Trasparenza: l’evoluzione continua di un principio generale dell’attività amministrativa

Introduzione

Scopo del presente lavoro è fornire una panoramica snella, e il più possibile esauriente, delle principali fasi del percorso evolutivo che ha conosciuto il principio della trasparenza amministrativa nel nostro ordinamento giuridico.

L’arco temporale preso a riferimento è quello dell’ultimo trentennio che, senza alcun dubbio, ha rappresentato uno dei periodi più proliferi della recente storia del diritto amministrativo italiano. Lo testimoniano i molteplici segni di rottura con il passato che lo hanno contraddistinto a cominciare dall’approvazione della legge 7 agosto 1990, n. 241 (Nuove norme in materia di procedimento amministrativo e di diritto di accesso ai documenti amministrativi), caposaldo di una vera e propria rivoluzione copernicana nel modo di intendere i rapporti tra la pubblica amministrazione (appresso PA) e cittadini[1].

Dal 1990 in poi, il legislatore nazionale, è intervenuto più volte in materia di trasparenza introducendo una poliedrica gamma di istituti ad essa vocati.

L’economia del presente lavoro non consente una trattazione approfondita di ognuno. Di essi verranno qui messi a fuoco solo gli aspetti ritenuti più rilevanti alla luce della mission di cui sopra.

Punto di partenza obbligato è, evidentemente, la ricerca del fondamento costituzionale della trasparenza.

La trasparenza amministrativa nella Costituzione.

La trasparenza amministrativa non ha una esplicita e diretta previsione all’interno della nostra Costituzione. Infatti, in nessuno dei 139 articoli della nostra Carta fondamentale compare la parola trasparenza, men che meno il concetto di trasparenza riferito all’attività della PA.

Allorché si trattò di definire, forma e contenuti generali dell’attività amministrativa, i padri costituenti fecero riferimento ad altri principi: “I pubblici uffici sono organizzati secondo disposizioni di legge, in modo che siano assicurati il buon andamento e l’imparzialità dell’amministrazione.”. Così recita l’articolo 97, comma 2, con il quale si apre la Sezione II (La pubblica amministrazione), del Titolo III, della Parte III, della Costituzione.

A ben vedere, quello poc’anzi evidenziato, è un vuoto solo formale e non sostanziale.

Pacificamente si ritiene che il principio della trasparenza amministrativa abbia il proprio aggancio costituzionale proprio nel richiamato articolo 97. Più in dettaglio, la trasparenza (assieme alla pubblicità[2]) rappresenta una delle declinazioni del principio costituzionale dell’imparzialità dell’amministrazione o, per meglio dire, dell’agire della PA[3].

L’imparzialità cui fa riferimento l’articolo 97 della Costituzione sta ad indicare divieto di discriminazione e assenza di favoritismi. Essa non può essere confusa con il  concetto di neutralità. Ciò per l’evidente ragione che l’agire della PA, a differenza dell’agire dei privati, è sottoposto a due ordini di limiti. Da un lato, il cd. limite negativo, comune anche ai privati, rappresentato dal divieto del neminem laedere codificato all’articolo 2043 c.c. (norma, in questo senso, trasversale all’intero ordinamento). Dall’altro, il cd. limite positivo, sconosciuto ai privati, che impone alla PA di agire sempre per la cura e la tutela degli interessi pubblici cui è preposta, esercitando all’uopo i poteri che le sono stati assegnati con legge (principio di legalità). A causa di tale limite positivo la PA (spesso chiamata a contemperare interessi pubblici e interessi privati nello svolgimento delle proprie funzioni) non potrà mai comportarsi in modo neutrale ma, per l’appunto, dovrà agire con imparzialità, ovvero, come sopra precisato, in modo non discriminatorio e senza favoritismi.

L’attività della P.A., dunque, deve essere non solo legittima e finalizzata alla cura degli interessi pubblici ma, in base dettato costituzionale dell’articolo 97, altresì conforme a precetti e regole funzionali alla realizzazione del buon andamento e dell’imparzialità.

La declinazione dell’imparzialità nei termini di trasparenza amministrativa – che più direttamente qui interessa – non è stata immediata. Si è avuta solo in tempi relativamente recenti grazie alla progressiva introduzione di istituti giuridici concepiti per affrontare la delicata questione della conoscibilità (dall’esterno) degli atti della PA, primo fra tutti, l’istituto dell’accesso ai documenti amministrativi.

