Questa tipologia novativa costituisce una nuova fonte del rapporto giuridico tra le parti, prevedendo in capo a ciascuna di esse obbligazioni diverse da quelle derivanti dal rapporto litigioso originario. L’istituto novativo si distingue così dalla transazione pura e semplice, con cui le parti, con reciproche concessioni, pongono fine ad una lite già iniziata o ne prevengono un’eventuale insorgenza.
La combinazione con l’istituto della novazione
La disposizione in commento ingenera notevoli problemi di coordinamento con la disciplina generale in tema di novazione prevista nel nostro ordinamento. Difatti, nella transazione pura i contraenti con reciproche concessioni, mediante l’impiego di un negozio dispositivo avente ad oggetto un res litigiosa, estinguono una precedente obbligazione, così come previsto dall’art. 1321 c.c., senza entrare nel merito della questione. Mentre, nella transazione novativa l’intento della parti non sembra essere quello di estinguere l’obbligazione vincolante, bensì di mutare il rapporto obbligatorio sottostante.
Quest’ultima questione non appare lapalissiana, stante la vigenza dell’autonomia contrattuale prevista all’art. 1322 co. 2 c.c., in ragione di detto principio difatti le parti sono al contempo libere di: modificare la precedente obbligazione, rimanendo così vincolati sulla base di un nuovo rapporto; ovvero, estinguere il precedente vincolo al fine di far venir meno l’obbligazione.
Sul nesso che intercorre tra l’istituto della transazione e della novazione, in riferimento all’applicazione della transazione agli artt. 1230 e ss c.c. parte della dottrina ha ritenuto ammissibile la commistione tra i due istituti considerando la novazione come un mero effetto della transazione, c.d. transazione mista a novazione. A prevalere è tuttavia la tesi che mantiene separate le due concezioni, essendo la novazione incentrata sull’animus novandi del contraente e la transazione sulla composizione della lite.
La revivescenza
In ragione di ciò, la novazione deve risultare in maniera non equivoca tra le parti, le quali risultano sempre legittimate a far rivivere la precedente situazione litigiosa. L’ipotesi della revivescenza dell’obbligazione stabilisce che le parti possano riportare la situazione a prima dell’intervento novativo, ma non possono far rivivere le precedenti garanzie prestate dai terzi.
La transazione novativa è, dunque, qualificabile come un contratto di secondo grado, destinato a perdere efficacia in caso di nullità o di inefficacia del contratto originario. In caso di annullabilità del contratto originario, invece, posta la conoscenza della causa d’annullamento, il contratto ha l’effetto di convalidare il contratto stesso.
Ulteriore carattere di tale ipotesi è la costante attitudine, anche solo potenziale, a incidere sulla vicenda litigiosa, motivo per cui si qualifica quale negozio dispositivo e non di accertamento. Difatti, l’art. 1966 c.c. pretende la capacità del soggetto, piuttosto che la legittimazione a transigere, di disporre del diritto, a pena di nullità per difetto di causa.
La transazione si differenzia dall’istituto del negozio di accertamento, il quale è definito come l’atto con il quale le parti sanciscono l’esistenza o l’inesistenza di una situazione giuridica soggettiva o di un rapporto giuridico, delimitandone con esattezza il contenuto, i limiti e le caratteristiche, eliminando lo stato d’incertezza sulla sua effettiva sussistenza e consistenza e fissandone definitivamente l’ambito e gli effetti. Si tratterebbe di un’esplicazione del potere di autonomia privata e la causa del contratto consiste nell’accertamento di un rapporto esistente tra le parti, così da conferire certezza ad una situazione preesistente. Tipico esempio sarebbe l’azione di regolamento dei confini (950) a cui le parti possono ricorrere senza l’intervento del giudice.
Differenze consistenti si evidenziano anche con la quietanza, la quale ha unicamente natura di atto unilaterale recettizio contenente il riconoscimento dell’avvenuto pagamento, con la conseguenza che dal relativo rilascio non è legittima un’eventuale ipotesi di transazione sopravvenuta o di rinuncia ad altre pretese da parte del creditore, salva diversa intenzione tra le parti.
Da ultimo, elementi di collisione si ravvisano anche in relazione alla conciliazione giudiziale ex artt. 185 e 420 c.c., caratterizzata dall’intervento necessario del giudice nelle relative formalità previste.
Passando ora ad analizzare gli elementi costitutivi della transazione novativa, occorre procedere secondo l’ordine dettato dall’art. 1325 c.c.
Primo tra tutti è l’accordo delle parti, elemento imprescindibile per le parti, il quale può esternarsi con una dichiarazione espressa, oppure può desumersi da comportamenti concludenti, stante l’animus novandi in capo a entrambi i soggetti.
La causa nel contratto transattivo-novativo, invece, risulta valutata caso per caso, in attuazione del criterio della causa in concreto; la stessa potrà dunque essere modificativa ovvero estintiva del precedente rapporto obbligatorio oppure simulata, qualora non si intenda produrre nei confronti dei terzi.
L’oggetto, come anticipato, consiste in una res litigiosa, in cui la pretesa di un soggetto, cui l’altro resiste, si sostanzia nell’affermata titolarità di una situazione giuridica soggettiva. L’art. 1965 c.c. fa riferimento a una lite non necessariamente sorta, come nel caso della lite stragiudiziale che può sfociare in una lite giudiziale e dunque in un processo, ma che può sorgere o è già sorta. Il conflitto, pertanto, nato tra le parti può non avere assunto caratteri precisi, essendo necessaria l’esistenza di un dissenso attuale.
