostanziali colpiti dall’atto, così pure degli atti preparatori, o comunque infraprocedimentali, viene affermata l’impugnabilità quando il loro contenuto debba essere considerato preclusivo dell’ulteriore corso del procedimento e comporti quindi il suo arresto, come nel caso di nulla-osta o parere vincolante negativi. V. Cons. St., Sez. V, 20 dicembre 1996 n. 1563, in Foro amm., 1996, 3316, a proposito di diniego di nulla-osta. V. Cons. St., sez. IV, 29 gennaio 1998 n. 112, in Cons. St., 1998, I, 39, a proposito della possibilità di disapplicare circolari.
[12] Cfr. SORACE, Diritto delle amministrazioni pubbliche, Bologna, 2000, 284, a proposito della definizione di atti del genere come atti “<<strumentali>> rispetto alla decisione finale”.
[13] Sugli atti confermativi vedi CANNADA-BARTOLI, Conferma, in Enc. Dir., VIII, Varese, 1961, 858, a proposito della distinzione fra atto confermativo in senso stretto – che consiste semplicemente nel semplice rigetto, senza alcuna motivazione, dell’istanza tendente ad ottenere la revoca del provvedimento che viene invece confermato – e provvedimento confermativo, con il quale l’autorità dichiara che “vuole tuttora, dopo avere esaminato la nuova situazione alla luce dei motivi addotti nell’irrituale istanza del privato, la regolamentazione espressa nel precedente provvedimento”. Quest’ultimo tipo di provvedimento sarà, normalmente, impugnabile. In giurisprudenza si riscontra analoga, corrispondente distinzione, con l’unica differenza che ciò che Cannada-Bartoli chiama atto “confermativo in senso stretto” viene detto atto “meramente confermativo”, che “si ha nell’ipotesi in cui l’amministrazione si limiti a constatare che le ragioni poste a base dell’adozione del precedente atto erano già state esaminate e ponderate in quel procedimento. Al contrario, si ha conferma quando l’amministrazione, anziché limitarsi ad una constatazione di fatto, inizi un vero e proprio procedimento di riesame, valutando e ponderando nuovamente gli elementi di fatto acquisiti nel procedimento, acquisendone di nuovi se del caso e poi pervenga alle stesse conclusioni cui era pervenuta precedentemente, ma come risultato di una nuova valutazione comparativa degli interessi acquisiti nel procedimento”: Cons. St., sez. IV, 12 febbraio 1997 n. 103, in Foro Amm., 1997, 438. CASETTA, op. cit., 517, precisa che in questo caso si tratta di “vero provvedimento siccome frutto dell’esercizio di un potere”. Vedi anche Cons. St., sez. V, 28 dicembre 1996 n. 1614, in Foro Amm., 1996, 3331, nel caso di atto con motivazione diversa, pur con dispositivo identico a quello dell’atto precedente; Cons. Giust. Amm. Sic., 18 maggio 1996 n. 135, in Cons. Stato, 1996, I, 1023, in un caso di “nuova valutazione e ponderazione degli interessi che dimostri un rinnovato riesame della questione”, in presenza di identità del dispositivo e dell’iter argomentativo. Cons. Giust. Amm. Sic., 5 maggio 1997 n. 61, in Cons. St., 1997, I, 880, in un caso di atto emanato a seguito di richiesta di riesame dell’interessato, senza tuttavia una nuova istruttoria; Cons. St., sez. V, 6 giugno 1996 n. 670, in Foro Amm., 1996, 1891, in un caso in cui un Sindaco, con una semplice nota, si era limitato, sic et simpliciter, a confermare il proprio precedente diniego di concessione edilizia.
[14] “L’impugnazione dell’atto meramente confermativo è inammissibile perchè altrimenti si riaprirebbero i termini di impugnazione del primo provvedimento rimasto inoppugnato, ma quando il nuovo provvedimento rinnova la lesione sulla base di un diverso procedimento e di diverse valutazioni il soggetto leso può impugnarlo pur non avendo impugnato il primo che già aveva disposto la sua lesione”: Cons. St., sez. V, 22 marzo 1995 n. 454, in Giur. It., 1996, III, 1, 34.
[15] Vedi Cons. St., sez. VI, 3 dicembre 1983 n.882, in Cons. St., 1983, I, 1357, a proposito del provvedimento di sistemazione, o di trasferimento, di un insegnante rispetto al provvedimento di inclusione nella graduatoria incarichi.
