Motivi della decisione
III. C. G., C. A., C. P., C. I., C. G. e C. G., nella qualità di successori universali di S. M. (deceduta il 16.11.1998), hanno riassunto dinanzi a questo Tribunale il processo instaurato dalla S. dinanzi al giudice di pace di ******* (definito da quel giudice in data 14.10.1998 con sentenza dichiarativa d’incompetenza) ed hanno chiesto accertarsi e dichiararsi l’esclusiva responsabilità del COMUNE di GRUMO APPULA, quale Ente proprietario e gestore delle strade comunali, nella causazione dell’incidente occorso il 17.10.1997 alla S. [caduta al suolo per avere incespicato in una buca non segnalata e priva di recinzione presente sulla via R. Fascilla di Grumo Appula, con conseguente “frattura di colles sin.” (id est: frattura dell’ulna e del radio nell’immediata vicinanza del polso)] e per l’effetto condannarsi il Comune convenuto al risarcimento dei danni.
IV. La domanda non appare fondata e pertanto non merita accoglimento.
IV.A. Gli attori hanno espressamente invocato – principaliter – la responsabilità del COMUNE di GRUMO APPULA ai sensi dell’articolo 2051 c.c., assumendo l’applicabilità di detta disposizione anche nei confronti della P.A.
IV.B. In questa materia la giurisprudenza sia di legittimità sia di merito risulta pervero alquanto oscillante, sicché appare opportuno, ante omnia, dare conto delle opzioni interpretative sinora formulate.
IV.B.1. L’orientamento assolutamente prevalente nella giurisprudenza del Supremo Collegio evidenzia che, nel caso di danni subiti dall’utente in conseguenza dell’omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche, il referente normativo per l’inquadramento della responsabilità della Pubblica Amministrazione è costituito non dall’articolo 2051 c.c., ma dall’articolo 2043 c.c.
A tale conclusione la Corte Suprema è pervenuta ponendo in rilievo che l’esistenza di un uso generale e diretto del bene demaniale o patrimoniale da parte di un rilevante numero di utenti e la notevole estensione del bene stesso rendono oggettivamente impossibile, per l’Ente proprietario della strada pubblica, l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valga ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo derivanti dal bene[1].
Rilevata l’inapplicabilità, nei confronti della P.A., della presunzione di cui all’articolo 2051 c.c., la Corte Suprema ha ritenuto allora applicabile l’articolo 2043 c.c., il quale impone alla Pubblica Amministrazione, nell’osservanza della norma primaria del “neminem laedere”, di far sì che la strada aperta al pubblico transito non integri per l’utente una situazione di pericolo occulto: ha precisato quindi che la responsabilità della P.A. è configurabile a condizione che venga provata dal danneggiato l’esistenza di una situazione insidiosa (c.d. ‘trabocchetto’) caratterizzata dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità subiettiva del pericolo stesso[2] (si è infatti specificato che anche l’obiettiva esistenza di un’insidia stradale – da intendersi come “ogni situazione di pericolo che l’utente medio non è in grado di prevedere facendo uso della normale diligenza”[3] – non è di per sé sufficiente a giustificare la responsabilità risarcitoria dell’ente che abbia la gestione della strada, la quale va esclusa allorquando, nonostante l’obiettiva esistenza dell’insidia, l’utente sia soggettivamente in grado di prevederla o evitarla[4]).
IV.B.2. L’orientamento minoritario nella giurisprudenza del Supremo Collegio (che appare tuttavia in fase di rapido sviluppo) evidenzia invece come nessun ‘automatismo’ possa esservi nell’esclusione dell’astratta applicabilità dell’articolo 2051 c.c. nei confronti della Pubblica Amministrazione, in quanto la demanialità o patrimonialità del bene, l’uso generale e diretto di detto bene da parte della collettività (quand’anche mediato da un provvedimento ammissivo della P.A. o dalla conclusione di un vero e proprio rapporto contrattuale con essa) e la notevole estensione di esso non comportano di per sé l’esclusione dell’applicabilità della norma di cui all’articolo 2051 c.c., ma rilevano soltanto ai fini dell’individuazione del caso fortuito e quindi dell’onere che la P.A., una volta ritenuta l’applicabilità della norma de qua ed accertata l’esistenza del nesso causale, deve assolvere per sottrarsi alla responsabilità (c.d. ‘prova liberatoria’)[5].