Dall’accesso documentale all’accesso civico generalizzato: i due pilastri della trasparenza.

Nonostante l’esplicito riferimento in rubrica all’istituto dell’accesso, la trasparenza non era stata inizialmente inserita, dal legislatore nazionale del 1990, nell’elenco dei principi generali dell’attività amministrativa contenuto all’articolo 1 della L. 241/1990.

Si è trattato storicamente di una svista, più che di una consapevole scelta escludente, difficilmente spiegabile – sul piano logico prima ancora che giuridico – alla luce della stretta correlazione, tra trasparenza e accesso, codificata all’articolo 22, comma 1[4], della L. 241/1990. Una correlazione stretta a tal punto che, qualsiasi riflessione sull’evoluzione della trasparenza nel nostro ordinamento, non può prescindere dall’analisi dell’evoluzione delle diverse forme di accesso all’attività amministrativa dallo stesso ammesse. In questo senso, l’evoluzione dei contenuti e delle forme di accesso introdotti nell’ultimo trentennio, rappresenta la misura del percorso evolutivo della nostra cultura della trasparenza.

Diverse sono state le tappe di tale processo. Sebbene per molti versi sia tutt’ora in atto, due sono stati i momenti che, tra tutti, hanno maggiormente lasciato il segno rappresentando dei veri e propri salti evolutivi irreversibili.

Il primo – lo si è già in parte anticipato – si è avuto con la L. 241/1990.

Grazie ad essa viene introdotta, per la prima volta, una disciplina generale in materia di accesso ai documenti amministrativi (appresso “accesso documentale”).

Tale istituto, come noto, è stato concepito per assolvere una funzione prevalentemente difensiva. Infatti, grazie ad esso, il titolare di un interesse diretto, concreto e attuale, corrispondente ad una situazione giuridicamente tutelata e collegata ad un determinato documento amministrativo, ha diritto di accedere a quest’ultimo per tutelare detta situazione giuridica. In questo senso, l’accesso documentale a pieno titolo va ascritto al sistema di tutele che, proprio il legislatore del 1990, ha introdotto con la L. 241 a favore del cittadino nei suoi rapporti con l’attività – autoritativa e iure privatorum – della PA[5].

In materia di trasparenza amministrativa l’accesso documentale ha rappresentato, allo stesso tempo, un punto di arrivo e un punto di partenza. Di arrivo, perché, lo si è  detto poc’anzi, prima di allora mancava una disciplina generale sull’accesso ai documenti amministrativi. Di partenza, perché, con esso si sono gettate le basi per la costruzione di una vera e propria cultura della trasparenza cui sopra si è fatto cenno. Una cultura questa alimentata dalla consapevolezza – maturata via via nel tempo – dell’importanza di disporre di strumenti di conoscibilità dell’attività della PA, non solo, per la difesa di posizioni giuridiche soggettive individuali, ma anche e, per certi versi, soprattutto, per verificare abusi e distorsioni nell’esercizio del potere pubblico.

Nel corso degli anni questa prima disciplina generale sulla trasparenza/accessibilità è stata interessata da diversi interventi normativi. Non si è mai trattato di interventi di demolizione, piuttosto, di manutenzione.

Tra i più significativi vanno qui ricordati quelli registrati nel 2005 e nel 2009.

Con la legge 11 febbraio 2005, n. 15 (Modifiche ed integrazioni alla legge 7 agosto 1990, n. 241, concernenti norme generali sull’azione amministrativa), nell’ambito di un importante intervento riformatore della L. 241/1990[6], il legislatore nazionale ha apportato alcune significative novità in materia di trasparenza. In primo luogo, ha modificato l’articolo 1 della legge generale sul procedimento amministrativo, colmando il vuoto normativo riferito all’inizio del presente paragrafo. Con tale novella, infatti, la trasparenza viene inserita tra i principi generali dell’attività amministrativa. Non solo, è poi intervenuto massicciamente sull’articolo 22 della medesima L. 241/1990 riscrivendolo completamente. Di tale riscrittura due sono gli aspetti che qui meritano attenzione: il voler ribadire il valore della trasparenza quale principio generale dell’azione amministrativa; l’emersione di un’ulteriore specificazione, sempre riferita alla trasparenza, secondo la quale essa “attiene ai livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali che devono essere garantiti su tutto il territorio nazionale ai sensi dell’articolo 117, secondo comma, lettera m), della Costituzione.

