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La vicenda
Il giudice di prime cure, in accoglimento dell’opposizione della società Alfa, revocava il decreto ingiuntivo ottenuto da Tizio, avente ad oggetto il pagamento della somma di euro 2.153,33 a titolo di mensilità concernente la retribuzione del mese di novembre 2015. I giudici di secondo grado, in riforma della decisione, respingevano l’opposizione della società confermando il decreto ingiuntivo opposto. La Corte d’Appello, premesso che era passato in giudicato l’accertamento relativo all’inefficacia della cessione del ramo d’azienda (al quale era addetto Tizio) intervenuta tra la società Alfa e la società Beta, riteneva che la transazione conclusa tra il prestatore di lavoro e la cessionaria non avesse prodotto effetti sul perdurante rapporto di lavoro fra Tizio e la società cedente; la Corte distrettuale riteneva fondata la domanda, di contenuto risarcitorio, azionata in primo grado da Tizio nei confronti della società Alfa, essendo pacifico che nel periodo dedotto il lavoratore non aveva svolto altra attività lavorativa.
Il motivo addotto nel ricorso per Cassazione
La società Alfa si rivolgeva alla Cassazione, lamentando, in particolare, la violazione e la falsa applicazione dell’art. 1406 c.c. La società ricorrente censurava la decisione impugnata per avere affermato l’irrilevanza nei confronti del soggetto cedente degli atti estintivi del rapporto di lavoro posti in essere tra il lavoratore ed il cessionario; in tale prospettiva contestava che la cessione, pur inefficace, avesse dato luogo a una duplicità di rapporti di lavoro e asseriva che, in realtà, vi fosse un unico rapporto di lavoro al quale riferire le vicende estintive o modificative successive alla cessione.
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La pronuncia della Suprema Corte
La Corte di Cassazione dava torto alla società Alfa ribadendo consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimità, secondo cui “Soltanto un legittimo trasferimento d’azienda comporta la continuità di un rapporto di lavoro, che resta unico ed immutato, nei suoi elementi oggettivi, esclusivamente nella misura in cui ricorrano i presupposti di cui all’art. 2112 cod. civ. che, in deroga all’art. 1406 cod. civ., consente la sostituzione del contraente senza il consenso del ceduto”.
Il Tribunale Supremo sottolineava che l’unicità del rapporto viene meno allorquando, come nel caso in esame, il trasferimento sia dichiarato invalido, stante l’instaurazione di un diverso e nuovo rapporto di lavoro con il soggetto (già, e non più, cessionario) alle cui dipendenze il lavoratore continui di fatto a lavorare.
In virtù di ciò, i giudici di legittimità rigettavano il ricorso e condannavano parte ricorrente alla rifusione delle spese di lite.
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