Evidenzia altresì che, nell’ambito dell’articolo 2051 c.c., l’onere ricadente sulla P.A. si atteggia diversamente a seconda del caso concreto: infatti, nell’ipotesi di situazioni pericolose immanentemente connesse con la struttura o con le pertinenze del bene, la P.A. deve dimostrare di avere espletato tutta la normale attività di vigilanza e manutenzione esigibile in relazione alla specificità della cosa, di modo che tale dimostrazione possa anche in via indiretta, cioè per presunzione, giustificare la conclusione che la situazione pericolosa si sia originata in modo assolutamente imprevedibile ed inevitabile attraverso il corretto e compiuto assolvimento della custodia e, dunque, per un caso fortuito, ancorché lo specifico evento ricollegabile a tale nozione risulti non identificato; nell’ipotesi di situazioni pericolose originate da comportamenti riferibili agli utenti ovvero da una repentina ed imprevedibile alterazione dello stato della cosa, l’assolvimento della prova liberatoria si sposta tutto sul versante della verifica dell’esigibilità o inesigibilità di un intervento dell’Ente, nell’espletamento della custodia, volto a rimuovere la situazione pericolosa o a segnalarla agli utenti, nel lasso di tempo fra il verificarsi della situazione pericolosa e l’evento dannoso, sì che possa concludersi che quest’ultimo è dipeso da caso fortuito, nel senso che il bene sia stato solo occasione e non concausa dell’evento, perché esso ha contribuito a determinarlo senza assumere rilievo, in dipendenza dell’indicato fattore temporale, in quanto bene soggetto a relazione di custodia[6].
IV.C. Allo stato, in assenza di un (quanto mai opportuno ed auspicabile) intervento chiarificatore delle sezioni unite della Corte Suprema[7], non sembra dunque possibile opinare con certezza nel senso dell’inapplicabilità dell’articolo 2051 c.c. nel caso in esame, sicché la domanda (avanzata appunto, principaliter, ai sensi dell’articolo 2051 c.c.) va delibata verificando appunto se sussistano oppur no i presupposti per l’affermazione della responsabilità del COMUNE di GRUMO APPULA in applicazione della norma invocata.
IV.C.1. Ad avviso dello scrivente, al quesito deve rispondersi negativamente.
IV.C.2. L’affermazione della responsabilità di cui all’articolo 2051 c.c. della P.A. (o del gestore) in relazione a danno originatosi da bene demaniale o patrimoniale soggetto ad uso generale presuppone necessariamente che il danneggiato provi (non la verificazione del danno in conseguenza dell’insidia o trabocchetto, bensì) l’evento dannoso ed il nesso causale tra la verificazione dell’evento dannoso e la cosa (come di regola avviene ogni qual volta si invochi l’applicazione dell’articolo 2051 c.c.).
Ebbene, nella fattispecie in esame (nella quale non può non valutarsi con il massimo rigore se parte attrice abbia adempiuto o no l’onere probatorio su di essa ricadente ai sensi dell’articolo 2697 comma 1° c.c., tenuto conto della natura ‘oggettiva’ della responsabilità invocata a carico dell’Ente convenuto), non è stata fornita in maniera univoca e convincente la prova dell’esistenza del nesso causale tra l’evento dannoso prospettato [la frattura del polso della S. (rectius: dell’ulna e del radio nell’immediata vicinanza del polso)] e la cosa (strada pubblica comunale).
IV.C.3. Va preliminarmente rimarcato che gli attori hanno specificamente indicato, quale causa della caduta della S., una “buca non segnalata e priva di recinzione presente sulla predetta strada pubblica” (via Fascilla di Grumo Appula), nella quale la S. avrebbe “inciampato” “rovinando conseguentemente al suolo”.