[16] Vedi ad esempio Cons. St., sez. V, 21 maggio 1984 n.374, in Cons. St., 1984, I, 553: “è inammissibile per carenza di interesse il ricorso giurisdizionale volto contro un atto consequenziale di altro presupposto non impugnato, dato che l’annullamento del primo non varrebbe a rimuovere la situazione sfavorevole già determinata dal secondo”. Vedi anche Id., sez. V, 23 settembre 1992 n. 871, in Foro Amm., 1992, 1946; Corte Conti, Sez. contr., 28 giugno 1995 n. 85, in Cons. St., 1995, II, 2014. Per Cons. St., sez. V, 10 giugno 1982 n.528, in Foro it., 1983, III, 4, “il ricorso giurisdizionale proposto contro l’ingiunzione di pagamento della sanzione pecuniaria per abuso edilizio è inammissibile, se non sia stato tempestivamente impugnato il provvedimento col quale il sindaco ha irrogato la sanzione de qua, portata a conoscenza dell’interessato”. Per Tar Lombardia, sez. Brescia, 8 settembre 2000 n. 527, “non sussistono i presupposti per la sospensione dell’ingiunzione di demolizione di opere abusive nel caso in cui…la presupposta diffida non sia stata impugnata in termini”.
[17] Per tale possibilità vedi Cons. St., sez. VI, 5 maggio 1986 n.357, in Cons. St., 1986, I, 698; Id., sez. V, 5 settembre 1984 n. 671, in Cons. St., 1984, I, 1041. Per Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 16 luglio 1981 n.51, in Cons. Stato, 1981, I, 893, “la mancata impugnazione dell’atto presupposto non preclude l’impugnazione dell’atto conseguente, quando di quest’ultimo vengano denunciati vizi propri, attinenti all’attività svolta dall’Amministrazione tra l’emanazione del primo e quella del secondo”. Qualora invece l’atto presupposto sia stato impugnato, si ritiene che a carico dell’interessato sorga l’onere di impugnare anche l’atto consequenziale in senso stretto, al fine di evitare l’improcedibilità del primo ricorso per sopravvenuta carenza di interesse. Cfr. Cons. St., sez. V, 6 marzo 1991 n.210, in Foro amm., 1991, 695; Id., sez. VI, 6 ottobre 1986 n.752, in Cons. St., 1986, I, 1562. Contra Id., sez. V, 2 marzo 1999 n. 211, in Foro Amm., 1999, 673: “la rituale proposizione del ricorso giurisdizionale avverso il bando di un concorso a pubblici impieghi non onera il ricorrente all’impugnazione degli atti successivi e conseguenziali (approvazione della graduatoria, nomina dei vincitori), in quanto l’eventuale annullamento del bando implica l’automatico travolgimento di questi ultimi”. Vedi anche Id., sez. VI, 28 giugno 1995 n. 635, in Cons. St., 1995, 920.
[18] Pertanto, “è inammissibile il ricorso giurisdizionale avverso gli atti esecutivi e consequenziali dell’ordinanza sindacale di demolizione di manufatti abusivi non tempestivamente gravata, proposto per motivi attinenti a quest’ultima…”: Cons. St., sez. V, 19 febbraio 1997 n. 170, in Foro Amm., 1997, 469. V. Id., sez. VI, 10 agosto 1999 n. 1020, in Cons. St., 1999, I, 1216, che a proposito di clausole di bando di concorso immediatamente lesive, afferma l’“inammissibilità sia dell’impugnazione rivolta solo contro il provvedimento di esclusione dal concorso, costituente atto meramente esecutivo e applicativo del bando, sia dell’impugnazione contestuale del bando stesso e dell’esclusione, ove siano decorsi i termini per il ricorso contro il bando stesso”.
[19] Cfr. ad esempio Cons. St., sez. IV, 8 maggio 1986 n. 335, in Foro amm., 1986, 701, a proposito della deliberazione di localizzazione e di attuazione di interventi edilizi già previsti e ricompresi in strumenti urbanistici che non siano stati autonomamente e tempestivamente impugnati. In giurisprudenza si precisa peraltro che non sussiste l’onere processuale di impugnare anche l’atto di mera esecuzione, in quanto l’annullamento dell’atto presupposto travolge automaticamente gli atti esecutivi successivamente adottati, e i cui effetti vengono meno per essere venuto meno il loro stesso oggetto. Vedi ad es. Cons. St., sez. V, 30 luglio 1986 n. 373, in Cons. St., 1986, I, 872; Id., sez. VI, 5 marzo 1985 n.81, in Cons. St., 1985, I, 326.
