L’articolo 11 del decreto legge 13 agosto 2011, n. 138 convertito con modificazioni in Legge 14 settembre 2011, n. 148 reca nel titolo “Livelli di tutela essenziali per l’attivazione dei tirocini”. In sintesi i punti qualificanti della norma sono i seguenti:
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I tirocini contemplati dalla norma sono i “tirocini formativi e di orientamento”
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tali tirocini possono “essere promossi unicamente da soggetti in possesso degli specifici requisiti preventivamente determinati dalle normative regionali in funzione di idonee garanzie all’espletamento delle iniziative medesime”.
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tali tirocini non possono avere una durata superiore a sei mesi, proroghe comprese,
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da tale regola sono esclusi:
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I tirocini formativi e di orientamento per i disabili, gli invalidi fisici, psichici e sensoriali, i soggetti in trattamento psichiatrico, i tossicodipendenti, gli alcolisti e i condannati ammessi a misure alternative di detenzione
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I tirocini “curriculari”
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I tirocini possono essere promossi unicamente a favore di neodiplomati o neo-laureati
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entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio.
Il comma 2 dell’articolo 11 aggiunge, inoltre, che, in assenza di specifiche regolamentazioni regionali trovano applicazione, per quanto compatibili con le disposizioni di cui al comma che precede, l’articolo 18 della legge 24 giugno 1997 n. 196 e il relativo regolamento di attuazione.
La norma trae origine dall’accordo per il rilancio del contratto di apprendistato siglato il 27 ottobre 2010 tra Governo, Regioni e parti sociali. In quella sede le parti “hanno convenuto in merito alla necessità di pervenire a un quadro più razionale ed efficiente di utilizzo dei tirocini formativi e di orientamento al fine di valorizzarne le potenzialità in termini di occupabilità dei giovani e prevenire gli abusi e un loro utilizzo distorto.”. 1 Tutto ciò ha trovato ulteriore conferma nel più recente accordo tra Governo e parti sociali dell’11 luglio 2011.
Più in particolare la norma si propone di definire “livelli essenziali di tutela” e, quindi, ricondurre l’utilizzo dei tirocini alla loro “caratteristica principale, quale preziosa occasione di formazione e orientamento dei giovani a stretto contatto con il mondo del lavoro, fornendo altresì ai servizi ispettivi una strumentazione omogenea sull’intero territorio nazionale per contrastarne l’utilizzo abusivo e fraudolento.”2
La competenza esclusiva delle Regioni
La disposizione di cui all’articolo 11 del DL 138 parla, come premesso, esclusivamente di tirocini “formativi e di orientamento”. Anche l’articolo 18 della legge 196/1997 parla di “tirocini pratici e stages” attivabili al fine “di realizzare momenti di alternanza tra studio e lavoro e di agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro”: il tirocinio o stage, pertanto, non è finalizzato al “reinserimento” o all’ “inserimento” del tirocinante nel mondo del lavoro3. Lo stesso decreto ministeriale 142/1998, attuativo dell’articolo 18 della citata legge 196/1997, all’articolo 7 lettera b) parla di “lavoratori inoccupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste di mobilità” ma la legge di riferimento, cui ovviamente è subordinato il decreto ministeriale, non parla di “inoccupati o disoccupati”4. Non pare infine condivisibile la tesi, contenuta nella circolare n. 4/2011 della Fondazione studi dei Consulenti del lavoro, secondo cui i tirocini di inserimento/reinserimento lavorativo si desumerebbero dall’articolo 2 lett. B) del d.lgs. 276/20035 (tale norma contiene delle semplici definizioni).