L’unico elemento addotto dagli attori per provare il nesso eziologico tra la cosa (come sopra descritta) e l’evento dannoso è costituito dalla testimonianza di *****, escusso all’udienza dell’…
Il teste B., dopo avere confermato di essere stato in loco al momento del fatto, ha dichiarato di avere sentito una signora gridare, di essersi voltato in ragione di tale grido, di avere notato allora la signora in terra e di averla aiutata a rialzarsi.
Il B., dunque, non ha detto di avere visto la S. inciampare nella buca presente su via Fascilla e rovinare conseguentemente al suolo, ma ha detto soltanto di avere visto la signora quando costei era già in terra.
In assenza di ulteriori e più concreti elementi, quindi, la deposizione del B. non comprova affatto che la caduta della S. fu ‘determinata’ da una buca presente sul manto stradale (così come allegato nell’atto di citazione e ribadito dagli attori anche nelle successive difese), essendo del tutto evidente come non possa affatto escludersi l’eventualità che la S. cadde per altra ragione (del tutto indipendente dallo stato della strada pubblica) e finì nella buca descritta dal teste solo per effetto del dinamismo della caduta.
IV.C.4. Si potrebbe in senso contrario affermare che l’ulteriore circostanza riferita dal teste, il quale ha detto di avere notato che la S. aveva una gamba in una “buca” di “40 cm di diametro” e “profonda circa 25-30 cm”, comproverebbe senza dubbio alcuno che a provocare la caduta della S. fu proprio la predetta buca.
L’assunto, tuttavia, non appare convincente, per almeno due ordini di ragioni.
IV.C.4.a. In primo luogo perché s’è già detto che il B. non vide affatto come e perché la S. cadde, sicché affermare che proprio la predetta buca fu la causa della caduta della S. costituisce il risultato di una mera supposizione (operata ex post) e non una ‘oggettiva circostanza di fatto’ comprovata dalla deposizione del teste.
IV.C.4.b. In secondo luogo (soprattutto) perché le risultanze processuali documentali portano a dubitare della reale esistenza della buca de qua e dunque della stessa attendibilità del teste B..
Il B., come sopra evidenziato, ha dato una descrizione molto precisa della “buca” in questione, affermando che essa aveva un “diametro di 40 cm” ed era “profonda circa 25-30 cm” (a riprova di ciò, il teste ha precisato persino che la S. aveva una “gamba” – ma l’affermazione è stata poi rettificata, avendo il B. successivamente parlato di “piede e caviglia” – nella buca de qua).
Ebbene, a fronte di siffatta descrizione (in base alla quale dovrebbe ritenersi che sul manto stradale di via Fascilla vi fosse una vera e propria ‘fossa’), sarebbe stato ragionevole aspettarsi che il teste, esaminando la documentazione fotografica raffigurante lo stato dei luoghi all’epoca del fatto dannoso (documentazione prodotta da parte attrice sin dall’instaurazione del giudizio dinanzi al giudice di pace di *******), rilevasse ed indicasse con estrema facilità la buca in questione.
Sta di fatto, invece, che il teste, nell’esaminare le fotografie presenti nel fascicolo di parte attrice, ha testualmente dichiarato – nel contempo confermando che dette fotografie raffigurano proprio il luogo della caduta della S. – di “non riuscire ad individuare la buca … precedentemente descritta”: circostanza, questa, davvero singolare, avendo il teste specificato che la buca era “profonda 20-25 cm” e comunque di dimensioni tali che la gamba e/o il piede e la caviglia della S. erano entrati nella buca, sicché non può nemmeno astrattamente ipotizzarsi che il teste abbia inteso riferirsi alle semplici irregolarità del fondo stradale pure visibili nelle fotografie prodotte da parte attrice.