[20] Ovviamente, nel caso in cui, già al momento dell’emanazione dell’atto presupposto, la lesione vi sia, si afferma che “l’atto presupposto deve essere impugnato immediatamente da chi, avendo ricevuto da esso una lesione della propria sfera giuridica, ha un interesse qualificato e tutelato alla sua eliminazione, senza attendere l’intervento dell’atto consequenziale, la cui impugnazione non varrebbe a rimuovere la situazione sfavorevole già determinata dal primo, e consolidatasi per effetto dell’inutile decorso dei termini fissati per la proposizione del ricorso”: Cons. St., sez. IV, 2 ottobre 1989 n. 664, in Cons. St., 1989, I, 1137. Tuttavia, si precisa che “ai fini dell’onere di diretta impugnazione del regolamento immediatamente lesivo, il requisito dell’attualità della lesione dell’interesse dedotto in giudizio va accertato in concreto, con riferimento, cioè, all’entità e alle modalità dell’incidenza effettuale, e non semplicemente ipotetica ed eventuale, dell’atto regolamentare nella sfera giuridica dei ricorrenti”: Cons. St., sez. IV, 19 ottobre 1993 n. 897, in Cons. St., 1993, I, 1216. Per Tar Lombardia, sez. Brescia, 22 settembre 2000 n. 566, “al fine di configurare il danno grave e irreparabile di un regolamento, tale da giustificarne la sospensione in sede giurisdizionale, non può farsi riferimento a futuri provvedimenti applicativi dello stesso regolamento non ancora adottati, in quanto il pregiudizio deve scaturire dallo stesso atto impugnato”.
[21] V., fra le tante, Cons. St., sez. V, 18 agosto 1997 n. 918, in Cons. St., 1997, I, 1061; Id., sez. V, 28 giugno 1952 n.1032, in Giur. it., 1953, III, 72. In altri casi, invece, ciò non viene ritenuto sufficiente, perché si afferma che “in tanto è possibile conseguire l’annullamento dell’atto applicativo viziato di invalidità derivata, in quanto sia previamente intervenuto, con effetto di giudicato, l’annullamento dell’atto presupposto”: Cons. St., sez. V, 16 gennaio 1981 n. 3, in Foro amm., 1981, I, 1, 44.
[22] Per PICCARDI, Sulla disapplicazione degli atti amministrativi, in Riv. amm., 1968, 684, è “un errore l’affermare…che l’atto non impugnato perché al momento della sua emanazione non produceva alcuna lesione di interessi, diventi impugnabile quando tale lesione, in un momento successivo, venga a verificarsi, con decorrenza del termine per l’impugnativa dalla data appunto in cui essa si verifica”. Per l’Autore “se il regolamento può essere impugnato congiuntamente all’atto che ne fa applicazione, ciò non è perché soltanto con l’applicazione si determini la lesione di interessi”, ma perché gli effetti giuridici degli atti regolamentari sono condizionati all’emanazione di altri atti, per cui “manca oggettivamente una possibilità di lesione di interessi”. C’è da dire, però, che la produzione degli effetti giuridici dell’atto presupposto non è “condizionata” all’emanazione di altri atti, bensì, più semplicemente, ad essi “rinviata”.