L’accesso documentale assurge quindi a livello essenziale di prestazione concernente diritti civili e sociali con l’effetto che, in quanto tale, la relativa disciplina deve essere garantita su tutto il territorio nazionale[7]. Con tutta evidenza, si tratta di una previsione dall’elevato valore assiologico oltre che giuridico.

Nel corso del 2009 ben due provvedimenti hanno introdotto ulteriori novità in materia di trasparenza: la legge 18 giugno 2009, n. 69 (Disposizioni per lo sviluppo economico, la semplificazione, la competitività nonché in materia di processo civile) e il decreto legislativo 27 ottobre 2009, n. 150 (Attuazione della legge 4 marzo 2009, n. 15, in materia di ottimizzazione della produttività del lavoro pubblico e di efficienza e trasparenza delle pubbliche amministrazioni).

Con la prima è stata realizzata un’opera di restyling che ha interessato, per quanto qui rileva, la sostituzione – a saldi normativi praticamente invariati – del secondo comma dell’articolo 22 della L. 241/1990 e la riscrittura, in più parti, l’articolo 29[8] della stella legge. Con la seconda – che non ha riguardato direttamente i contenuti della L. 241/1990 – è stata invece tentata, prima volta in questo senso, una definizione della trasparenza.

Il comma primo dell’articolo 11 del d.lgs. 150/2009 statuisce infatti che “La trasparenza è intesa come accessibilità totale….delle informazioni concernenti ogni aspetto dell’organizzazione, degli indicatori relativi agli andamenti gestionali e all’utilizzo delle risorse per il perseguimento delle funzioni istituzionali, dei risultati dell’attività di misurazione e valutazione svolta dagli organi competenti, allo scopo di favorire forme diffuse di controllo del rispetto dei principi di buon andamento e imparzialità. …..[9].

A ben vedere, oltre a fornire una prima definizione della trasparenza amministrativa[10], la norma in questione deve essere apprezzata anche per il fatto di testimoniare, in modo chiaro, l’esistenza di una metamorfosi in atto: l’ammissibilità di una forma di accesso teleologicamente nuova rispetto al passato.

Il riferimento è alla possibilità che la trasparenza possa essere finalizzata alla realizzazione di forme diffuse di controllo nei confronti dell’attività della PA. È una novità non di poco conto, in quanto, proprio tale finalità, costituiva allora (e costituisce tutt’ora) un limite invalicabile in materia di accesso documentale.

Il d.lgs. 150/2009, quindi, ha contribuito fattivamente alla costruzione di quel processo di differenziazione dell’accessibilità nel forme che noi oggi conosciamo: quella dell’accesso documentale, incardinato nella legge 241/1990, e quella dell’accesso civico generalizzato disciplinato dal decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33 (Riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni).

Proprio con il d.lgs. 33/2013 si accede alla fase più recente del processo evolutivo qui tratteggiato. La fase che, per intenderci, arriva fino ai giorni nostri e che ha inizio con l’emanazione della legge 6 novembre 2012, n. 190, di cui, proprio il d.lgs. 33/2013, è stato uno dei provvedimenti attuativi[11].

All’interno del d.lgs. 33/2013 ha trovato collocazione, dapprima, la disciplina del solo accesso civico e, in un secondo momento, anche quella dell’accesso civico generalizzato. Quest’ultimo è stato introdotto dall’articolo 6 del decreto legislativo 25 maggio 2016, n. 97 (Revisione e semplificazione delle disposizioni in materia di prevenzione della corruzione, pubblicità e trasparenza, correttivo della legge 6 novembre 2012, n. 190 e del decreto legislativo 14 marzo 2013, n. 33, ai sensi dell’articolo 7 della legge 7 agosto 2015, n. 124, in materia di riorganizzazione delle amministrazioni pubbliche). I due istituti, previsti rispettivamente ai commi primo e secondo dell’articolo 5 del d.lgs. 33/2013, non sono coevi quindi ma di poco successivi.

Nonostante l’evidente assonanza lessicale, accesso civico e accesso civico generalizzato differiscono da molteplici punti di vista. Pur nella consapevolezza che l’economia del presente lavoro impedisce un’approfondita analisi in parallelo degli stessi, basti qui osservare la loro profonda differenza funzionale.