Orbene, il fatto che il teste, messo di fronte alle reali condizioni della strada risultanti dalle fotografie versate in atti, non sia riuscito ad individuare (e ad indicare all’Ufficio) la “buca” nella quale la S. avrebbe inciampato, porta francamente a dubitare che la caduta della S. avvenne con le specifiche modalità descritte nell’atto di citazione (che, solo se pienamente provate, sarebbero state suscettibili di essere valutate quale possibile fonte di responsabilità risarcitoria del COMUNE di GRUMO APPULA ai sensi dell’articolo 2051 c.c.).
IV.C.5. In altri termini, è del tutto evidente che non ‘qualunque’ caduta della S. può integrare gli estremi della responsabilità risarcitoria del COMUNE di GRUMO APPULA ai sensi dell’articolo 2051 c.c., ma solo quella eziologicamente ricollegabile ad una buca presente nella strada pubblica (tale essendo la dinamica del fatto indicata nell’atto di citazione e descritta con dovizia di particolari dal teste, tuttavia assolutamente smentita dalle fotografie prodotte da parte attrice raffiguranti lo stato del tratto stradale in questione all’epoca della caduta).
E sia ben chiaro che non si dubita affatto che la S. il 17.10.1997 cadde e si procurò la frattura di colles sin. [lesione abbastanza frequente nel caso di caduta di persona non più giovane (la S., nel 1997, aveva sessantacinque anni), tanto più se affetta da “notevole osteoporosi diffusa”, come rilevato dallo specialista radiologo il 16.12.1997[8] (patologia non irrilevante nella fattispecie, ma stranamente del tutto pretermessa dal consulente di parte dott. B. in sede di valutazione medico-legale{9})], ma si vuole solo rimarcare che le complessive risultanze processuali portano ad affermare che non è affatto provato che la caduta fu la conseguenza di una buca non segnalata e priva di recinzione presente sulla via Fascilla di Grumo Appula, secondo quanto allegato in atto di citazione (buca la cui esistenza, si ripete, non può essere desunta dalla semplice testimonianza del B., atteso che la deposizione del teste risulta clamorosamente smentita dalla documentazione fotografica prodotta da parte attrice).
IV.C.6. È appena il caso di evidenziare che non può nemmeno astrattamente ipotizzarsi (per farne da ciò derivare, comunque, la responsabilità ex articolo 2051 c.c. del COMUNE di GRUMO APPULA) che la caduta della S. fu cagionata non da una buca, bensì dalle irregolarità del fondo stradale di via Fascilla in Grumo Appula, pure visibili nelle fotografie prodotte da parte attrice.
A tale conclusione conducono due ordini di motivi.
IV.C.6.a. In primo luogo, perché nell’atto di citazione è stato specificamente dedotto che la caduta della S. fu provocata da una “buca” e non da semplici irregolarità del manto stradale, sicché a queste ultime non può attribuirsi alcuna efficacia causale nel determinismo dell’evento dannoso (così come prospettato nella domanda).
IV.C.6.b. In secondo luogo, perché l’unico teste escusso in giudizio ha sempre parlato di una rilevante “buca” presente alla via Fascilla di Grumo Appula (è del tutto evidente che una buca del diametro di 40 cm e della profondità di 25-30 cm costituisce un vero e proprio ‘squarcio’ del manto stradale, davvero non confondibile con una semplice ‘irregolarità’ del fondo) ed inoltre, esaminando le foto, da un canto non è stato in grado di mostrare all’Ufficio la descritta buca (della cui reale esistenza, come detto, può fondatamente dubitarsi) e da altro canto, pur vedendo le predette irregolarità del manto stradale (perfettamente raffigurate nelle foto), non le ha affatto indicate quali ‘possibile’ causa della caduta della S. né ha riconosciuto in alcuna di esse la ‘buca’ da lui descritta ed ‘associata’ alla caduta della S. (sicché non può nemmeno astrattamente ipotizzarsi che la S. cadde alla via Fascilla di Grumo Appula non in conseguenza di una fantomatica buca, bensì in conseguenza di semplici irregolarità del manto stradale).