[23] LA VALLE, Cognizione principale ed incidentale dei regolamenti nel giudizio amministrativo, in Jus, 1967, 154-157. Similmente BACCARINI, Il Consiglio di Stato folgorato sulla via della disapplicazione dei regolamenti, in Dir. proc. amm., 1994, 573. Contra BENVENUTI, L’impugnazione dei regolamenti, in questa rivista, 1982, II, 539. Per AMORTH, Impugnabilità e disapplicazione dei regolamenti e degli atti generali, in Problemi del processo amministrativo, Milano, 1964, 565, la lesione deriva sempre dalla disposizione regolamentare, “sia che questa disposizione sia già in grado di produrla direttamente, sia che occorra un provvedimento applicativo”. Di conseguenza, andrebbero impugnati entrambi gli atti, essendo la lesione da essi “comprodotta”. Analogamente VOLPE, La disapplicazione dei regolamenti nella recente giurisprudenza del Consiglio di Stato, in Atti del convegno “Impugnazione e disapplicazione dei regolamenti”, Torino, 1998, 178 ss. AMORTH, tuttavia, op. cit., 571, cerca poi una soluzione di compromesso, avanzando l’ipotesi che sia possibile rinvenire nel ricorso “una impugnazione implicita della disposizione regolamentare, allorchè vi sia una impugnazione formalmente ineccepibile del provvedimento applicativo, e quella relativa alla disposizione regolamentare non risulti invece enunciata, ma la pretesa lesione del ricorrente sia fatta risalire ad entrambi”. V. però VACIRCA, Appunti sulla disapplicazione dei regolamenti illegittimi nel giudizio amministrativo, in Atti del convegno “Impugnazione e disapplicazione dei regolamenti”, cit., 245, secondo cui “se si considera l’invalidazione del regolamento come un’impugnazione, soggetta a un termine di decadenza,…si finisce col negare tutela agli interessi legittimi lesi dagli ulteriori atti applicativi”.
[24] Su tali problematiche sia consentito rinviare a TREBASTONI, La disapplicazione nel processo amministrativo, in Foro amm., 2000, II, 675, 1119, passim.
[25] Si è quindi affermato, ad esempio, che “è da dichiarare inammissibile il ricorso proposto contro il provvedimento di rigetto delle opposizioni mosse dagli interessati alla proposta di varianti di un piano di espropriazione, costituendo tale proposta un atto non definitivo, ma semplicemente preparatorio”: Cons. St., sez. V, 30 dicembre 1938 n.1034, in Foro amm., 1939, I, 2, 73. Vedi anche Id. sez. IV, 20 giugno 1983 n.449, in Cons. St., 1983, I, 657; Id., sez. VI, 4 dicembre 1981 n.725, in Cons. St., 1981, I, 1463.
[26] “Solo l’atto conclusivo del procedimento è, di regola, suscettibile di ledere immediatamente od attualmente la sfera giuridica del destinatario, mentre gli atti preparatori di regola non sono impugnabili ex se, in quanto i loro vizi si ripercuotono sull’atto terminale e possono essere censurati in sede di impugnazione di questo”: Cons. St., sez. VI, 15 marzo 1999 n. 307, in Cons. St., 1999, I, 459. V. anche Cons. St., sez. VI, 3 novembre 1998 n. 1516, in Studium juris, 1999, 93, secondo cui, forse non del tutto correttamente, attesa l’apparente immediata lesività degli atti considerati, “l’invito alla licitazione privata e la deliberazione di ammissione alla partecipazione alla gara sono atti preparatori allo svolgimento della stessa: non determinano perciò alcuna lesione immediata e non sono impugnabili autonomamente, a prescindere dal provvedimento finale (sfavorevole) di aggiudicazione dell’appalto”. Analogamente Cons. St., sez. VI, 21 settembre 1987 n. 731, in Cons. St., 1987, I, 1295, nonché T.A.R. Campania, sez. II, 27 settembre 1988 n. 353, in I T.A.R., 1988, I, 3445, con riferimento alle delibere comunali di adozione di strumenti urbanistici, atti preparatori del procedimento di formazione dei piani. Per T.A.R. Sicilia, sez. I Catania, 24 febbraio 1989 n. 336, in Giur. Amm. Sic., 1989, 204, “Gli unici atti suscettibili di impugnativa giurisdizionale sono ravvisabili nella dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza e nei decreti di espropriazione e di occupazione, siccome conclusiva delle autonome fasi procedimentali e subprocedimentali nelle quali si articola l’esercizio della potestà ablatoria; non sono quindi impugnabili ex se gli atti preparatori del procedimento tra cui, in particolare, il provvedimento di reiezione delle osservazioni proposto contro il piano di esecuzione delle opere”.
