Massima |
Il lavoratore che intenda chiedere l’intervento del fondo di garanzia di cui alla legge n. 297/1982 deve assolvere all’onere di dimostrare che nei confronti del datore di lavoro, soggetto alle procedure concorsuali, è stata pronunciata sentenza dichiarativa di fallimento e che il credito relativo al Tfr è stato ammesso nello stato passivo. |
La presente pronuncia prende in considerazione la problematica del pagamento al lavoratore del trattamento di fine rapporto, quando il datore di lavoro è fallito. Sul punto, l’art. 2 della L. 29 maggio 1982, n. 297 ha istituito presso l’Istituto Nazionale della Previdenza Sociale un apposito “Fondo di garanzia”, con lo scopo di sostituirlo al datore di lavoro, in caso di insolvenza di quest’ultimo, nel pagamento del trattamento di fine rapporto dovuto ai lavoratori dipendenti. A norma del secondo comma dell’articolo predetto, infatti, i lavoratori o i loro aventi causa possono ottenere dal Fondo il pagamento sia della somma capitale che delle relative somme accessorie, previa detrazione di quelle eventualmente già corrisposte, di talchè il Fondo svolge una duplice funzione, e cioè quella di permettere l’anticipato pagamento del trattamento di fine rapporto e soprattutto quella di assicurare, in ogni caso, tale pagamento anche nell’ipotesi di insufficienza dell’attivo.
I commi secondo, terzo, quarto e quinto dell’articolo regolano i presupposti e i termini in base ai quali i lavoratori possono presentare al Fondo la richiesta di pagamento. In particolare, come si desume dalla lettera di tali disposizioni, la legge distingue a seconda che il datore di lavoro sia stato sottoposto a una procedura concorsuale ovvero che il medesimo, “non soggetto alle disposizioni dei R.D. 16 marzo 1942, n. 267”, in caso di risoluzione del rapporto di lavoro non adempia al pagamento del credito del lavoratore o adempia in misura parziale.
Nel primo caso (commi secondo, terzo e quarto dell’articolo), relativo a datore di lavoro che sia un imprenditore commerciale soggetto alle procedure esecutive concorsuali, la legge ha subordinato il pagamento da parte del Fondo di garanzia alla esistenza dei seguenti tre requisiti:
a) l’avvenuta cessazione del rapporto di lavoro;
b) l’inadempimento del datore di lavoro per l’intero credito inerente al trattamento di fine rapporto o per una sua parte;
c) l’insolvenza del medesimo datore di lavoro. La necessità dell’esistenza di quest’ultima condizione risulta palese non solo perchè della stessa si fa espressa menzione nel comma 1 – “in caso di insolvenza del medesimo” – ma anche perchè le modalità e i termini stabiliti dai tre commi successivi sono collegati, come si è visto, all’avvenuto compimento di atti inerenti a quel determinato procedimento concorsuale (l’apertura del fallimento o della liquidazione coatta amministrativa o del concordato preventivo nei confronti del medesimo debitore) su cui si basa la presunzione legale posta dalla legge.
Il comma 5, dell’art. 2 della legge citata regola una fattispecie parzialmente diversa, perchè si applica qualora il datore di lavoro non sia soggetto alle disposizioni della legge fallimentare: il legislatore, infatti, si è preoccupato di assicurare ai lavoratori l’integrale pagamento del trattamento di fine rapporto anche se, per la mancanza in capo al datore di lavoro della condizione soggettiva prevista dal R.D. 16 marzo 1942, n. 267, art. 1, non possa essere dimostrato, per mezzo della presunzione legale sopra indicata, lo stato di insolvenza del medesimo datore di lavoro.
Il comma in questione dispone che, ricorrendo questa situazione e sussistendo le altre due condizioni di cui si è sopra detto (la cessazione del rapporto di lavoro e l’inadempimento, in tutto o in parte, del datore di lavoro), il lavoratore o i suoi aventi causa possono fare domanda di pagamento del trattamento di fine rapporto al Fondo di garanzia, “semprechè, a seguito dell’esperimento dell’esecuzione forzata per la realizzazione del credito relativo a detto trattamento, le garanzie patrimoniali siano risultate in tutto o in parte insufficienti”.