IV.C.7. Alla contraddittorietà della prova in ordine all’effettiva presenza della buca de qua nella strada pubblica (la via Fascilla di Grumo Appula) e, conseguentemente, in ordine all’effettiva esistenza del nesso eziologico tra la cosa e l’evento dannoso, non può che conseguire il rigetto della domanda avanzata ai sensi dell’articolo 2051 c.c.
IV.D. Al rigetto della domanda si perviene, tuttavia, anche se si voglia giuridicamente qualificarla ai sensi non dell’articolo 2051 c.c. bensì dell’articolo 2043 c.c. (seguendo, cioè, l’orientamento maggioritario di cui sopra s’è detto, cui potrebbe teoricamente accedersi alla luce dei fatti esposti nella domanda, nella quale si è fatto specifico riferimento all’esistenza di una buca non segnalata e priva di recinzione in una strada scarsamente illuminata).
In primo luogo, perché la mancanza di prova in ordine alla sussistenza del nesso causale tra evento dannoso e strada pubblica, rilevante ai fini dell’esclusione della responsabilità di cui all’articolo 2051 c.c. (v. sopra), non può non riverberare i propri effetti anche ai fini di cui all’articolo 2043 c.c. (il quale richiede pur sempre l’esistenza del nesso di causalità materiale tra condotta – azione od omissione – ed evento materiale, oltre che l’esistenza del nesso di causalità giuridica tra fatto illecito e danno risarcibile).
In secondo luogo, perché parte attrice non ha provato l’esistenza di una situazione insidiosa (c.d. ‘trabocchetto’) caratterizzata dal doppio e concorrente requisito della non visibilità oggettiva del pericolo e della non prevedibilità subiettiva del pericolo stesso: invero da un canto non è stata provata l’esistenza sul manto stradale della “buca” in cui la S. avrebbe inciampato (v. sopra) e da altro canto non può non rilevarsi che la S. abitava a pochi metri dal luogo in cui il teste B. ha riferito essersi verificata la caduta, sicché può fondatamente presumersi che la S. conoscesse bene lo stato dei luoghi, il che porta ad escludere il requisito dell’imprevedibilità subiettiva.
E, a tale ultimo proposito, va ricordato che anche l’obiettiva esistenza di un’insidia stradale, da intendersi come “ogni situazione di pericolo che l’utente medio non è in grado di prevedere facendo uso della normale diligenza”[10], non è di per sé sufficiente a giustificare la responsabilità risarcitoria dell’ente che abbia la gestione della strada, la quale va esclusa allorquando, nonostante l’obiettiva esistenza dell’insidia (che, nel caso in esame, non è stata nemmeno provata in modo univoco), l’utente sia soggettivamente in grado di prevederla o evitarla[11]: e nel caso di specie, considerato che la S. abitava in via Fascilla, a pochi metri dal luogo della riferita caduta, può ragionevolmente presumersi che la donna (che tra l’altro, essendo affetta da “notevole osteoporosi diffusa”[12], avrebbe dovuto far uso di una particolare prudenza ed accortezza, considerato che i cives, in coerenza con il principio di autoresponsabilità, sono indubbiamente gravati d’un onere di particolare attenzione nell’esercizio dell’uso ordinario diretto del bene demaniale, per salvaguardare appunto la propria incolumità[13]) fosse ben a conoscenza dello stato dei luoghi e delle condizioni della strada (che in ogni caso, stando alle prodotte fotografie, presentava niente più che semplici irregolarità del fondo stradale, le quali non sono state indicate dagli attori – che hanno sempre fatto riferimento ad una vera e propria “buca” – come quelle specificamente integranti, nella fattispecie, la situazione di pericolo occulto).