[27] Così Cons. St., 9 aprile 1949 n.245, in Foro amm., 1949, I, 2, 296. Vedi inoltre Id., Sez. VI, 22 gennaio 1994 n.35, in Giur. It., 1994, III, 366, che, con riferimento ad un decreto ministeriale, ne evidenzia il “carattere meramente prodromico” e, quindi, la non impugnabilità. Id., Sez. IV, 8 giugno 1982 n. 330, in Cons. St., 1982, I, 775, con riferimento al carattere preliminare e non autonomo della deliberazione comunale di accettazione delle modifiche regionali al piano regolatore generale, rispetto al decreto finale di approvazione del piano medesimo. Id., Sez. VI, 4 dicembre 1981 n. 725, in Cons. St., 1981, I, 1463, che ritiene impugnabile solo congiuntamente al decreto di dichiarazione di pubblica utilità la deliberazione comunale che decide di procedere all’espropriazione di aree per la realizzazione di un’opera pubblica. In Cons. St., sez. V, 28 novembre 1980 n. 960, in Cons. St., 1980, I, 1560, si precisa che “l’omessa impugnazione dei singoli atti o fasi del procedimento non costituisce acquiescenza al provvedimento finale”. Ancora, poi, sull’impossibilità di impugnare atti preparatori, non lesivi, Id., Sez. V, 18 febbraio 1991 n.138, in Cons. St., 1991, I, 228; Id., Sez. V, 21 dicembre 1989 n.856, in Cons. St., 1989, I, 1550.
[28] Per Cons. St., 30 giugno 1954 n.476, in Foro amm., 1954, I, 3, 347, “è ammissibile la censura avverso il bando di concorso, dedotta in sede giurisdizionale al momento dell’impugnazione dell’approvazione della graduatoria, qualora la lesione dell’interesse, prima soltanto eventuale, si sia concretizzata solo in conseguenza di questo ultimo atto”.
[29] Così Cons. St., sez. V, 6 febbraio 1987 n.50, in Cons. St., I, 139.
[30] Cons. St., sez. V, 2 luglio 1948 n.456, in Foro amm., 1949, I, 2, 98. Vedi anche Id., Sez. VI, 2 giugno 1988 n.785, in Cons. St., 1988, I, 727; Id., Sez. VI, 9 marzo 1960 n.101, in Foro amm., 1960, I, 252. CASETTA, op. cit., 379, chiarisce che “il fenomeno è spiegabile ricorrendo all’idea della pluriqualificazione degli atti e delle fattispecie giuridiche”, nel senso che “lo stesso atto può cioè rilevare sia come atto del procedimento, sia come atto, avente effetti esterni, lesivo di posizioni giuridiche di alcuni terzi”.
[31] In questo senso vedi Cons. St., sez. V, 8 novembre 1982 n.767, in Cons. St., 1982, I, 1354; Id., Ad. Pl., 10 luglio 1986 n.8, in Cons. St., 1986, I, 759. Id., Sez. V, 29 dicembre 1987 n.832, in Foro amm., 1987, 3273, precisa che “ogni determinazione amministrativa idonea a produrre un definitivo arresto procedimentale è immediatamente impugnabile, in quanto lesiva di situazioni giuridiche esterne”.
[32] Cfr. Cons. St., sez. II, 17 aprile 1973 n.1993, in Cons. St., 1977, I, 427. Come è stato osservato, con delle precisazioni che valgono per entrambe le fattispecie evidenziate, “ciò inerisce al fatto che in simili procedimenti gli interessi di diritto amministrativo non sono tutelabili al di là della soglia dei pareri in questione”: SANDULLI, Manuale, cit., 1219.
[33] Per un caso di atti endoprocedimentali comunicati all’interessato, vedi Cons. St., sez. VI, 18 dicembre 1992 n.1135, in Cons. St., 1992, I, 1960, in cui si è comunque affermato, con riferimento al procedimento di inquadramento del personale universitario non docente, che “proposta di inquadramento e deliberazione del consiglio di amministrazione non sono impugnabili di per sè, ma unitamente al provvedimento di inquadramento del rettore, ancorchè comunicate all’interessato prima dell’adozione del provvedimento conclusivo, non essendo detta comunicazione idonea a fare assumere efficacia esterna ai suddetti atti preparatori”. In giurisprudenza si è anche ritenuto che, anche in assenza di atti che in qualche modo ledano già posizioni giuridiche, “la comunicazione ufficiale data all’interessato di un provvedimento in itinere è idonea a far decorrere il termine di impugnazione, quando essa contenga tutti gli estremi sufficienti a porre l’interessato in grado di avere piena conoscenza del dispositivo e dei motivi che, identificando senza possibilità di dubbio o di equivoco la natura e la portata dell’atto, ne renda possibile la denuncia di eventuali vizi, salvo la successiva proposizione di eventuali motivi aggiunti, qualora dalla conoscenza del contesto del provvedimento emanato emergano ulteriori elementi di illegittimità”: Cons. St., sez. IV, 30 dicembre 1949 n.435, in Giur. It., 1950, III, 131.
