Il fatto
La sentenza oggetto di esame, emessa dalla corte di cassazione ormai quasi cinque anni fa, appare degna di essere comunque esaminata nonché portata all’attenzione degli studiosi, vista l’attuale situazione di emergenza sanitaria scaturita dall’epidemia del virus Covid-19 (meglio noto come Coronavirus) e i connessi rischi di diffusione o comunicazione di dati sanitari relativi ai soggetti contagiati dal virus.
Preliminarmente è opportuno rilevare che la normativa del codice privacy applicabile ratione temporis al caso in questione è stata in parte formalmente modificata dalla entrata in vigore del GDPR, senza però che tali modifiche abbiano inciso in maniera sostanziale sulla disciplina né sui principi ancora oggi applicabili.
Nel caso sottoposto alla corte di cassazione nella sentenza oggetto di esame, infatti, una insegnante, che lavorava presso un circolo didattico toscano, aveva richiesto una pensione di inabilità al lavoro per la valutazione della quale ella era stata sottoposta ad un accertamento sanitario da parte della apposita Commissione medica locale. Il suddetto circolo didattico, che aveva ricevuto dalla Commissione la relativa documentazione sanitaria contenente, non soltanto la valutazione medico legale relativa alla inidoneità all’impiego dell’insegnante, ma anche i dati sanitari di quest’ultima, fra i quali anche l’esistenza di un’infezione da HIV, provvedeva a inoltrare integralmente detto verbale ad un altro circolo didattico toscano, che era stato ritenuto competente a decidere sulla richiesta di pensione. L’insegnante, quindi, ritenendo la trasmissione della copia integrale del verbale contenente l’accertamento sanitario effettuato dalla commissione medica trattamento illegittimo ai sensi della normativa in materia di privacy, proponeva reclamo al garante della protezione dei dati personali per far accertare l’illecita del suddetto trattamento dati.
Il garante accoglieva il ricorso dell’insegnante, rilevando come i dati sensibili contenuti nella documentazione medica, che era stata, prima, ricevuta dal circolo didattico e, poi, da questo trasmessa all’altro circolo didattico competente, fossero inutilizzabili in quanto trattamento contrario alla disciplina all’epoca prevista dal codice privacy. Conseguentemente, il garante ammoniva il circolo didattico dal compiere ulteriori operazioni di trattamento circa i suddetti dati relativi all’insegnante e riconosceva la legittimità soltanto di trattamenti che avessero ad oggetto i dati relativi alla valutazione di inidoneità all’impiego della reclamante a condizione che fosse limitata la conoscibilità degli altri dati sanitari. Secondo il garante, il trattamento era quindi da definirsi illecito, nel caso di specie, in quanto il circolo didattico avrebbe dovuto inviare una copia parziale della documentazione relativa alla signora, oscurando tutti i dati sanitari differenti dalla valutazione di inidoneità all’impiego dell’interessata, fra i quali quelli da cui risultava il contagio da virus HIV.
Il circolo didattico ricorreva al tribunale di Grosseto chiedendo l’annullamento del provvedimento del garante che aveva ritenuto illecito il trattamento di dati di cui sopra, in quanto il verbale redatto dalla commissione esaminatrice era stato trasmesso dal circolo didattico al destinatario con la clausola di riservatezza. Il tribunale toscano accoglieva il ricorso promosso dal circolo didattico, ritenendo che la trasmissione in via riservata del documento non integrava un trattamento di dati sensibili.
Non soddisfatta della decisione del giudice di merito, l’insegnante ricorreva quindi alla suprema corte di cassazione insistendo affinchè venisse dichiarata la illeicità del trattamento.
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La decisione della Suprema Corte
La ricorrente ha richiesto la cassazione della sentenza impugnata, in quanto il giudice di prima cure avrebbe errato nel valutare che la trasmissione del documento, contenente l’esistenza del contagio da virus HIV, in forma riservata, non costituisse un trattamento di dati sensibili nonché nel ritenere che la apposizione della dicitura “riservato” sulla busta dove era contenuto tale documento fosse comunque idonea ad escludere l’illecita del trattamento.
La corte di cassazione ha, preliminarmente, passato in rassegna la normativa applicabile al caso di specie, evidenziando – in primo luogo – come le disposizioni del codice privacy stabiliscano che i dati personali devono essere trattati in maniera lecita e corretta e che, in mancanza di ciò, i dati non possono essere utilizzati; in secondo luogo, come la normativa sul riconoscimento della pensione per l’inabilità al lavoro imponga di adottare delle misure organizzative idonee a tutelare la riservatezza degli interessati qualora questi presentino un’infezione da virus HIV e la normativa in materia di lotta all’AIDS prevede invece che i risultati degli accertamenti diagnostici per infezione da virus HIV possono essere comunicati soltanto alla persona cui si riferiscono detti esami.
Ciò premesso, la corte di cassazione ha rilevato come l’ente che aveva effettuato gli esami sull’ insegnante, accertando l’esistenza dell’infezione da virus HIV, avesse violato la richiamata normativa, nella misura in cui aveva trasmesso tali dati al circolo didattico; tale violazione, aveva, quindi reso gli stessi inutilizzabili.
Secondo gli ermellini, poi, la condotta tenuta dal circolo didattico, consistente nella ritrasmissione di questi dati, relativi al contagio da virus HIV, ad altro circolo didattico, anche se all’interno di una busta con la dicitura “riservato”, costituisse una vera e propria comunicazione ai sensi del codice privacy. Infatti, ai fini della normativa in materia di protezione dei dati personali, comunicare significa portare dei dati personali a conoscenza di soggetti determinati diversi dall’interessato o dal titolare o dal responsabile del trattamento. Pertanto, è irrilevante la natura riservata o meno della trasmissione ai fini di qualificare tale condotta come una comunicazione di dati e nel configurarla come illecita, in quanto destinata a soggetto diverso dall’interessato, dal titolare o dal responsabile del trattamento.
In ragione di ciò, la corte di cassazione ha ritenuto che la ritrasmissione, da parte del circolo didattico, di dati precedentemente illecitamente inviatigli dall’ente che li aveva acquisiti, costituiva un trattamento illecito.
I giudici supremi, infine, rilevano come il primo circolo didattico avrebbe dovuto trasmettere all’altro circolo didattico competente a decidere sulla concessione della pensione di inabilità all’insegnante, una copia della suddetta documentazione oscurata di tutti i dati sanitari relativi all’interessata che non fossero relativi alla inabilità della stessa e che quindi non fossero necessari ai fini della valutazione finale sulla domanda di pensione richiesta. In altri termini, poiché per poter prendere la decisione di sua competenza, al secondo circolo didattico era sufficiente conoscere soltanto i dati medico-legali relativi alla inabilità al lavoro dell’insegnante, il primo circolo didattico avrebbe potuto metterlo in condizione di fare ciò semplicemente portando a sua conoscenza solo tali dati sanitari e oscurando tutti gli altri. Secondo la cassazione, quindi, in applicazione del principio di minimizzazione dei dati, il circolo didattico avrebbe dovuto oscurare i dati relativi al contagio del virus HIV contenuti nella documentazione medico-legale.
Ragione di tutto quanto sopra, la corte di cassazione ha pertanto accolto il ricorso e cassato la sentenza del tribunale toscano.
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