IV.E. È appena il caso di evidenziare, da ultimo, l’assoluta irrilevanza della richiesta attorea di c.t.u., atteso che parte attrice ha chiesto disporsi c.t.u. al solo fine di accertare il quantum debeatur, profilo evidentemente assorbito e superato dall’accertata insussistenza dell’an debeatur (senza comunque dimenticare che la c.t.u. non può essere disposta qualora tenda ad esonerare la parte dal fornire la prova di quanto assume ovvero a compiere un’indagine ‘esplorativa’ alla ricerca di elementi, fatti o circostanze non provati[14]).
V. In conclusione, nel caso di specie difettano i presupposti per affermare la responsabilità risarcitoria del COMUNE di GRUMO APPULA tanto ai sensi dell’articolo 2051 c.c. (esplicitamente invocato in via principale dagli attori) quanto ai sensi dell’articolo 2043 c.c.
Pertanto, non può che addivenirsi al rigetto della domanda.
VI. La regolamentazione delle spese del processo dinanzi a questo Ufficio[15], liquidate come da dispositivo, segue la soccombenza, ai sensi dell’articolo 91 c.p.c.
PQM
definitivamente pronunciando sulla domanda proposta da C. G., C. A., C. P., C. I., C. G. e C. G., nella qualità di eredi di S. M., con atto di citazione notificato in data 18.3.1998, nei confronti del COMUNE di GRUMO APPULA, in persona del Sindaco pro tempore, ogni diversa e contraria istanza, eccezione, deduzione, conclusione disattesa, così provvede:
1. rigetta la domanda;
2. condanna gli attori, in solido tra loro, al pagamento in favore del convenuto delle spese di questa fase del giudizio, che liquida, in mancanza di nota specifica, in €. 64,66 per esborsi ed €. 1.500,00 per diritti ed onorari, oltre rimborso forfetario delle spese generali, C.N.A. ed I.V.A. come per legge.
Note
[1] in termini Cass., n. 11366/2002. In senso conforme Cass., n. 16179/2001; Cass., n. 699/1999; Cass., n. 10759/1998; Cass., n. 5990/1998.
[2] in termini Cass., n. 16179/2001, cit. In senso conforme Cass., n. 17152/2002 (che ha statuito – tra l’altro – che la responsabilità colposa della P.A. in caso di insidia o trabocchetto stradale trova fondamento nella Generalklausel di cui all’articolo 2043 c.c.); Cass., n. 3991/1999; Cass., n. 12314/1998; Cass., n. 11455/1998; Cass. n. 5989/1998; Cass., n. 7742/1997; Cass., n. 7062/1997; Cass., n. 265/1996; Cass., n. 8823/1995; Cass., n. 809/1995. È interessante notare che in senso non dissimile si è pronunciata la Corte Suprema (Cass., n. 366/2000) anche in tema di responsabilità da cose in custodia, affermando che il concetto di insidia o trabocchetto è caratterizzato da una situazione di pericolo occulto connotato dalla non visibilità (elemento oggettivo) e dalla non prevedibilità (elemento soggettivo) (fattispecie nella quale la Corte di cassazione, nel ricordare che l’indagine relativa alla sussistenza di tale situazione e della sua efficienza causale nella determinazione dell’evento dannoso è demandata al giudice di merito ed è insindacabile in sede di legittimità ove la relativa valutazione sia sorretta da congrua ed adeguata valutazione, ha confermato la decisione di merito che aveva respinto la domanda di risarcimento del danno da caduta all’interno delle Grotte di **********, escludendo che potessero costituire insidia la scivolosità del fondo e la scarsità dell’illuminazione).
[3] in termini Cass., n. 1571/2004.
[4] così Cass., n. 1571/2004, cit.
[5] in termini Cass., n. 19653/2004. In senso conforme Cass., n. 11446/2003; Cass., n. 488/2003; Cass., n. 298/2003.
[6] in termini Cass., n. 19653/2004, cit. In senso conforme Cass., n. 488/2003, cit.; Cass., n. 298/2003, cit.; Cass., n. 1314/1995; Cass., n. 526/1987; Cass., n. 58/1982.