[34] Infatti, si è osservato, “come si può imporre ad un soggetto, a pena di decadenza, l’onere di impugnare un atto, quando ancora giuridicamente questo non esiste?”: così CASSARINO, L’impugnabilità degli atti amministrativi in corso di perfezionamento, in Riv. trim. dir. pubbl., 1962, 857. Oltretutto, la lesione che l’interesse del privato potrebbe poi subire ad opera dell’atto perfezionato è meramente eventuale, perché non può aversi la certezza che l’iter procedimentale giunga poi a compimento e l’atto venga quindi emanato. Ed è per questo che si è ad esempio affermato che “è inammissibile il ricorso avverso la intempestiva comunicazione di un futuro provvedimento alla quale non è seguito il provvedimento formale”: Cons. St., 13 luglio 1954 n.581, in Foro amm., 1955, I, 3, 20. Cfr. anche Cons. St., sez. V, 25 settembre 2000 n. 5073.
[35] Cfr. Cons. St., sez. V, 18 giugno 1949 n.523, in Foro amm., 1950, I, 2, 6.
[36] Così Cons. St., sez. V, 17 giugno 1949 n.518, in Foro amm., 1950, I, 2, 5. Più di recente, Cons. St., sez. VI, 27 agosto 1997 n. 1231, in Foro Amm., 1997, 2034: “Il provvedimento in corso, cioè il provvedimento emanato dall’amministrazione ma non ancora produttivo di effetti, non è idoneo a far decorrere il termine d’impugnazione, per il quale occorre la comunicazione legale del provvedimento definitivo. Non è ammessa, nondimeno, l’impugnazione, nel caso in cui l’interessato ne abbia avuta compiuta notizia”.
[37] Cfr. Cons. St., 30 gennaio 1951 n.34, in Foro amm., 1951, I, 3, 132.
[38] Tale problematica andrebbe peraltro coordinata con l’ipotesi che il perfezionamento dell’atto avvenga mentre è in corso il giudizio, o dopo il passaggio in giudicato della sentenza che abbia deciso il ricorso contro il provvedimento anticipatamente eseguito.
[39] Del resto, come è stato osservato, tale posizione giurisprudenziale, oltre a degradare il provvedimento perfetto al rango di atto confermativo, perché un ricorso contro tale atto non sarà proponibile, contrasta anche letteralmente con l’art. 36 del T.U. sul Consiglio di Stato, “che fa decorrere il termine per l’impugnativa dalla conoscenza dell’atto, e non dell’intenzione di emanarlo, anche se già attuata fino ad un certo punto”: GUICCIARDI, Sul termine per l’impugnativa dei provvedimenti “in corso”(nota a Cons. St., sez. IV, 30 dicembre 1949 n.435), in Giur. it., 1950, III, 131. V. anche CASSARINO, op. cit., 839.
[40] Per Cons. St., 30 ottobre 1953 n. 926, in Foro amm., 1954, I, 1, 103, “ove un atto amministrativo sia sottoposto a condizione, l’eventuale esperimento dei rimedi di giustizia non può avere inizio prima che l’atto spieghi la sua efficacia giuridica”.
[41] Cfr. CERULLI IRELLI, Corso di diritto amministrativo, Torino, 1997, 574.
[42] Così GUICCIARDI, op. cit., 133.
[43] Non sembrano persuasive le considerazioni di chi – tentando di fornire un apporto argomentativo all’orientamento di quella giurisprudenza che richiede l’impugnazione immediata dell’atto perfetto ma non ancora efficace – ha affermato che, a differenza degli atti presupposti, che il più delle volte hanno bisogno di un atto applicativo, nei casi di cui si discute “l’atto non produce una lesione immediata non perché ci sia bisogno della mediazione di atti applicativi, ma perché gli effetti concreti del provvedimento sono sospesi, in quanto sottoposti all’avverarsi di un termine, di una condizione, di una condicio juris; qui non è l’atto concretamente e direttamente pregiudizievole che manca, ma la produzione dei suoi effetti, ossia delle modificazioni giuridiche da esso stabilite”. Con la conseguenza che, mentre nel primo caso manca l’atto idoneo alla lesione, “nella seconda ciò è già accaduto, e manca soltanto il reale avverarsi delle conseguenze”: CASSARINO, op. cit., 849.