Il primo (accesso civico) svolge una funzione sostanzialmente proattiva, nei confronti della PA, in ordine alla pubblicazione di documenti, informazioni e dati, che la legge le impone di pubblicare. Grazie all’accesso civico chiunque, senza dover vantare un particolare interesse al riguardo, può chiedere alla PA il rispetto di tali obblighi di pubblicità. Più che ad uno strumento di accesso, in senso stretto, siamo difronte ad uno strumento di sollecito al rispetto degli obblighi di pubblicità previsti dall’ordinamento a carico della PA[12].

L’accesso civico generalizzato, invece, è finalizzato a realizzare in via diretta un vero e proprio controllo sull’attività della PA. Lo si desume chiaramente dalla lettera del  comma 2, dell’articolo 5 del d.lgs. 33/2013, che recita “Allo scopo di favorire forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche ….. chiunque ha diritto di accedere ai dati e ai documenti detenuti dalle pubbliche amministrazioni, ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione …….”. Come l’accesso civico anche quello generalizzato può essere fatto valere dal quisque de populo ma, a differenza del primo, il secondo realizza una forma di accesso in senso stretto che ha ad oggetto dati e documenti ulteriori rispetto a quelli oggetto di pubblicazione[13].

Nonostante l’esplicito riferimento alla finalità di controllo, l’accesso civico generalizzato, come sopra già evidenziato, non ha determinato il superamento totale del dogma del (divieto di) controllo generalizzato dell’attività della PA, continuando lo stesso a valere ancora come limite all’accesso documentale, secondo le chiare previsioni contenute all’articolo 24, comma 3, della L. 241/1990[14], non modificate dal d.lgs 97/2016[15].

Proprio il d.lgs 97/2016 – dopo la L.241/1990 – deve essere ricordato come il secondo momento fondamentale del processo evolutivo della trasparenza qui tratteggiato perché – al pari della L. 241/1990 – ha rappresentato uno spartiacque rispetto al passato.

Infatti, con tale decreto la trasparenza ha assunto una dimensione nuova ed ulteriore. Con l’accesso civico generalizzato, ispirato all’esperienza del Freedom of Information Act (F.O.I.A.) di altri ordinamenti giuridici[16], la trasparenza amministrativa non indica più solo un “bisogno di conoscere” (accesso documentale) ma anche il “diritto di conoscere” (accesso civico generalizzato).

Che si sia trattato di un fondamentale e irreversibile salto evolutivo è innegabile. Lo stesso Consiglio di Stato, nel fornire il proprio parere nell’iter di approvazione del testo del predetto d.lgs. 97/2016, ha parlato al riguardo di una vera e propria “rivoluzione copernicana”.[17]

Dopo il 2016, in materia di trasparenza amministrativa, non si rinvengono ulteriori novità di rilievo

Il quadro fin qui tratteggiato si presenta ricco di spunti di riflessioni. In prima battuta per la poliedricità e la diversità degli istituti che lo compongono, ma non solo. Un contributo decisivo a tale ricchezza è fornito anche dalla continua produzione giurisprudenziale, sempre impegnata a definire ruoli e poteri dei due soggetti che di tale quadro sono i protagonisti: la PA e il soggetto accedente[18].

CONCLUSIONI

“Per mantenere il decoro della Amministrazione, non bisogna non dir niente…..Dove un superiore, pubblico interesse non imponga un segreto momentaneo la casa dell’Amministrazione dovrebb’esser di vetro”. Così si esprimeva alla Camera dei Deputati l’On. Filippo Turati durante i lavori del 17 giugno 1908[19].

A distanza di oltre un secolo molta strada è stata percorsa verso la realizzazione di tale casa di vetro.[20]

Si è trattato di un percorso non solo tecnico-giuridico ma soprattutto culturale, dal basso verso l’alto o, se si preferisce, dal cittadino verso l’amministrazione.

Il ruolo che il legislatore ha rivestito in tutto ciò – come spesso accade – è stato quello non tanto di un progettista quanto piuttosto di un traduttore. Il suo merito è stato quello di aver saputo, in primo luogo, intercettare e farsi interprete di un’esigenza generalizzata di trasparenza e, in seconda battuta, tradurre tutto ciò in istituti giuridici nuovi e (spesso) rivoluzionari la cui applicazione da parte della PA non sempre appare così semplice.