Tanto premesso la circolare ministeriale n. 24 del 12 settembre, invero intervenuta a tempo di record rispetto ai tempi di conversione della legge, distingue nettamente i tirocini di “formazione e orientamento” dai tirocini di “reinserimento/inserimento”: ”Non rientrano invece nel campo di applicazione del decreto … i tirocini di cosiddetto reinserimento/inserimento al lavoro svolti principalmente a favore dei disoccupati, compresi i lavoratori in mobilità, e altre esperienze a favore degli inoccupati la cui regolamentazione rimane integralmente affidata alle Regioni fermo restando, per quanto attiene alla durata massima, il disposto di cui all’articolo 7, comma 1, lett. b), del D.M. 25 marzo 1998, n. 142.”. Escluso che la circolare n. 24 abbia voluto rendere i tirocini di inserimento “una categoria autonoma anche sul piano giuridico”6 atteso che, come noto, la circolare vincola solo l’amministrazione di appartenenza e non è idonea a incidere su una materia sulla quale persistono finanche fondati dubbi sulla competenza del legislatore ordinario, è opportuno rilevare che il “genus” dei tirocini di “reinserimento/inserimento” lavorativo è di costruzione esclusivamente amministrativa o regolamentare (prescindendo, ovviamente, dalla legislazione regionale). Tracce se ne trovano nella nota del 2 aprile 2010, n. 7 (richiamata espressamente dalla circolare 24) , concernente la possibilità di attivare percorsi di tirocinio “atipici”, ai sensi dell’art 1322 c.c., in favore di categorie di persone a rischio di esclusione sociale ovvero promossi da soggetti diversi da quelli tassativamente indicati dall’art. 18, L. n. 196/1997 e dalla relativa disciplina regionale. Ulteriore cenno lo si rinviene nella nota Minlav del 14 febbraio 2007 – Prot. 13/SEGR/0004746, con riferimento all’obbligo di comunicazione al centro per l’impiego: “Di converso, rientrano negli obblighi di comunicazione i tirocini promossi dai centri per l’impiego e da altri soggetti operanti nel campo delle politiche del lavoro a favore di soggetti inoccupati o disoccupati, nonché di soggetti svantaggiati o di disabili, con la finalità di favorirne l’inserimento lavorativo.”. Poiché nella legislazione ex articolo 11 in commento ed ex lege 196/1997 è assente la tipologia del tirocinio di inserimento/reinserimento lavorativo ( vedi sopra), il riferimento operato dalla circolare 24 non può che attenere alle singole legislazioni regionali. Ad esempio la “Carta dei tirocini e stage di qualità in regione Toscana7”, laddove il tirocinio viene definito una misura di accompagnamento al lavoro finalizzata a creare un contatto diretto tra una persona in cerca di lavoro ed un’azienda allo scopo sia di permettere al tirocinante di acquisire un’esperienza per arricchire il proprio curriculum sia di favorire una possibile costituzione di un rapporto di lavoro con l’azienda ospitante. ” Si noti che la Carta include espressamente “i tirocini soggetti all’obbligo di comunicazione obbligatoria ai Centri per l’impiego”, ossia i tirocini di inserimento/reinserimento lavorativo, nonché i “tirocini formativi e di orientamento” mentre esclude “gli stage/tirocini curriculari promossi da università, istituzioni scolastiche, centri di formazione professionale e i periodi di pratica professionale” . Incidentalmente si osserva che si profilano già delle discrepanze tra la normativa regionale e quella statale: ad esempio nella citata Carta si legge che “La durata del tirocinio deve essere diversificata a seconda delle mansioni svolte e del relativo progetto formativo e comunque non deve superare i sei mesi (non inferiore ad un mese per i profili più elementari) fatto salvo un periodo formativo fino a dodici mesi per i profili più elevati.”. L’ultimo periodo confligge manifestamente, nel caso trattasi di tirocinio formativo, con la chiara lettera dell’articolo 11 del decreto legge.
Allo stesso modo non sembra condivisibile l’inciso, contenuto nella circolare 24, secondo cui “i tirocini di cosiddetto reinserimento/inserimento al lavoro svolti principalmente a favore dei disoccupati, compresi i lavoratori in mobilità, e altre esperienze a favore degli inoccupati la cui regolamentazione rimane integralmente affidata alle Regioni” sono comunque assoggettati, per quanto attiene alla durata massima, al disposto di cui all’articolo 7, comma 1, lett. b), del D.M. 25 marzo 1998, n. 142 (ossia non superiore a sei mesi nel caso in cui i soggetti beneficiari siano lavoratori inoccupati o disoccupati ivi compresi quelli iscritti alle liste di mobilità). Il regolamento ministeriale, come già rilevato, nel ricomprendere gli inoccupati e i disoccupati tra i soggetti destinatari dei tirocini (di inserimento e reinserimento) opera chiaramente una indebita forzatura nei confronti della legge (alla quale è ovviamente subordinato), in una materia, peraltro, di cui si dubita la stessa competenza del legislatore statale.