[44] Si è così correttamente affermato che “la deliberazione assunta dalla Giunta municipale coi poteri del Consiglio comunale, e dichiarata immediatamente esecutiva, è immediatamente idonea a ledere situazioni soggettive, e quindi determina negli interessati l’onere (e non la facoltà) d’impugnare il provvedimento nel termine decorrente dalla data di notifica o di piena conoscenza, senza dover attendere l’atto di ratifica, che, qualora si limiti a prendere atto dell’intervenuta delibera della Giunta ed a farla propria senza apportarvi alcuna modificazione, non è suscettibile di riaprire i termini per l’impugnazione anche dell’atto ratificato”: Cons. St., sez. V, 21 febbraio 1987 n.111, in Riv. amm., 1988, III, 1388. PIFFERI, Sulla impugnativa degli atti soggetti a controllo, in nota alla sentenza appena citata, ivi, osserva che “per la presentazione del gravame è, quindi, sufficiente la conoscenza dell’esistenza dell’atto e della sua lesività”. Come precisato da Cons. St., sez. V, 25 gennaio 1995 n. 139, in Cons. Stato, 1995, I, 58, “il termine per l’impugnazione di un atto soggetto a controllo dichiarato immediatamente esecutivo decorre dalla sua piena conoscenza, essendo esso lesivo a prescindere dall’esito del controllo”. Vedi anche Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 8 agosto 1998 n. 460, in Cons. St., 1998, I, 1228. Contra, Cons. St., sez. VI, 13 giugno 1995 n. 576, in Cons. St., 1995, 890: “la conoscenza di un provvedimento per il quale è ancora pendente la fase di controllo, integrativa dell’efficacia, non fa decorrere il termine per l’impugnativa giurisdizionale, ancorchè si tratti di provvedimento provvisoriamente esecutivo, del quale siano stati anticipati dall’amministrazione tutti o taluni degli effetti, essendo una mera facoltà dell’interessato promuovere l’azione giudiziaria per la tutela della posizione giuridica lesa, con il rischio che l’atto impugnato non superi l’anzidetta fase di controllo”. Analogamente, ma, come sembra, in maniera contraddittoria, Cons. Giust. Amm. Reg. Sic., 30 maggio 1995 n. 176, in Cons. St., 1995, I, 935: “per i soggetti direttamente interessati ed espressamente contemplati negli atti deliberativi impugnati, i termini di impugnazione non decorrono dalla pubblicazione della deliberazione (anche se dichiarata immediatamente esecutiva), ma dalla notifica o dalla comunicazione dell’atto, una volta perfezionato il relativo procedimento, ivi compresa la fase integrativa dell’efficacia e, quindi, dopo che lo stesso abbia acquistato la sua efficacia”.
[45] FEDERICI, Atto e provvedimento lesivo, conoscenza legale e piena conoscenza in riferimento all’inizio della decorrenza dei termini per ricorrere contro provvedimenti, delle Regioni ordinarie e degli Enti locali, sottoposti a controllo preventivo (nota a Cons. St., Ad. pl., 22 ottobre 1985 n.20), in Dir. proc. amm., 1986, 605.
[46] Così Cons. St., sez. V, 28 gennaio 1997 n. 92, in Cons. St., 1997, I, 76. Id., sez. V, 24 febbraio 1996 n. 230, in Cons. Stato, 1996, I, 236, afferma l’onere della p.A. di portare a conoscenza dell’interessato sia l’atto controllato che quello di controllo. Contra, Id., sez. V, 28 luglio 1987 n.480, in Riv. amm., 1988, III, 70: “ai fini della decorrenza del termine per l’impugnazione di una deliberazione comunale sottoposta a controllo, e già conosciuta dal destinatario, incombe a quest’ultimo accertare la data sotto la quale la deliberazione stessa abbia acquistato efficacia”. Per CANNADA-BARTOLI, Dubbi sui controlli (nota a Cons. St., sez. V, 23 gennaio 1991 n.78), in Foro amm., 1991, 61, “in questa prospettiva, l’esistenza del controllo, preventivo o successivo, appare connotare la lesività come incerta e quest’incertezza è connaturale ai provvedimenti oggetto di controllo, che pendent”. Comunque, precisa l’Autore, sembra che “il dubbio anticipi la soluzione”, nel senso che dovrebbe comunque essere data al privato la possibilità di reagire immediatamente contro un atto che, seppure incerto nella sua portata lesiva, quanto meno dal punto di vista della definitività degli effetti lesivi, incide comunque sugli interessi sostanziali del privato, sempre però che il privato ne sia a conoscenza.
