Tra dolo eventuale e omicidio preterintenzionale. Una risposta della cassazione

L’omicidio preterintenzionale, disciplinato dall’art. 584 del codice penale, rappresenta quasi un unicum all’interno del nostro panorama normativo, in quanto è l’unico reato inquadrabile all’interno del dettato di cui all’art. 43 comma I voce “preterintenzionale” che il legislatore del 1930 aveva originariamente previsto. Solo nel 1978, infatti, la legge n. 194 inserì, tra le ipotesi delittuose, la fattispecie di aborto preterintenzionale, oggi confluita nell’art. 593 ter c.p..

La preterintenzione costituisce un crocevia di istituti teorici del diritto penale, i quali, unitamente intesi, si intrecciano in un groviglio spesso difficile da sciogliere: basti pensare, a mero titolo di esempio, al rapporto che intercorre con l’art. 586 c.p., il quale, disciplinando il caso di “morte o lesioni come conseguenza di altro delitto”, descrive una fattispecie quasi speculare (più che speciale ex art. 15 c.p.) rispetto all’art. 584 c.p..

Oggetto di analisi del presente contributo vuole essere, però, il rapporto tra l’omicidio preterintenzionale e l’omicidio ex art. 575 c.p. a titolo di dolo eventuale.

Dolus eventualis e preterintenzione, essendo figure borderline all’interno della teoria del reato e, in particolare, dell’elemento soggettivo, possono creare disarmonie nel sistema e questioni per gli interpreti ai quali la giurisprudenza ha cercato di porre rimedio in maniera (più o meno) risolutiva.

Indice:

  1. Il dolo eventuale
  2. L’omicidio preterintenzionale
  3. La sentenza  11946/2020
  4. Conclusioni

Il dolo eventuale

Il dolo eventuale è una figura evanescente, sfumata e fugace, una sirena tra le onde del diritto penale, una chimera tra le norme dell’ordinamento. Definirlo è una tra le imprese più ardue che la storia del diritto ricordi, e solo i penalisti più preparati (e più arditi) sono in grado di affrontarla.

Chi scrive non è certo tra questi; l’unica cosa che può fare è ricordare brevemente gli approdi che i maestri, con l’ausilio della giurisprudenza, hanno raggiunto sul punto nel corso dei decenni.

Tra loro, pionieristica è l’opera – e celebre è divenuta la sua “formula” – del tedesco Reinhard Frank, ideatore della concezione normativa della colpevolezza, il quale, nei suoi scritti, ravvisa il dolo eventuale allorquando l’agente non si trattenga dalla condotta illecita neppure laddove abbia contezza della sicura verificazione dell’evento.

Sulla scia del suo pensiero e con l’avvento del Codice Rocco in Italia, il dolo eventuale è stato successivamente interpretato alla luce della struttura e secondo il disposto dell’art. 43 c.p.: al fine della sua configurazione, si è richiesta primariamente la volontà criminosa, intesa come spinta propulsiva verso l’evento, più forte della controspinta negativa derivante dalla sua rappresentazione.

La dottrina più recente e le Sezioni Unite del 2014 (ThyssenKrupp) parlano, a tal proposito, di “accettazione del rischio” di verificazione dell’evento, tracciando così la linea di confine con l’altra figura della colpa cosciente, definita come “rappresentazione senza volontà” e, quindi, senza accettazione del rischio del fatto delittuoso.

L’ omicidio preterintenzionale

L’omicidio con preterintenzione, a sua volta, costituisce altro ibrido eccellente, “figlio di genitori noti solo in parte”.

Nasce dalla volontà di un crimen minor, dall’intenzione di percuotere o ledere il corpo di altri; a questa, si unisce una sposa crudele e misteriosa quanto la morte del percosso o del leso.

Cosa si nasconde, in realtà, sotto il suo velo? Una responsabilità per colpa o una responsabilità oggettiva?

I sostenitori della prima tesi rammentano il primo comma dell’art. 27 Cost., alla luce delle sentenze Dell’Andro del 1985; i sostenitori della seconda ritengono i primi “offensivi” nei confronti del legislatore, il quale sarebbe ritenuto – in maniera inammissibile – non soltanto artefice della retta giustizia, ma anche della retta in-giustizia.