Ciò, non solo e non tanto, per un’intrinseca complessità degli stessi, quanto, piuttosto, per aspetti collegati alla loro applicazione in concreto, a cominciare dal tema della relativa riconoscibilità, non sempre così netta. La questione si pone soprattutto con riferimento all’ipotesi di istanza di accesso cd “ancipite” ai documenti amministrativi che, per il fatto di non essere appunto qualificata a monte dall’istante, può essere interpretata dalla PA, tanto come accesso documentale, quanto, come accesso civico generalizzato.

Trattasi di una questione molto delicata e complessa, oggetto di un recente pronunciamento dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato[21], ma questa, con ogni evidenza, è un tema che trascende il presente contributo e che, soprattutto, merita una trattazione ad hoc.

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Note

[1]     Per avere una misura – anche solo sintetica – di tale rivoluzione basti qui ricordare che è grazie a tale legge che, per quanto qui interessa, è stato superato lo stereotipo di un’attività amministrativa “impersonale” (limite superato con l’introduzione del “responsabile del procedimento”) e poco conoscibile dall’esterno. Infatti, prima della L. 241/1990, la conoscibilità dall’esterno degli atti amministrativi non era codificata a livello generale. Solo alcune norme di settore ammettevano forme speciali di accesso agli atti ( es. art. 7, della legge 8 giugno 1990, n. 142).

[2]     Si commetterebbe un grave errore a considerare pubblicità e trasparenza tra loro equivalenti o, peggio ancora, sinonimi. Rappresentano due diversi modi di atteggiarsi dell’imparzialità amministrativa e, più precisamente, due diversi canoni di condotta che il legislatore impone alla PA in ordine al delicato tema del rapporto con quanti, trovandosi all’esterno, si interfacciano con essa per conoscerne l’attività.

[3]     Sul punto Francesco Caringella, MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO, XIII edizione, gennaio 2020, DIKE Giuridica Editrice SRL, Roma.

[4]     Di seguito si riporta il testo originario del predetto comma: “Al fine di assicurare la trasparenza dell’attività amministrativa e di favorirne lo svolgimento imparziale e’ riconosciuto a chiunque vi abbia interesse per la tutela di situazioni giuridicamente rilevanti il diritto di accesso ai documenti amministrativi, secondo le modalità stabilite dalla presente legge.”

[5]     Di tale sistema di tutele fanno parte molti altri istituti quali: la comunicazione di avvio del procedimento amministrativo (articolo 7); il riconoscimento del diritto dei partecipanti al procedimento di produrre memorie e documenti (articolo 10); la comunicazione dei motivi ostativi all’accoglimento dell’istanza (articolo 10bis). Quest’ultimo introdotto dall’articolo 6 della 11 febbraio 2005, n. 15.

[6]     Oltre al ricordato articolo 10bis (cfr. nota 5 ) della L. 241/1990, alla L. 15/2005 si deve anche l’importante introduzione dell’intero Capo IV bis, rubricato “Efficacia ed invalidità del provvedimento amministrativo. Revoca e recesso”.

[7]     Ne deriva che, le amministrazioni diverse da quelle statali e dagli enti pubblici nazionali alle quali si applica direttamente la L. 241/1990, nell’esercizio delle proprie competenze, non possono derogare il livello di garanzia previsto dalla legge generale sul procedimento amministrativo in materia di accesso. Alle stesse è invece consentito introdurre livelli di garanzia ulteriori rispetto a quelli fissati dal legislatore statale.

[8]     Si segnala, in particolare, l’eliminazione del rifermento al livello essenziale di prestazione concernente diritti civili e sociali, dal predetto articolo 22, e il suo contestuale inserimento nel novellato articolo 29.

[9]     Definizione questa ripresa dal legislatore all’articolo 1 del d.lgs. 33/2013 il cui articolo 53, comma 1, lettera i), ha disposto l’abrogazione dell’intero articolo 11 del d.lgs 150/2009.

[10]   Chiaramente incentrata sul concetto di accessibilità.

[11]   Più in dettaglio il d.lgs. 33/2013 è stato adottato dal Governo in esecuzione delle previsioni contenute all’articolo 1, comma 35, della legge 190/2012 con le quali lo stesso era stato delegato “al riordino della disciplina riguardante gli obblighi di pubblicità, trasparenza e diffusione di informazioni da parte delle pubbliche amministrazioni,  mediante  la  modifica o l’integrazione delle disposizioni vigenti, ovvero mediante la previsione di nuove forme di pubblicità…

[12]   Il mancato rispetto di tali obblighi di pubblicità può comportare l’adozione di sanzioni amministrative da parte di ANAC.