[7] pervero un primo tentativo risulta esservi già stato, poiché il 10.11.1999 la 3° sezione civile della Corte di cassazione, rilevato che in ordine alla questione de qua (e cioè se, dei danni conseguenti ad omessa o insufficiente manutenzione di strade pubbliche, l’ente proprietario dovesse rispondere ai sensi della norma generale contenuta nell’articolo 2043 c.c. ovvero a titolo di custodia ex articolo 2051 c.c.) sussisteva un contrasto giurisprudenziale nell’ambito della medesima sezione (n. 11455/1998 e n. 5989/1998 nel primo senso; n. 11749/1998, n. 4673/1996 e n. 723/1988 nel secondo senso), rimise la causa al primo presidente per l’eventuale assegnazione alle sezioni unite. Il primo presidente della Corte Suprema assegnò la causa alle sezioni unite, le quali con la pronuncia n. 10893/2001, pur prendendo atto del conflitto di giurisprudenza esistente in materia tra la tesi (predominante) favorevole all’applicabilità dell’articolo 2043 c.c. e la tesi (minoritaria) favorevole all’applicabilità dell’articolo 2051 c.c. [alle quali era da aggiungere una terza tesi (ex plurimis Cass., n. 13114/1995 e n. 5990/1998) che, prendendo le mosse dalla presunzione di responsabilità per danni cagionati dalla cosa in custodia di cui all’articolo 2051 c.c., riteneva inapplicabile la suddetta presunzione agli enti pubblici qualora il bene, demaniale o patrimoniale, per le sue caratteristiche (estensione e modalità di uso), fosse oggetto di una utilizzazione generale e diretta da parte di terzi che limitasse in concreto la possibilità di custodia e vigilanza sulla cosa, e quindi non consentisse l’esercizio di un continuo ed efficace controllo che valesse ad impedire l’insorgenza di cause di pericolo, con conseguente operatività del principio generale di cui all’articolo 2043 c.c.], evidenziarono però di non poter dirimere il contrasto, in quanto il danneggiato, nei precedenti gradi di merito, aveva prospettato la responsabilità dell’Ente proprietario ai sensi dell’articolo 2043 c.c. e solo nel giudizio di legittimità aveva dedotto la responsabilità dell’Ente ai sensi dell’articolo 2051 c.c., sicché quest’ultima norma non poteva essere presa in considerazione (trattandosi di norma che implicava, sul piano eziologico e probatorio, nuovi e diversi accertamenti inammissibili in cassazione): dunque, con la citata pronuncia, le sezioni unite non entrarono nel merito della questione, ma si limitarono a sancire la manifesta infondatezza – perché già decisa dalla Corte costituzionale, nel senso della non fondatezza, con la sentenza n. 156 del 1999 – della questione di legittimità costituzionale dell’articolo 2043 c.c. (in quanto applicabile, in tema di danni conseguiti alla difettosa manutenzione delle strade, all’inerzia colposa della P.A. o del concessionario, causa di responsabilità della situazione di pericolo solo in presenza di una insidia stradale, il cui onere gravava sul danneggiato) sollevata sotto il profilo della disparità di trattamento (articolo 3 Cost.) con l’ipotesi di danneggiamento subito a causa di difetti di siti privati, soggetto al più severo regime di responsabilità di cui all’articolo 2051 c.c.
[8] cfr. referto in data 16.12.1997 a firma del dott. S. S., versato da parte attrice nel proprio fascicolo prodotto nel corso del procedimento dinanzi al giudice di pace di *******.
[9] v. pagg. 5-6 della relazione in data 17.3.1998, versata da parte attrice nel proprio fascicolo depositato al momento della costituzione dinanzi all’Ufficio del giudice di pace di *******.
[10] in termini Cass., n. 1571/2004, cit.
[11] così Cass., n. 1571/2004, cit.
[12] v. sopra, sub IV.C.5.
