Transessualità e diritto: l’evoluzione normativa e giurisprudenziale tra esigenze di riconoscimento di dignità giuridica e profili di incompatibilità costituzionale

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La popolazione transgender è stata protagonista di un progressivo mutamento psico-sociale che, da minoranza pressoché invisibile quale era in origine, l’ha trasformata in una comunità attiva e resiliente[1].

Tale cambiamento è stato reso possibile da una serie di fattori.

In primo luogo si rileva che l’autodeterminazione individuale ha assunto un ruolo centrale nella società contemporanea, ove è la percezione psichica a definire l’identità sessuale e non il sesso biologico.

A ciò si aggiungano i progressi della scienza medica che consentono di intervenire sui caratteri sessuali primari e secondari degli individui, limitando le eventuali conseguenze negative della disforia di genere sul benessere psico-fisico della persona.

Di primaria importanza si è poi rivelato il lavoro svolto da associazioni e organizzazioni LGBT per combattere la transfobia [2].

Al mutamento socio culturale ha fatto seguito una lenta evoluzione normativa, spesso sollecitata dalle pronunce della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione, mirante a garantire visibilità e dignità giuridica alla popolazione transessuale.

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Il Transito

Il soggetto transessuale è chi, “nato e registrato anagraficamente secondo un sesso, ha poi assunto in vario modo e per mezzo di interventi chirurgici e trattamenti ormonali le caratteristiche fisiche dell’altro sesso, cui soggettivamente ritiene di appartenere[3]”.

Le persone transessuali, pertanto, sono coloro che intraprendono un percorso, detto “transito”, volto ad armonizzare il corpo al genere in cui si identificano[4]. Ogni anno sono circa 60 le persone che in Italia decidono di sottoporsi a detto percorso[5].

Il transito  comporta due ordini di interventi: uno di carattere psicologico e uno di tipo medico. Il primo implica una fase iniziale consulenziale ed una seconda volta all’approfondimento di vari argomenti, quali l’effetto degli ormoni sulla psiche, la sessualità, la coppia e la genitorialità.

Anche l’iter medico si divide in fasi (psichiatrica, endocrinologica e chirurgica), che possono sempre essere interrotte sino al conseguimento dell’irreversibilità degli esiti[6].

Il procedimento può concludersi con l’intervento medico – chirurgico di riattribuzione di sesso o “sex reassignment surgery” che comporta l’asportazione degli organi riproduttivi, operazione che si pone come eccezione al generale divieto ex art. 5 c.c. di porre in essere atti dispositivi del corpo tali da cagionare una permanente diminuzione dell’integrità psicofisica.

Il transito e la disciplina normativa

B.1. La Legge 164/1982

Il transito in Italia è sottoposto al controllo dell’autorità giudiziaria, mentre in altri ordinamenti europei, come quello spagnolo, la supervisione del procedimento è affidata all’autorità amministrativa[7].

L’ordinamento italiano è stato uno dei primi a fornire una disciplina del procedimento di rettificazione del sesso mediante l’introduzione della Legge 14 aprile 1982, n. 164, che riconosce alla persona transessuale di ottenere la modifica del sesso attribuito alla nascita e riportato nei registri anagrafici.

Sotto la vigenza di tale originaria normativa, la modifica dell’attribuzione sessuale implicava due diversi procedimenti: uno, di natura contenziosa, per ottenere l’autorizzazione agli interventi medicochirurgici, e l’altro, di volontaria giurisdizione, per la richiesta di rettificazione dei documenti d’identità. Entrambi i giudizi dovevano essere instaurati mediante ricorso e si svolgevano con le modalità del procedimento camerale. La decisione veniva assunta dal tribunale in composizione collegiale con l’emanazione di una sentenza.

B.2. Le modifiche apportate dal D. Lgs 150/2011

La Legge 164/1982 è stata modificata dal D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, in forza del quale  il soggetto intenzionato a sottoporsi al trattamento chirurgico di adeguamento dei caratteri sessuali dovrà instaurare, per il tramite del proprio legale di fiducia ed innanzi al tribunale del luogo di residenza, una causa ordinaria volta ad ottenere l’autorizzazione all’intervento. L’atto di citazione dovrà essere notificato al Pubblico Ministero e agli eventuali figli e coniuge dell’attore.

Una volta accertato l’avvenuto trattamento medicochirurgico per la riconversione del sesso, il tribunale adito disporrà il cambiamento di stato anagrafico, in forza del quale i documenti d’identità verranno modificati per sesso e nome.

La prassi instauratasi nei tribunali a seguito della riforma apportata dal D.Lgs. 150/2011 ha conservato l’originaria impostazione che prevedeva lo sdoppiamento del giudizio di rettificazione di attribuzione di sesso, non avendo tuttavia chiarito se si debbano instaurare due giudizi contenziosi ovvero un giudizio contenzioso per l’autorizzazione agli interventi ed uno di volontaria giurisdizione per la rettifica degli atti di stato civile[8].