[13]   Con riferimento all’oggetto delle due forme di accesso, è interessante osservare che l’accesso civico generalizzato, a differenza dell’accesso civico, non può aver ad oggetto informazioni ma solo dati e documenti.

[14]   Le ragioni di tale sopravvivenza vanno ricercate nel diverso modo di atteggiarsi dell’accesso documentale rispetto all’accesso civico generalizzato. I due istituti realizzano forme di accesso differenti sotto diversi punti di vista, in particolare: soggettivo, oggettivo e dell’intensità. Riguardo alla diversa intensità, i due istituti possono essere qui paragonati metaforicamente ad uno zoom fotografico che, come a tutti noto, consente – alternativamente – di restringere o allargare un determinato campo visivo a seconda delle finalità perseguite. Nel primo caso (accesso documentale) si potranno cogliere in profondità i dettagli di un determinato oggetto; nel secondo (accesso civico generalizzato) si potrà conseguire una visualizzazione prospettica più ampia (acquisendo non solo documenti ma anche dati). L’accesso documentale, stante la propria finalità difensiva, permette una più intesa forma di accessibilità dall’esterno ma, quale contrappeso, può essere attivato solo da chi vanta una posizione giuridica qualificata e differenziata. L’accesso civico generalizzato, invece, finalizzato a realizzare “forme diffuse di controllo sul perseguimento delle funzioni istituzionali e sull’utilizzo delle risorse pubbliche e …. la partecipazione al dibattito pubblico”, consente di assumere una prospettiva di indagine più ampia a discapito però di una minore penetrazione dall’esterno compensata, sempre in una logia di contrappesi, dall’assenza di restrizioni sul piano soggettivo non essendo richiesto alcun particolare interesse. Per un’analisi più approfondita dei due istituti sia consentito rinviare:  a Francesco Caringella, MANUALE DI DIRITTO AMMINISTRATIVO, XIII edizione, gennaio 2020, DIKE Giuridica Editrice SRL, Roma; nonché alla Delibera ANAC n. 1309 del 28 dicembre 2016 LINEE GUIDA RECANTI INDICAZIONI OPERATIVE AI FINI DELLA DEFINIZIONE DELLE ESCLUSIONI E DEI LIMITI ALL’ACCESSO CIVICO DI CUI ALL’ART. 5 CO. 2 DEL D.LGS. 33/2013 (reperibile qui).

[15]   L’intervento di revisione e semplificazione in materia di trasparenza attuato dal legislatore delegato con il d.lgs. 97/2016, non si è limitato alla sola riscrittura dell’articolo 5 del d.lgs. 33/2013. Infatti, sono state apportate altre importanti modifiche al testo di tale decreto in chiave di razionalizzazione dell’originario impianto normativo. È, ad esempio, il caso dell’introduzione del nuovo articolo 9-bis (Pubblicazioni delle banche dati) e delle modifiche del successivo articolo 10 (Coordinamento con il Piano triennale per la prevenzione della corruzione). Nel primo caso, consentendo la creazione (all’interno della corrispondete sezione di “Amministrazione trasparente”) di un rinvio dinamico alle varie banche dati contenenti dati, documenti e informazioni, oggetto di pubblicazione. Nel secondo caso, disponendo la soppressione del Piano triennale per la trasparenza e l’integrità i cui contenuti e funzioni sono stati trasfusi nel Piano triennale di prevenzione della corruzione.

[16]   Negli Stati Uniti risale alla seconda metà degli anni ‘60.

[17]   Parere 515 del 24 febbraio 2016.

[18]   Un esempio per tutti è dato dalla recentissima pronuncia dell’Adunanza plenaria del Consiglio di Stato, n. 4 del 18 marzo 2021, in materia di accesso documentale.

[19]   https://storia.camera.it/regno/lavori/leg22/sed529.pdf

[20]   Al completamento di tale casa di vetro sembra mancare solo il superamento del controllo generalizzato in materia di accesso documentale.

[21]   In questo senso Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato, n. 10 del 2 aprile 2020.

Dott. Franco Scaramella

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