Infine, l’elemento della forma che nella transazione è richiesta ad probationem ex artt. 1350 n. 12 e 2684 n. 4) c.c., e nello specifico caso di quella novativa deve risultare il contenuto modificativo o estintivo del precedente rapporto obbligatorio.
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La transazione novativa soggettiva e oggettiva
Ulteriore distinzione strutturale si registra tra la transazione novativa soggettiva e oggettiva, sulla scia di quella prevista agli artt. 1230 e 1235 c.c. Secondo la giurisprudenza assolutamente dominante, affinché la transazione abbia effetto novativo, è necessario che, sotto l’aspetto oggettivo, le reciproche concessioni determinino una sostituzione integrale del precedente rapporto, realizzando una situazione di obiettiva incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello avente causa nell’accordo transattivo; sotto l’aspetto soggettivo, invece, sussista un’inequivoca manifestazione di volontà delle parti, con la quale le stesse abbiano palesato il loro intento di instaurare un nuovo rapporto estinguendo quello originario. È dunque considerata novativa la transazione, con la quale le parti abdicano alle proprie pretese, in cambio di una qualche concessione in modo da estinguere il rapporto controverso, mentre la volontà dei contraenti di porre in essere una transazione novativa può essere desunta anche da fatti concludenti.
Da ultimo, occorre affrontare la questione relativa alla disciplina della transazione.
In merito alla transazione su titolo nullo, al primo comma è prevista la nullità in caso di contratto illecito, mentre il secondo comma stabilisce che la nullità può essere richiesta solamente dalla parte che ignorava la causa di nullità del titolo. La disposizione prevede la validità della transazione fatta su un titolo nullo, salvo che la nullità derivi da illiceità, e salvo l’errore sulla nullità.
Diverse risultano le problematiche che emergono dall’interpretazione del secondo comma dell’articolo 1972 c.c., le quali attengono all’ambito di applicazione e alla tipologia di vizio che determina l’invalidità.
La transazione può riguardare l’esecuzione del titolo o il titolo stesso. Ad esempio, la transazione può riguardare il titolo, qualora oggetto della controversia non attenga alla nullità. La transazione, al contrario, può avere ad oggetto le modalità di esecuzione del titolo, come nel caso di stabilire il quantum della controversia.
Sulla base di un orientamento l’articolo 1972 co. 2 c.c. farebbe riferimento solo alla prima delle due ipotesi, che sarebbe un’ipotesi di transazione novativa, la quale si sostituisce alla fonte preesistente che viene meno.
Diverse considerazione debbono affrontarsi in caso di errore, nella specie di errore sul presupposto o sul motivo della validità del titolo, l’errore di una delle parti sulla nullità del titolo comporterebbe l’annullabilità della transazione novativa. A ciò ne consegue che il precedente titolo, poi sostituito, fosse nullo e quindi debba dichiararsi invalido.
Nella diversa ipotesi di transazione non novativa, invece, la parte interessata dovrà far valere la nullità del titolo che continua a costituire la fonte del rapporto, e sarà proprio la declaratoria di tale nullità a determinare l’automatica invalidità del negozio transattivo.
Altra questione riguarda la risolubilità per inadempimento della transazione, nei contratti con prestazioni corrispettive, esclusa in caso di transazione novativa, salvo l’esistenza di un patto contrario tra le parti. In virtù di tale disposizione, la mancata previsione della risoluzione per inadempimento consente al soggetto non inadempiente di avvalersi solo dell’eccezione prevista nell’articolo 1462 c.c., o di chiedere l’adempimento o il risarcimento del danno. L’introduzione di tale norma non ha eliminato del tutto i dubbi sulla questione.
Sul punto si è evidenziato che tra l’istituto della risoluzione per inadempimento e la transazione novativa non emerge un’incompatibilità, stante l’autonomia contrattuale delle parti, le quali possono derogare alla previsione legislativa. In sostanza l’impostazione richiamata finisce con il riconoscere la risolubilità per inadempimento della transazione novativa, pur negando che ad essa consegua il ripristino della situazione preesistente. Il contraente non inadempiente potrà solo chiedere l’esatto adempimento del nuovo accordo, oltre agli eventuali danni quantificabili.
Da ultimo, occorre trattare il tema delle obbligazioni solidali, nelle quali è previsto che le parti che intendano estinguere o modificare una precedente obbligazione debbano prestare tutte il loro consenso a che la transazione sia riferita a tutti i consociati, altrimenti, la novazione si intende compiuta solo nei confronti di uno o alcuni di essi ex art. 1300 c..c.
In conclusione, stante le diverse problematiche riscontrate tra la transazione pura e novativa assume particolare rilevanza individuare i criteri distintivi attraverso i quali poter riconoscere le due ipotesi. La giurisprudenza è concorde nel ritenere che il principale elemento caratterizzante debba individuarsi nella manifestazione dell’accordo; nell’ipotesi in cui, al contrario, non sia stata espressa una volontà si procedere a mezzo di un criterio oggettivo: se è riscontrabile un’incompatibilità tra il rapporto preesistente e quello originario, allora di certo si tratterà di una transazione novativa.
Sembra, pertanto, potersi ritenere che le principali differenze tra i due istituti riguardino la funzione e i requisiti richiesti. Nel caso della novazione, la sostituzione della precedente obbligazione è espressione della volontà tra le parti di estinguere l’obbligazione e le relative garanzie personali e reali, senza che assuma valore il motivo per il quale le parti procedano in questi termini.
Diverso discorso deve essere affrontato per la transazione, in cui la risoluzione della precedente situazione conflittuale è il risultato della comune volontà dei contraenti di estinguere il rapporto obbligatorio.
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