In tal caso, quindi, ferma restando la necessità dell’esistenza delle due condizioni sopra indicate con le lettere a) e b), in luogo della terza condizione, consistente nella (prova dell’) insolvenza del datore di lavoro, la legge richiede due diversi (entrambi necessari) requisiti: c) la dimostrazione che il datore di lavoro “non è soggetto alle disposizioni del R.D. 16 marzo 1942, n. 267”; d) la prova che le garanzie patrimoniali del medesimo datore di lavoro sono risultate in tutto o in parte insufficienti. In altre parole, riguardo a quest’ultimo requisito, poichè il lavoratore non può ottenere nei confronti del proprio datore di lavoro, per dimostrarne l’insolvenza, l’apertura di uno dei procedimenti esecutivi concorsuali fra quelli indicati, deve almeno provare che più non sussiste, anche solo in parte, la garanzia patrimoniale generica della quale fa menzione l’art. 2740 c.c.; e tale prova, secondo il dettato della legge, viene pure desunta, in base all’utilizzazione di una diversa presunzione legale, da un altro fatto (inequivocabilmente certo), essendo necessario (ma in tal caso anche sufficiente), come si è visto, che il lavoratore dimostri di avere proceduto – in modo serio e adeguato, ancorchè, eventualmente, infruttuoso – all’esperimento dell’esecuzione forzata individuale (1).
Pertanto, secondo il meccanismo configurato dalla L. n. 297 del 1982, il dipendente che vanti il diritto al pagamento del trattamento di fine rapporto da datore di lavoro insolvente soggetto alle disposizioni di cui al R.D. n. 267 del 1942, deve insinuarsi nello stato passivo, eventualmente anche tardivamente, ai sensi del comma terzo; indi, dopo il decreto di ammissione allo stato passivo, ovvero dopo la sentenza che decide il giudizio insorto per l’eventuale contestazione del curatore fallimentare, l’interessato può presentare la domanda all’Inps.
La dichiarazione di insolvenza e la verifica sulla esistenza e misura del credito in sede fallimentare fungono quindi da presupposti del diritto verso il Fondo di garanzia.
E sul punto la giurisprudenza di legittimità ha rilevato che sarebbe invero inammissibile una domanda proposta al Fondo per il pagamento del TFR in cui il lavoratore allegasse meramente il mancato adempimento del datore, lamentando genericamente l’insolvenza dello stesso. “Infatti il meccanismo è tale che il Fondo non può e non deve intervenire prima della dichiarazione di insolvenza e di ammissione al passivo del credito fatto valere. Se ne trae conferma considerando che la verifica sull’esistenza del credito non compete invero all’Istituto, non avendo la legge, che pure regola minutamente tutta la procedura, dettato alcuna disposizione affinchè l’Inps venga informato degli elementi necessari per l’accertamento del diritto e della misura della prestazione. E’ infatti sufficiente a sorreggere la pretesa di pagamento nei confronti del Fondo di garanzia, la dimostrazione che il credito sia stato ammesso al passivo” (2).
Dal tenore e dalla ratio delle suddette disposizioni di legge si deve trarre la conclusione che, ove il datore di lavoro sia un imprenditore commerciale soggetto alle procedure esecutive concorsuali, l’intervento del Fondo di garanzia può realizzarsi solamente se il lavoratore assolva all’onere di dimostrare, in primo luogo, che è stata emessa la sentenza dichiarativa di fallimento e, in secondo luogo, che il suo credito è stato ammesso nello stato passivo.
Rocchina Staiano
Docente all’Univ. Teramo; Docente formatore accreditato presso il Ministero di Giustizia e Conciliatore alla Consob con delibera del 30 novembre 2010; Avvocato
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(1) Vedi, in tal senso, Cass. civ., sez. lav., 16.6.1998 n. 6004; Cass. civ., sez. lav., 9.3.2001 n. 3511; Cass. civ., sez. lav., 26.2.2004 n. 3939.
(2) Cass. sez. lav., 26.2.2004 n. 3939.
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