[13] in termini Corte cost., sent. n. 156/1999, che, dopo avere evidenziato che “nel quadro della clausola generale di cui all’articolo 2043 c.c., che impone indagini in concreto del giudice sulle situazioni di tempo e luogo, sul dovere della P.A. di manutenere le strade e sul principio di autoresponsabilità dei privati, la c.d. insidia stradale si configura come una figura sintomatica di colpa elaborata dalla giurisprudenza col fine di meglio distribuire tra le parti l’onere probatorio secondo un criterio di ‘semplificazione analitica’ delle fattispecie, tra l’altro preclusivo, per incompatibilità logica, del concorso del creditore previsto dall’articolo 1227 comma 1° stesso c.c.”, ha ritenuto “infondata, con riferimento agli articolo 3, 24 e 97 Cost., la questione di legittimità costituzionale degli articolo 2043, 2051 e 1227 comma 1° c.c., sollevata sull’erroneo presupposto che la nozione di insidia limiterebbe i diritti di difesa, incoraggiando l’inerzia amministrativa e precludendo l’accertamento del concorso del danneggiato”. Cfr. altresì Trib. Milano, 19.4.2000, che ha ritenuto di dover escludere la responsabilità per insidia occulta o trabocchetto qualora, per il particolare uso che il danneggiato fa del bene, possa farsi affidamento sul principio di autoresponsabilità del singolo e sull’onere riscontrabile a carico di ciascuno nell’adozione di comportamenti idonei, quanto ad attenzione dovuta, al fine di salvaguardare la propria incolumità.
[14] in termini Cass., n. 9060/2003. In senso conforme Cass., n. 7635/2003; Cass., n. 2887/2003; Cass., n. 11359/2002; Cass., n. 5422/2002; Cass., n. 3343/2001; Cass., n. 1132/2000; Cass., n. 321/1999; Cass., n. 342/1997; Cass., n. 2205/1996. In senso conforme altresì Cass., n. 13401/2005, che, dopo avere chiarito la differenza tra funzione ‘deducente’ e funzione ‘percipiente’ del consulente (la prima si ha “se il giudice affida al consulente il semplice incarico di valutare fatti già accertati o dati preesistenti”, nel qual caso l’attività del consulente “non può produrre prova”; la seconda si ha “se, viceversa, al consulente è conferito l’incarico di accertare fatti non altrimenti accertabili che con l’impiego di tecniche particolari”, nel qual caso “la consulenza costituisce fonte diretta di prova ed è utilizzabile al pari di ogni altra prova ritualmente acquisita al processo”), ha statuito che “in nessun caso… la consulenza tecnica può servire ad esonerare la parte dal fornire la prova che le spetta fornire in base ai principi che regolano l’onere relativo” e che “solo nel caso di fatti il cui accertamento richieda l’impiego di un sapere tecnico qualificato, l’onere si riduce all’allegazione, spettando, poi, al giudice decidere se ricorrono o meno le condizioni per ammettere la consulenza tecnica” (nel medesimo senso Cass., sez. un., n. 9522/1996; Cass., n. 11332/2003; Cass., n. 1512/2003).
[15] la precisazione appare opportuna perché, allorquando il giudice dichiara la propria incompetenza, chiudendo il processo davanti a sé, è tenuto a provvedere sulle spese giudiziali, non potendo rimettere la relativa pronuncia al giudice dichiarato competente (in termini, e plurimis, Cass., n. 833/2003; Cass., n. 2011/1990; Cass., n. 852/1985; Cass., n. 5897/1979), con la conseguenza, nel caso in cui il giudice dichiaratosi incompetente ometta di pronunciarsi sulle spese, che il solo rimedio di cui la parte può servirsi è costituito dall’appello (in termini Cass., n. 852/1985, cit.). Nel caso in esame si rileva che il giudice di pace di *******, nel dichiarare la propria incompetenza con la sentenza n. 128 del 14.10.1998, correttamente statuì sulle spese giudiziali (compensandole per intero) e che la sentenza del giudice di pace non fu impugnata da alcuna delle parti sotto tale profilo (con l’appello), di tal che non va adottata alcuna decisione in ordine alle spese relative alla fase del processo celebrata dinanzi a quell’Ufficio.
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