B.3. L’intervento della Corte di Cassazione e della Corte Costituzionale e il riconoscimento del diritto all’integrità psicofisica della persona transessuale

La Corte di Cassazione (sentenza n. 15138/2015) ha dichiarato, solamente nel 2015, la non indispensabilità del trattamento chirurgico di demolizione degli organi sessuali ai fini della pronuncia di rettificazione di attribuzione di sesso.

Gli  Ermellini hanno invero chiarito che l’interesse pubblico alla definizione dei generi non può implicare il sacrificio dell’interessato alla propria integrità psicofisica e hanno rimesso al tribunale il compito di verificare se, prescindendo dall’intervento chirurgico, l’interessato abbia già definitivamente assunto un’identità di genere.

Nello stesso anno, inoltre, la Corte Costituzionale ha ribadito anch’essa (sentenza n. 221/2015) la centralità del ruolo del giudice nel valutare l’opportunità dell’intervento chirurgico, fermo restando che il medesimo non deve considerarsi quale prerequisito della rettificazione dei documenti d’identità, ma come mezzo per la tutela del diritto alla salute dell’attore.

L’intervento di demolizione degli organi sessuali dovrà quindi essere autorizzato dal giudice solo quando in corso di causa sia provato che il benessere psicofisico del soggetto transessuale sia compromesso dalla divergenza tra il suo sesso anatomico e la sua psico-sessualità.

Gli effetti della rettifica dell’attribuzione del sesso sulla vita di coppia della persona Transgender

Ma che cosa accade se il soggetto che intraprende il percorso di adeguamento dei caratteri sessuali è sposato?

C.1. Il così detto “divorzio imposto

L ‘art. 4, Legge 14 aprile 1982, n. 164, nel suo teso originale, disponeva che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso determinasse lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso.  Il divorzio veniva pertanto imposto ai coniugi per il solo effetto del passaggio in giudicato della precitata sentenza e ciò senza che rilevasse in alcun modo l’eventuale volontà delle parti di mantenere in essere il vincolo coniugale.

Questa impostazione muoveva dai principi generali sottesi al concetto di matrimonio che, ai sensi dell’art. 143 c.c., implica la diversità di genere tra i coniugi: determinatasi una situazione di fatto di identità sessuale all’interno della coppia coniugale per l’effetto della rettificazione di sesso di uno degli sposi si verificava la caducazione automatica del vincolo di coniugio.

La giurisprudenza di legittimità (Corte d’Appello di Bologna, decreto del 4.2.2011), attenendosi ai precitati principi, è giunta ad affermare un “effetto implicito” della sentenza di rettificazione di sesso, in forza del quale sarebbe obbligo dell’ufficiale di stato civile provvedere all’annotazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio, a margine dell’atto di matrimonio degli interessati, anche in assenza di un’esplicita presa di posizione in merito da parte dei giudici chiamati a pronunciarsi sulla domanda di cambio di sesso avanzata da uno degli sposi[9].

C.2. L’intervento della Corte Costituzionale

La Corte Costituzionale, pronunciatasi in materia con sentenza n. 170 dell’11/18.6.2014, ha ritenuto che il così detto “divorzio impostoex art. 4, Legge 164/1982 contrasti con il diritto dell’individuo ad autodeterminarsi e con il diritto dei coniugi alla conservazione della preesistente dimensione relazionale.

Invero, la scelta di procedere con il cambiamento di sesso da parte di uno dei componenti della coppia coniugale non può comportare il passaggio da una situazione di massima protezione e garanzia ad uno stato di generale indeterminatezza.

La Corte ha pertanto ritenuto inadeguato il bilanciamento effettuato dalla Legge 164/1982 tra i diritti e gli obblighi maturati dai coniugi nel periodo antecedente al passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso e l’interesse dello Stato a conservare il principio di eterosessualità posto a fondamento del concetto di matrimonio dall’art. 143 c.c.

Allo stesso tempo la Corte Costituzionale ha ritenuto insuperabile, ai fini della validità del legame di coniugio, la differenza di sesso tra i coniugi sollecitando un intervento legislativo volto ad individuare una forma di convivenza registrata, alternativa e diversa dal matrimonio, che sia idonea a tutelare adeguatamente i diritti e gli obblighi della particolare formazione sociale dei coniugi che vogliono proseguire la loro vita di coppia anche dopo la modifica dei caratteri sessuali di uno di essi.