[47] Cfr. Cons. St., sez. V, 19 marzo 1999 n. 276, in Foro Amm., 1999, 699. Secondo Cons. Giust. Amm. Sic., sez. Giurisdiz., 28 settembre 1998 n. 544, in Cons. St., 1998, I, 1440, “il termine per l’impugnazione degli atti sottoposti a controllo di legittimità e non dichiarati immediatamente esecutivi decorre soltanto dall’intervenuto controllo positivo, posto che la conoscenza costituisce l’elemento materiale della fattispecie, comprensiva dell’incidenza attuale del provvedimento sull’interesse protetto”. Per Cons. St., Ad. pl., 22 ottobre 1985 n.20, in Dir. proc. amm., 1986, 603 “il termine per l’impugnazione delle deliberazioni della Commissione di controllo sugli atti regionali decorre dalla data in cui tali deliberazioni vengono portate a conoscenza legale o di fatto dell’interessato”. Cfr. anche Id., sez. IV, 20 novembre 1998 n. 1612, in Cons. St., 1998, I, 1476. Analogamente, per Cons. St., sez. V, 12 marzo 1948 n. 160, in Rass. Dir. Pubbl., 1949, II, 381, “la piena conoscenza dell’atto amministrativo, ai fini della decorrenza del termine per ricorrere, si verifica quando l’interessato ha potuto avere notizia sia dell’esistenza e contenuto dell’atto, sia della sua autenticità ed efficacia”. Contra, Id., sez. V, 7 marzo 1987 n.168, in Foro amm., 1987, 492, secondo cui “il termine di decadenza per l’impugnazione di un provvedimento amministrativo sottoposto a controllo sospensivo decorre dalla data in cui questo è intervenuto positivamente, a nulla rilevando che l’interessato, cui sia noto il provvedimento lesivo, abbia altresì avuto conoscenza legale dell’atto di controllo”. Vedi PUGLIATTI, Pubblicità, pubblicazione, conoscenza effettiva e presunzione di conoscenza (nota a Cons. St., sez. IV, 8 aprile 1960 n. 344), in Foro amm., 1960, I, 807, che esclude la vigenza in termini generali di un dovere o di un onere di conoscenza a carico del privato.
[48] Cfr. CASETTA, op. cit., 378.
[49] Così Cons. St., sez. V, 6 ottobre 1986 n. 499, in Foro amm., 1986, 2139. Vedi anche Tar Marche, 10 aprile 1992 n. 184, in Giust. Civ., 1993, I, 295; Tar Liguria, 28 aprile 1983 n. 277, in I T.A.R., 1983, I, 2083.
[50] Cfr. Cons. St., sez. V, 6 marzo 1990 n. 262, in Cons. St., 1990, I, 418. Vedi anche Id., sez. V, 11 maggio 1998 n. 543, in Foro amm., 1998, 1395; Id., sez. V, 6 dicembre 1994 n. 1460, in Cons. St., 1994, I, 1730; Id., sez. IV, 23 maggio 1991 n. 445, in Foro amm., 1991, 1392; Id., sez. V, 5 ottobre 1987 n. 598, in Cons. St., 1987, I, 1411. in altri termini, la pubblicazione all’albo determina la conoscenza legale solo per i soggetti non contemplati nell’atto deliberativo: cfr. Tar Lazio, sez. I, 19 luglio 1999 n. 1652, in I T.A.R., 1999, I, 3049. Oltretutto, bisogna anche rilevare che, ai sensi degli artt. 3 e 7 della legge 241/90, vi è l’onere per l’Amministrazione di comunicare il provvedimento lesivo a tutti i soggetti nei confronti dei quali è destinato a produrre effetti diretti, nonché a quelli, individuati o facilmente individuabili, diversi dai suoi diretti destinatari: cfr. Cons. St., sez. II Pareri, 9 aprile 1997 n. 1418, in Cons. St., 1998, I, 1464.
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