La Corte Costituzionale, con sentenza n. 201/2023, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
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Indice
1. I fatti
Questa decisione scaturisce dal procedimento celebrato nei confronti dei soggetti imputati per il delitto di associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti di cui all’art. 74, commi 1 e 2, T.U. stupefacenti, aggravato ai sensi del comma 3 dello stesso art. 74 e dell’art. 61, n. 9), cod. pen., per essersi associati in numero superiore a dieci persone, alcune delle quali dedite all’uso di stupefacenti, al fine di compiere attività di acquisto, detenzione ai fini di spaccio e spaccio di stupefacenti, all’interno di un reparto del Centro penitenziario di Napoli-Secondigliano.
Il giudice a quo illustra come, alla luce delle risultanze processuali, sussista la responsabilità degli imputati per il delitto di cui sopra.
D’altro canto, gli imputati sono divenuti collaboratori di giustizia e hanno reso dichiarazioni etero e autoaccusatorie, di decisiva importanza per lo sviluppo delle indagini.
Di conseguenza, sarebbe risultata applicabile, nei confronti degli imputati, la circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, T.U. stupefacenti (collaborazione), che prevede una diminuzione di pena dalla metà a due terzi per chi si sia efficacemente adoperato per assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti, oltre alle attenuanti generiche.
Allo stesso tempo, sussisteva la recidiva reiterata, specifica e infraquinquennale a carico degli imputati essendo tutti, ad avviso del rimettente, “intranei a sodalizi camorristici e quindi dediti per scelta di vita a commettere gravissimi reati, ciascuno con numerosi precedenti penali espressivi sia di una accentuata colpevolezza, sia di una tendenza a delinquere davvero incontenibile“.
In ogni caso, secondo il giudice a quo, l’attenuante della collaborazione di cui all’art. 74, comma 7, T.U. stupefacenti dovrebbe essere considerata prevalente sulle aggravanti contestate, nonché sulla recidiva di cui all’art. 99, comma 4, cod. pen.
Ma, in assenza di una declaratoria di illegittimità costituzionale del divieto contenuto nell’art. 69, comma 4, cod. pen. – che impedisce la prevalenza dell’attenuante in questione sulla recidiva di cui sopra – gli imputati dal giudizio a quo “subirebbero un trattamento sanzionatorio pari o addirittura peggiore rispetto ai coimputati che essi hanno contribuito in materia decisiva a far arrestare e condannare“.
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2. La tesi del rimettente
Sul punto, il rimettente richiama diffusamente le argomentazioni della sentenza n. 74/2016 della Corte Costituzionale, la quale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, comma 4, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza sulla recidiva reiterata della circostanza attenuante della collaborazione prevista dall’art. 73, comma 7, T.U. stupefacenti, per chi si dissoci, in quel caso, da fatti di traffico di stupefacenti commessi al di fuori di un contesto associativo.
Prosegue il giudice a quo sottolineando come le considerazioni allora espresse in tale sentenza “– secondo cui la norma censurata, impedendo la disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti, ne frustrava in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché faceva venire meno quell’incentivo (la sensibile diminuzione di pena) sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa – varrebbero a fortiori nel caso di specie“.
Inoltre, l’irragionevolezza del divieto emergerebbe altresì dal raffronto con il regime di circostanza attenuante prevista per i delitti di tipo mafioso dall’art. 416-bis.1, comma 3, cod. pen., caratterizzata, secondo il rimettente, dalla medesima ratio di quella che sorregge la disposizione censurata. Tale attenuante, “per consolidata giurisprudenza, non è soggetta al giudizio di bilanciamento tra circostanze eterogenee ed è di applicazione obbligatoria laddove la circostanza attenuante dell’art. 74, comma 7, d.P.R. 309/1990 non solo è soggetta al giudizio di bilanciamento, ma non può neppure prevalere sulla recidiva reiterata“.
Tale divieto, inoltre, rappresenterebbe un vulnus nel principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost. e, specialmente, nel principio di proporzionalità della pena di cui all’art. 27, comma 3, Cost. “sia sotto il profilo della sua funzione rieducativa che di quella retributiva, in quanto una pena che non tenga in debito conto della proficua collaborazione prestata per effetto di una dissociazione post- delictum, spesso sofferta, e che può esporre a gravissimi rischi personali e familiari, da un lato non può correttamente assolvere alla funzione di ristabilimento della legalità violata, dall’altro – soprattutto – non potrà mai essere sentita dal condannato come rieducatrice“.
3. Collaborazione e recidiva reiterata: l’analisi della Corte Costituzionale
La Corte Costituzionale, nell’ammettere le questioni, sottolinea che, come già osservato dal rimettente, si era già dovuta pronunciare su un caso analogo con la sentenza 76/2016 cit. nella quale si era, appunto, già dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, comma 4, cod. pen. “nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza della parallela circostanza attenuante di cui all’art. 73, comma 7, T.U. stupefacenti, che – rispetto al delitto di traffico di sostanze stupefacenti compiuto al di fuori di un contesto associativo, prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi per chi si adopera per evitare che l’attività delittuosa sia portata a conseguenze ulteriori, anche aiutando concretamente l’autorità di polizia o l’autorità giudiziaria nella sottrazione di risorse rilevanti per la commissione dei delitti“.
Ad avviso della Consulta, si è in quell’occasione osservato che l’attenuante di cui all’art. 73, comma 7 “è espressione di una scelta di politica criminale di tipo premiale, volta a incentivare, mediante una sensibile diminuzione di pena, il ravvedimento post-delittuoso del reo, rispondendo, sia all’esigenza di tutela del bene giuridico, sia a quella di prevenzione e repressione dei reati in materia di stupefacenti» e si era aggiunto che «il divieto assoluto di operare tale diminuzione di pena in presenza di recidiva reiterata del reo impedisce alla disposizione premiale di produrre pienamente i suoi effetti e così ne frustra in modo manifestamente irragionevole la ratio, perché fa venire meno quell’incentivo sul quale lo stesso legislatore aveva fatto affidamento per stimolare l’attività collaborativa. Ciò anche considerando che la scelta di collaborare – pur non comportando necessariamente la resipiscenza del reo e potendo essere il frutto di mero calcolo – implica comunque il distacco dell’autore del reato dall’ambiente criminale nel quale la sua attività in materia di stupefacenti era inserita e trovava alimento, e lo espone non di rado a pericolose ritorsioni, determinando così una situazione di fatto tale da indurre in molti casi un cambiamento di vita“.
Ebbene, la Corte ritiene che tali considerazioni non possono non valere anche rispetto alla circostanza attenuante della collaborazione di cui all’art. 74, comma 7 che, perimenti, prevede la diminuzione della pena dalla metà a due terzi “per chi si sia efficacemente adoperato epr assicurare le prove del reato o per sottrarre all’associazione risorse decisive per la commissione dei delitti“.
4. La decisione della Corte costituzionale
Alla luce di quanto sopra esposto, la Corte Costituzionale osserva come appaia “contraddittorio che, per effetto del generale divieto introdotto nell’art. 69 cod. pen. dalla legge “ex Cirielli”, questo sostanzioso incentivo alla collaborazione venga meno laddove il potenziale collaboratore sia – come spesso accade, trattandosi di associati a delinquere – già stato più volte condannato“.
Pertanto, dichiara l’illegittimità costituzionale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 74, comma 7, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), sulla recidiva di cui all’art. 99,
quarto comma, cod. pen.
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