Qualche osservazione
Intanto appare singolare che le “norme essenziali di tutela” in materia di tirocini di cui all’articolo 11 siano destinate esclusivamente ai tirocini di formazione ed orientamento e non, come sarebbe stato possibile, anche ai tirocini di inserimento/reinserimento lavorativo. Come si ricorderà la Corte costituzionale, con sentenza n. 50 del 2005, dichiarò la incostituzionalità della disciplina contenuta nell’articolo 60 del D.Lgs. 276/2003 ( Tirocini estivi di orientamento) sulla base di una motivazione piuttosto stringata e apodittica: “Infatti, la disciplina dei tirocini estivi di orientamento, dettata senza alcun collegamento con rapporti di lavoro, e non preordinata in via immediata ad eventuali assunzioni, attiene alla formazione professionale di competenza esclusiva delle Regioni.”. A noi sembra, dall’esame dello scrutinio condotto dalla Corte costituzionale nella citata sentenza, possa – a contrario – ipotizzarsi la competenza dello Stato nella regolamentazione dei tirocini di inserimento/reinserimento purchè collegati (in via immediata o quantomeno diretta) ad una eventuale assunzione e/o ingresso nel mondo del lavoro del tirocinante (in questo caso si potrebbe ipotizzare la sussistenza di relazioni giuridiche private riconducibili alla materia costituzionale “ordinamento civile”, almeno nell’ambito di “concorrenza di competenze e non di competenza ripartita o concorrente” ). Ci sembra però che l’esigenza di non incidere sui rapporti di tirocinio direttamente e immediatamente collegati al mondo del lavoro derivi da considerazioni strettamente politiche (in primis la necessità di non creare un “doppione” del rapporto di apprendistato). I livelli essenziali stabiliti dalla norma ( in sintesi: a) la durata massima (sei mesi); b) la circostanza che possono essere promossi unicamente a favore di neodiplomati o neo-laureati c) entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del relativo titolo di studio) si prestano a delle critiche. Ad esempio si è detto, relativamente al periodo di durata massima del tirocinio, che “E’ nostra convinzione che sei mesi siano più che sufficienti per valutare un giovane tanto e vero che è questo il limite legale del patto di prova come previsto dal Codice Civile del lontano 1942.”8: ma in un tirocinio di “formazione e orientamento” la durata dello stesso non può essere assimilata ad un periodo di prova (il quale, oltre ad essere accidentale, assolve alla diversa funzione di consentire alle parti di pervenire ad una migliore valutazione del lavoratore riguardo alla convenienza reciproca di un eventuale rapporto di lavoro definitivo). Anzi si dovrebbe presumere che in un tirocinio formativo la durata sia in qualche modo modulata sulla natura e sul livello di competenze da trasferire al tirocinante (ed oggettivamente il limite massimo di sei mesi appare in taluni casi insufficiente). Viceversa manca nella norma qualsiasi accenno all’obbligo di assicurazione antinfortunistica (certamente da considerare “livello essenziale” delle prestazioni con riferimento ai diritti sociali dei tirocinanti), se tale non vuol essere inteso il generico richiamo al regolamento ministeriale.
Considerazioni possono essere fatte anche sul merito della norma. Non si capisce ad esempio la limitazione operata riguardo ai soggetti destinatari (unicamente neodiplomati e neolaureati), per di più entro e non oltre dodici mesi dal conseguimento del titolo di studio. Se si comprende la esclusione dei disoccupati e degli inoccupati (nel primo caso il tirocinio avrebbe assunto i connotati del tirocinio di inserimento, nel secondo del reinserimento), non si comprende la esclusione operata ai danni di altre categorie: ad esempio coloro che hanno terminato un master universitario. Inoltre la norma sembra privilegiare i giovani (con l’inserimento del termine temporale dei dodici mesi dal conseguimento del titolo). Vero è che l’articolo 1 dell’articolo 18 della legge 196/1997, nel parlare di tirocini formativi e di orientamento, si riferiva esplicitamente a «momenti di alternanza tra studio e lavoro» e di esperienze tese ad «agevolare le scelte professionali mediante la conoscenza diretta del mondo del lavoro». Ma il mondo del lavoro non è sempre lo stesso, ovvero non esiste un solo settore lavorativo . Il giovane che si affaccia nel mondo del lavoro nel settore, ad esempio, sanitario potrebbe trovare utile riaffacciarvisi decine di anni dopo in un settore affatto diverso, ad esempio informatico. Perché negargli in questo caso l’opportunità di un tirocinio formativo?