La sentenza  11946/2020

Possono due istituti tanto complessi e dai contorni così sfumati distinguersi in concreto?

Un’indicazione giunge dalla Corte di Cassazione, la quale, con sentenza del 2020 n. 11946, si è pronunciata su un fatto alquanto singolare, descritto dal capo d’imputazione come l’«avere, all’interno dell’abitazione della zia (…), con atto diretto a commettere il delitto di cui all’art. 582 c.p. e precisamente eseguendo una presa al collo da dietro volta ad immobilizzarla mediante interruzione del flusso sanguigno al cervello e perdita di coscienza entro pochi secondi, cagionato la morte della stessa zia avvenuta per arresto cardiaco secondario ad aritmia riflessa conseguente ad eccessiva stimolazione meccanica del seno carotideo (morte cardiaca a etiopatogenesi elettrica conseguente a disregolazione del sistema nervoso autonomo secondaria a manipolazione meccanica esterna dei baroricettori carotidei situati a livello del collo)».

Gli Ermellini hanno ravvisato “(i)l criterio distintivo fra le due ipotesi di reato previste dagli artt. 575 e 584 cod. Pen. (…) nella diversità dell’elemento psicologico che nell’omicidio preterintenzionale consiste nella volontarietà delle percosse o delle lesioni alle quali consegue la morte dell’aggredito come evento non voluto neppure nella forma eventuale ed indiretta della previsione e del rischio. Invero, allorquando l’agente abbia agito con dolo alternativo, con la volontà cioè di ferire o di uccidere indifferentemente o con dolo eventuale, vale a dire con previsione o rappresentazione dell’evento in termini di probabilità e di accettazione del rischio, non può ricorrere l’ipotesi preterintenzionale che presuppone l’accertata esistenza di volontà unicamente diretta a ledere o percuotere. Secondo il costante insegnamento della Corte di cassazione si configura il delitto di omicidio volontario – e non quello di omicidio preterintenzionale, caratterizzato dalla totale assenza di volontà omicida – qualora, come nella specie, la condotta dell’agente, alla stregua delle regole di comune esperienza, dimostri la consapevole accettazione da parte del medesimo anche solo dell’eventualità che dal suo comportamento potesse derivare la morte del soggetto passivo».

Dal passo della sentenza sopra riportato, l’unico elemento in grado di differenziare i reati di omicidio volontario (anche) a dolo eventuale e l’omicidio preterintenzionale sarebbe l’evento oggetto di rappresentazione e volontà.

Tuttavia la preterintenzione, basata primariamente sul dolo del fatto voluto, non escluderebbe di per sé il dolo eventuale dell’evento finale. Sarebbe possibile, infatti, che un omicidio preterintenzionale con dolo eventuale del fatto voluto (ovvero la sua rappresentazione e accettazione del rischio) unito alla colpa (per i più sensibili al principio di personalità) o alla responsabilità oggettiva (per i meno sensibili): sulla base dell’art. 43 c.p. e della teoria della condicio sine qua non, infatti, l’accettazione del rischio di un primo evento da cui deriva un secondo evento che oltrepassa l’intenzione è essa stessa preterintenzione.

Il vero problema, allora, starebbe nella prova dell’elemento soggettivo, ovvero nella comprensione, in sede giudiziale, del punto di vista psicologico dell’agente al momento del fatto: è l’antico problema dell’onus probandi (diabolico) del dolo.

Conclusioni

In conclusione, sulla base delle statuizioni della Suprema Corte, le figure dell’omicidio a dolo eventuale e dell’omicidio preterintenzionale non soltanto si differenziano per struttura, collocazione dogmatica e definizione, ma risultano essere, altresì, distinti sulla base dell’oggetto dell’elemento soggettivo: nel primo, oggetto del dolo sarà l’omicidio in sé e per sé; nel secondo, invece, saranno oggetto di dolo soltanto le percosse o le lesioni prodromiche all’evento finale.

 

 

Sentenza collegata

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Guglielmo Sacco

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