La Corte Costituzionale ha quindi dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 4, Legge 14 aprile 1982, n. 164, nella parte in cui non prevede che la sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno dei coniugi, che determina lo scioglimento del matrimonio o la cessazione degli effetti civili conseguenti alla trascrizione del matrimonio religioso, consenta “ove entrambi lo richiedano, di mantenere in vita un rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata, che tuteli adeguatamente i diritti ed obblighi della coppia medesima, con le modalità da statuirsi dal legislatore”.

C.3. La sentenza n. 8097/2015 della Corte di Cassazione

Anche la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla prosecuzione della vita coniugale del soggetto sottopostosi all’intervento di adeguamento dei caratteri sessuali con sentenza n. 8097/2015.

Con la citata sentenza, accogliendo l’impugnazione dei ricorrenti, la Corte ha ordinato la cancellazione dell’annotazione di cessazione degli effetti civili del matrimonio delle parti che l’ufficiale di stato civile aveva  posto a margine dell’atto di matrimonio delle parti a seguito de passaggio in giudicato della sentenza di rettificazione di attribuzione di sesso di uno degli sposi.

La Suprema Corte ha invero ritenuto che sia necessario, sino all’introduzione da parte del legislatore di una forma di convivenza registrata alternativa al matrimonio idonea a tutelare i diritti e gli obblighi di coloro che validamente hanno contratto il vincolo matrimoniale, conservare i diritti e i doveri acquisiti dai coniugi prima del passaggio in giudicato della sentenza di rettifica di attribuzione di sesso.

La Suprema Corte, del pari, ha quindi sollecitato un inderogabile intervento da parte del legislatore al fine di consentire alle coppie in cui è venuto meno il requisito dell’eterosessualità “di mantenere in vita il rapporto di coppia giuridicamente regolato con altra forma di convivenza registrata che ne tuteli adeguatamente diritti ed obblighi”.

L’introduzione dell’istituto delle unioni civili tra persone dello stesso sesso tra innovazione e reiterazione di profili di illiceità costituzionale

D.1. L’innovazione apportata dall’art. 1, comma 27, L. 76/2016

L’invito della più accorta giurisprudenza è stato accolto dal legislatore solo nel  2016, anno in cui è stata promulgata la Legge 20 maggio 2016, n. 76 che ha istituito le unioni civili tra persone dello stesso sesso.

L’art. 1, comma 27, Legge 76/2016 dispone infatti che è automatica l’instaurazione dell’unione civile tra i coniugi che, a fronte della rettifica di attribuzione di sesso di uno dei medesimi, non hanno dichiarato la volontà di sciogliere il matrimonio o di cessarne gli effetti civili.

La rettificazione di attribuzione di sesso ottenuta da uno dei due sposi determina pertanto una trasformazione ope legis del vincolo di coniugio in unione civile, sempre che la coppia abbia espresso l’intenzione di non sciogliere il matrimonio.

Al contrario, se i coniugi non dichiarano la propria volontà di mantenere in essere il rapporto di coppia, si applica il disposto di cui all’art. 4 L. 164/1982, con conseguente scioglimento del vincolo matrimoniale e acquisto da parte degli sposi dello status di coniugi divorziati.

Il divieto avente ad oggetto l’automatico scioglimento del rapporto di coniugio era da ritenersi operativo sino a quando non vi fosse stato un intervento legislativo volto ad introdurre nel nostro ordinamento una forma di convivenza registrata, diversa dal vincolo coniugale, tale da assicurare agli interessati la conservazione dei diritti e dei doveri  acquisiti in costanza di matrimonio.

Naturale conseguenza di ciò è che, con l’introduzione dell’istituto delle unioni civili, la condotta dei coniugi che non effettuano la dichiarazione di volersi avvalere della nuova forma di convivenza giuridicamente tutelata è da interpretarsi come tacita accettazione dell’automatica cessazione degli effetti civili del matrimonio ai sensi della Legge 164/1982[10].

D.2. I profili di incostituzionalità della causa di scioglimento dell’unione civile ai sensi dell’art. 1, comma 26, Legge 67/2016

L’introduzione dell’istituto delle unioni civili nel nostro ordinamento non ha risolto tutte le problematiche inerenti le conseguenze sulla vita di coppia della decisione di  uno dei suoi membri di sottoporsi all’iter di mutamento di sesso. L’art. 1, comma 26, L. 67/2016,  stabilendo che la sentenza di rettificazione di sesso determina lo scioglimento dell’unione civile, ha infatti delineato una causa di caducazione automatica del nuovo istituto che si espone ai medesimi  profili di incostituzionalità già evidenziati in merito all’art. 4 L. 164/1982 con riguardo alla formazione sociale del matrimonio.