Appare sensata l’idea che, nell’impianto disegnato dall’intrecciarsi della norma legale con quella amministrativa, i tirocini formativi e di orientamento siano destinati ai giovani mentre quelli di inserimento/reinserimento lavorativo appaiono destinati ai meno giovani: questi ultimi “ rappresentano la ragionevole opportunità concessa a un lavoratore in mobilità o a un vero disoccupato, specie in aree svantaggiate, di reinserirsi nel mondo del lavoro con quello che c’è, per esempio un tirocinio promosso da un centro per l’impiego.” 9 Ma se tale esigenza era così sentita perché non regolamentarla, almeno nei livelli essenziali (anche atteso che la Corte costituzionale, nella sentenza 50, ne aveva implicitamente ammesso –a contrario – la regolabilità con fonte statale a condizione che esistesse un collegamento immediato col mondo del lavoro) con una norma di legge anziché con una circolare amministrativa ? e quanto giusitificato appare il timore (di natura squisitamente politica) di fare del tirocinio di inserimento/reinserimento un “doppione” dell’apprendistato se il primo pare destinato, quasi esclusivamente, ai meno giovani? Pare indubbio che persistendo la latitanza della legge (statale), l’unica fonte possibile del tirocinio di inserimento/reinserimento lavorativo potrà essere la fonte (legge) regionale che, come noto, è fortemente carente sul punto. Il risultato, paradossale, è che una norma (l’articolo 11) concepita per eliminare gli abusi, con la successiva coda della circolare 24 fortemente critica verso il comportamento delle regioni, in realtà avvalora e alimenta (non tanto per quello che dice, quanto per ciò che non dice) il persistere di un sistema duale nel nostro ordinamento lavoristico, a tutto svantaggio dei soggetti (già) svantaggiati (inoccupati e disoccupati).
Una questione aperta: la certificabilità del tirocinio
Una interessante questione concerne il possibile assoggettamento del tirocinio alla procedura di certificazione dei contratti di lavoro di cui agli artt. 75 e ss del D.Lgs. 276/2003. Recita l’articolo 75, nella attuale formulazione:” 1. Al fine di ridurre il contenzioso in materia di lavoro, le parti possono ottenere la certificazione dei contratti in cui sia dedotta, direttamente o indirettamente, una prestazione di lavoro secondo la procedura volontaria stabilita nel presente titolo”.
E’ noto che il tirocinio o stage non costituisce un rapporto di lavoro (conferma l’articolo 18 co.1 lett. D della legge 196/1997); anche la giurisprudenza è consolidata nel ritenere che “l’addestramento professionale non rientra nell’ambito del lavoro subordinato, a differenza dell’apprendistato in quanto, pur essendo nell’uno come nell’altro presente una prestazione di attività fisica o intellettuale da parte dell’allievo o dell’apprendista, nel primo l’unico oggetto del contratto è l’insegnamento impartito (o fatto impartire) dall’imprenditore ai fini della formazione professionale dell’allievo e la prestazione di attività da parte di quest’ultimo, in quanto richiesta solo perché lo stesso acquisisca le nozioni pratiche necessarie alla suddetta formazione, è estranea al sinallagma contrattuale e, perciò, non in rapporto di corrispettività con l’addestramento, né con l’eventuale indennità mensile o giornaliera” 10.
