L’Agenzia delle Entrate, Divisione Contribuenti/Direzione Centrale Grandi contribuenti e internazionale, con la risposta n. 384/2023, ha fornito chiarimenti in merito all’imposizione fiscale dei redditi derivanti da un’attività di libera professione esercitata in Thailandia ai sensi dell’art. 14 della Convenzione tra Italia e Thailandia per evitare le doppie imposizioni.
Indice
1. La normativa di riferimento
Nella vicenda posta all’attenzione del Fisco la norma di riferimento è da ricondurre all’art. 14 della Convenzione tra Italia e Thailandia. Detta norma, rubricata “Professioni indipendenti”, testualmente dispone che: “1. Le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente percepisce per l’esercizio di una libera professione o di altre attività indipendenti di carattere analogo sono imponibili soltanto in detto Stato.
2. Nonostante le disposizioni del paragrafo 1, le remunerazioni che un residente di uno Stato contraente percepisce per l’esercizio di una libera professione nell’altro Stato contraente sono imponibili in detto altro Stato se: a) il beneficiario soggiorna in detto altro Stato per un periodo o periodi che oltrepassano in totale quaranta giorni nel corso dell’anno fiscale considerato, o b) le remunerazioni sono pagate da o per conto di una impresa che è residente di detto altro Stato, o c) l’onere delle remunerazioni è sostenuto da una stabile organizzazione che la persona che paga le remunerazioni stesse ha in detto altro Stato.
3. L’espressione “libera professione” comprende in particolare le attività indipendenti di carattere scientifico, letterario, artistico, educativo o pedagogico, nonché le attività indipendenti dei medici, avvocati, ingegneri, architetti, dentisti e contabili”.
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2. Il caso di specie: il trattamento fiscale
Nel caso de quo, l’istante, iscritto all’AIRE e residente in un altro Stato estero europeo, espone di essere prossimo al trasferimento in Thailandia dove eserciterà la libera professione con clienti non italiani.
Il ricorrente rende noto che sebbene provvederà all’apertura di una partita IVA in Italia, ritiene che non dovrà dichiarare i propri redditi nel nostro Paese, non essendo quest’ultimo, in nessun modo, il centro dei propri interessi, non avendovi sede alcuna, né committenti, né domicilio, né tantomeno parenti a carico, trascorrendo in Italia un periodo non superiore ai due mesi l’anno circa e, pertanto, la maggior parte del periodo di imposta in Thailandia, Paese con cui l’Italia ha pattuito la Convenzione bilaterale volta ad evitare una duplice tassazione dei redditi.
3. La statuizione espressa dall’Amministrazione Finanziaria
Preliminarmente l’Agenzia delle Entrate richiama la disposizione di cui all’art. 2, co. 2 del TUIR. Quest’ultima norma, testualmente, dispone che: “Ai fini delle imposte sui redditi si considerano residenti le persone che per la maggior parte del periodo di imposta (183 gg. o 184 in caso di anno bisestile) sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente o hanno nel territorio dello Stato il domicilio o la residenza ai sensi del codice civile”.
Le summenzionate condizioni sono alternative tra loro, sicché la sussistenza anche di una sola di esse, per la maggior parte del periodo d’imposta, è tale da far ritenere che una persona fisica sia considerata fiscalmente residente in Italia e, per converso, soltanto qualora le medesime condizioni siano contestualmente assenti nel periodo d’imposta interessato, il soggetto può essere ritenuto non residente nel territorio italiano. Giova ricordare che l’attribuzione del numero di partita IVA italiana a soggetto non residente, non incide sulla residenza a fini fiscali nel territorio dello Stato. Sicché, sulla scorta della disciplina interna, l’istante in qualità di non residente, sarà sottoposto a imposta sui redditi prodotti nel territorio dello Stato ai sensi dell’art. 23 del TUIR. Nello specifico, il co. 1, lett. d) della predetta norma del TUIR dispone che si considerano prodotti in Italia i redditi di lavoro autonomo derivanti da attività esercitate.Vista la normativa interna, occorre, tuttavia, considerare le disposizioni sovranazionali contenute negli accordi conclusi dall’Italia con gli Stati esteri. Detto che la prevalenza del diritto internazionale su quello interno è, pacificamente riconosciuta dall’ordinamento italiano e sancita in ambito tributario dall’art. 169 del TUIR e dall’art. 75 del DPR n. 600/1973 nel caso in scrutinio assume rilevanza la Convenzione contro le doppie imposizioni tra Italia e Thailandia. Nello specifico, l’art. 14 del Trattato, come visto sopra, rubricato “Professioni indipendenti”, dispone, al par. 1, l’esclusiva tassazione dei redditi derivanti da una libera professione nello Stato di residenza del beneficiario degli stessi. Invero, il par. 2 del medesimo articolo, in deroga al precedente, dispone una tassazione concorrente, stabilendo che relativamente ai redditi riferiti alla libera professione, gli stessi potrebbero essere tassati in Italia ove si verificasse, alternativamente, una delle seguenti condizioni:
il beneficiario soggiorna in detto altro Stato per un periodo o periodi che oltrepassano in totale quaranta giorni nel corso dell’anno fiscale considerato;
le remunerazioni sono pagate da o per conto di un’impresa che è residente di detto altro Stato;
l’onere delle remunerazioni è sostenuto da una stabile organizzazione che la persona che paga le remunerazioni stesse ha in detto altro Stato.
Conclusivamente giova precisare che laddove l’istante percepisse redditi di fonte italiana riconducibili a categorie diverse rispetto alle quali la Convenzione prevede una potestà impositiva concorrente, gli stessi dovranno essere soggetti ad imposizione in Italia.
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