La nuova disposizione lede il diritto dell’individuo all’autodeterminazione, di cui la sessualità e la vita relazionale rappresentano aspetti fondamentali, ed incide sul diritto degli uniti civilmente a conservare diritti e doveri acquisiti al momento della costituzione dell’unione civile, causando così il passaggio da una condizione giuridicamente tutelata ad una di totale incertezza.

Non solo. E’ evidente la disparita di trattamento tra coniugi ed uniti civilmente: mentre ora il membro del vincolo coniugale che si è sottoposto al transito può avvalersi dell’automatica conversione del proprio legame di coppia in unione civile, l’unito civilmente non potrà che subire la caducazione del proprio legame affettivo[11].

D.3. Gli aspetti operativi delineati dal D. Lgs. 5/2017

Ulteriori chiarimenti in materia sono stati offerti dal legislatore con l’emanazione del D. Lgs 19 gennaio 2017, n. 5, che ha introdotto il comma 2 bis all’art. 31 del D. Lgs. 150/2011.

In virtù di tale modifica, sino al termine delle precisazione delle conclusioni del giudizio ordinario per la rettificazione di attribuzione di sesso, l’attore ed il coniuge possono comparire personalmente in udienza per dichiarare congiuntamente di voler costituire un’unione civile. Gli interessati potranno contemporaneamente rilasciare eventuali dichiarazioni in merito al cognome e al regime patrimoniale da adottare una volta costituita la nuova formazione sociale giuridicamente riconosciuta.

Sarà eventualmente il tribunale, con la sentenza che accoglie la domanda di rettificazione di attribuzione di sesso, ad ordinare all’ufficiale dello stato civile del comune ove il matrimonio fu celebrato o trascritto di iscrivere l’unione civile nell’apposito registro e di annotare le eventuali dichiarazioni rilasciate dalle parti.

Il D. Lgs 5/2017 consente pertanto alla coppia che ha optato per l’instaurazione dell’unione civile di modificare il regime patrimoniale adottato in costanza di matrimonio.

Se le parti che manifestano la volontà di mantenere in essere il rapporto di coppia a seguito del cambio di sesso di uno dei componenti non dichiarano di voler optare per un diverso regime patrimoniale, si instaurerà quindi la comunione dei beni ai sensi dell’art 1, comma 13, L. 76/2016, e ciò indipendentemente dalla scelta effettuata durante il rapporto coniugale[12].

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Note

[1]    P. Valerio – P. Marcasciano – C. Scandurra, “Una visione psico-sociale sulle varianze di genere: tra invisibilità, stima e risorse”, Rivista di sessuologia, gennaio 2016, pag. 23 e ss.

[2]    F. Sandri, “La rete dei servizi medici, di counselling e sessuologici rivolti alle persone transgender presenti nella regione Friuli Venezia Giulia” in “La condizione transessuale: profili giuridici, tutela antidiscriminatoria e buone pratiche”, Quaderni dei diritti 2017, pag. 72.

[3]    www.treccani.it/enciclopedia/transessualismo.

[4]    P. Marcasciano – C. La Torre, “Transiti, guida al transito delle persone transessuali e transgender”, 2013.

[5]    “In Italia ogni anno 60 cambi di sesso, i centri pubblici dove operarsi”, La Repubblica, 2 maggio 2018.

[6]    F. Sandri, “La rete dei servizi medici, di counselling e sessuologici rivolti alle persone transgender presenti nella regione Friuli Venezia Giulia” in “La condizione transessuale: profili giuridici, tutela antidiscriminatoria e buone pratiche”, Quaderni dei diritti 2017, pag. 72.

[7]    L. Ferraro, “Il giudice nel procedimento di rettificazione del sesso: una funzione ormai superata o ancora attuale”, Questione giustizia 2/2016, pagg. 220 e ss.

[8]    P. Fiore, “La modifica del sesso nella legge e nella giurisprudenza italiana” in “La condizione transessuale: profili giuridici, tutela antidiscriminatoria e buone pratiche”, Quaderni dei diritti 2017, pag. 15.

[9]    M. Gattuso, “Matrimonio, identità e dignità personale: il caso del mutamento di sesso di uno dei coniugi”, Il diritto di famiglia e delle persone, 2012, pagg. 1076 e ss.

[10]  D. Berloco, “Unione civile costituita a seguito di rettificazione di sesso di uno dei coniugi. Questioni e problemi emersi in sede di prima applicazione. Parte II”, Lo stato civile italiano, gennaio 2017, pagg. 6 – 11.

[11]  G. Pirotta, “Un primo sguardo al processo di scioglimento dell’unione civile e alle tutele dei figli dei dis-uniti civilmente”, La nuova procedura civile, 6/2017.

[12]  V. Barela, “Rettificazione del sesso:effetti sugli istituti del matrimonio e dell’unione civile”, Comparazione e diritto civile, 1/2018.

Dott.ssa Elena Manzoni

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