Pertanto l’unica possibilità di farlo rientrare nelle previsioni del citato articolo 75 si verifica nel caso in cui sia dedotta, all’interno dello stesso tirocinio, un indiretta prestazione di lavoro. Resta infatti esclusa dal rapporto di tirocinio la individuazione di una prestazione diretta lavorativa dal momento che l’attività del tirocinante svolta presso il soggetto ospitante non si configura alla stregua di un vero e proprio rapporto di lavoro (l’attività è svolta nell’interesse dello stesso tirocinante e non del soggetto ospitante, manca una vera e propria retribuzione ec.). La stessa equiparazione dei tirocinanti ai lavoratori quanto all’applicabilità della tutela prevenzionistica in materia di igiene e sicurezza rileva “di fatto dalla relazione del tirocinante con l’ambiente di lavoro”11 e dal punto di vista giuridico “rileva sul piano pubblicistico nell’ambito di una disciplina che, non a caso, è presidiata da sanzioni penali e amministrative”12
Tanto premesso pare di poter concludere sulla non certificabilità del “tirocinio formativo o di orientamento” (ex articolo 11 DL 183/2011), ossia , per usare le parole della Corte costituzionale, dei tirocini “ senza alcun collegamento con rapporti di lavoro, e non preordinati in via immediata ad eventuali assunzioni”, mancando qualsiasi riferimento, indiretto e indiretto, ad un rapporto di lavoro ( come richiesto dall’articolo 75).
Viceversa potrebbe essere ammissibile ( ma non vi sono certezze sul punto) una certificazione dei tirocini di inserimento e reinserimento lavorativo, ossia di quei tirocini, di esclusiva competenza regionale stante l’attuale silenzio del legislatore statale, in qualche modo collegati o preordinati ad una eventuale e successiva assunzione del tirocinante. In tal caso potrebbe essere invocata la lettera della legge laddove richiede, quale condizione per la certificabilità del contratto, una deduzione (almeno) indiretta del rapporto di lavoro (qui si tratterebbe di una deduzione futura ed eventuale), avendo cura di verificare, sulla base della legislazione regionale di competenza, i contenuti e la natura del tirocinio.
1 Circolare Minlav n,. 24 del 12 settembre 2011. Conf. Senato della Repubblica, Relazione all’art. 11, DDL 2887
2 Circolare Minlav n,. 24 cit.
3 Conferma M. Tiraboschi in http://www.repubblicadeglistagisti.it :” leggendo bene la legge 196/1997 e il decreto ministeriale 142/1998, si vedrà che l’oggetto della legislazione previgente erano unicamente i tirocini con valenza formativa o di primo contatto col mondo del lavoro.”
4 “Il decreto ministeriale è subordinato alla legge, e la legge non parlava di disoccupati: ricomprenderli è stata una chiara forzatura, facendolo si è aggiunta una categoria non contemplata dal campo di applicazione della legge 196. I lavoratori in mobilità o che hanno perso il posto non necessitano certo di un primo contatto nel mondo del lavoro. Quindi, ribadisco, non hanno bisogno di tirocini di orientamento, bensì di tirocini di inserimento e reinserimento.” M.Tiraboschi, cit.
5 Si legge nella circolare::” E’ possibile distinguere i tirocini: – finalizzati alla formazione e orientamento che si pone l’obiettivo di agevolare le scelte professionali e la occupabilità dei giovani nella fase di transizione dalla scuola al lavoro mediante una formazione in ambiente produttivo e una conoscenza diretta del mondo del lavoro (art. 18, legge 196/1997 e DM 142/1998); – per l’inserimento/reinserimento lavorativo (art. 2, lett. b) D.Lgs. 276/2003), svolti nei confronti di disoccupati, inoccupati o coloro che hanno perso momentaneamente il posto di lavoro; ….”
6 G.Falasca, “Tirocini per i disoccupati con disciplina autonoma”, Sole 24Ore 16 settembre 2011
7 Delibera Giunta Regionale n. 339 del 09.05.2011
8 M.Tiraboschi “Tirocini: il machismo (e l’impotenza) delle Regioni, l’ipocrisia delle imprese” in www.adapt.it
9 Conferma M.Tiraboschi, cit.
10 Tra le tante Cass n. 630/1998, Cass., n. 5731/1990; Cass., S.U., n. 4814/1986
11 M.Persiani “I nuovi contratti di lavoro”, 2010
12 P.Pascucci “Stage e lavoro: la disciplina dei tirocini formativi e di orientamento”, 2008
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