La Corte di Cassazione, con una recente sentenza, ha sancito che, nella truffa contrattuale, il danno che giustifica il sequestro non è solo quello della perdita del bene, ma anche le condizioni contrattuali più gravose che si sono determinate per il raggiro lesivo dell’autodeterminazione.
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Indice
1. I fatti
Il giudice del riesame del Tribunale di Napoli confermava i decreti di sequestro preventivo emessi dal Gip del Tribunale di Torre Annunziata.
Gli imputati hanno proposto ricorso per Cassazione affidandolo all’unico motivo della violazione dell’art. 606, comma 1, lett. b) cod. proc. pen. in relazione agli art. 640 cod. pen. e 7 e 10 legge 7 agosto 1990 n. 241.
Nello specifico, i ricorrenti non ritenevano rilevante che l’intero stabile ove era situato l’immobile fosse stato sottoposto, prima della vendita, a un procedimento amministrativo che poteva determinare la sua intera demolizione.
Sotto un primo profilo, gli indagati deducono che il Tribunale non ha tenuto conto che questi sono venuti a conoscenza della pendenza del procedimento amministrativo all’atto di notifica dello stesso, effettuata nei confronti dei condomini dello stabile ove insiste l’unità immobiliare compravenduta e, dunque, un anno dopo la stipula dell’atto di compravendita e che, di conseguenza, il Tribunale avrebbe travisato la funzione conoscitiva dell’avviso di avvio del procedimento.
Sotto un secondo profilo, rilevano che il Tribunale, benché specificamente sollecitato, ha omesso di motivare in ordine alla sussistenza del danno; che in ogni caso, ritenere integrato l’elemento del danno rappresenta un errore di diritto, atteso che nel caso di specie il danno non è attuale, avendo il TAR Campania sospeso l’esecuzione dell’ordinanza comunale di demolizione, per cui non si è verificata una deminutio patrimonii.
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2. L’analisi della Cassazione sul “danno” nel reato di truffa
La Corte di Cassazione, nella sua analisi, premette innanzitutto che, in tema di provvedimenti cautelari reali, il ricorso per Cassazione è consentito solo per violazione di legge ai sensi dell’art. 325 cod. proc. pen. e che tale vizio ricomprende, secondo consolidata giurisprudenza delle Sezioni Unite (n. 25932 del 29/05/2008) “sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico del giudice“.
Chiarito ciò, la Suprema Corte osserva che, nel caso di specie, il Tribunale non è incorso nell’errore del diritto sollevato dai ricorrenti, atteso che non ha male interpretato la normativa che regola il procedimento amministrativo, in quanto ha ricondotto la conoscenza della sua pendenza alla sussistenza di altri elementi, quali alcuni sopralluoghi effettuati da tecnici comunali nel 2018 e l’interlocuzione di uno degli indagati con questi ultimi.
Insomma, secondo la Cassazione, “deve essere escluso che a fronte della approfondita valutazione degli elementi che hanno portato il tribunale del riesame ad affermare nel caso di specie la sussistenza del fumus commissi delicti si possano, con il ricorso in Cassazione, riproporre, sotto il profilo dell’omessa o erronea motivazione, questioni riguardanti una diversa lettura degli stessi elementi ove il giudizio del riesame abbia comunque compiuto una valutazione priva dei requisiti di totale arbitrarietà o incompletezza“.
Quanto al profilo della mancanza della attualità del danno, invece, si osserva che “nella truffa contrattuale il danno può essere identificato non solo nella perdita definitiva del bene acquistato a seguito dei raggiri ma anche nell’aver stipulato il contratto a condizioni più gravose o differenti da quelle che sarebbero state pattuite ove non vi fosse stata la lesione della libertà di autodeterminazione dell’acquirente“.
3. La decisione della Cassazione
La Corte di Cassazione, alla luce di quanto detto finora, ha dichiarato l’inammissibilità del ricorso, sancendo l’importante principio di diritto secondo cui, dunque, nella truffa contrattuale non è necessario perdere definitivamente il bene acquistato, ma è sufficiente, per aversi un danno rilevante, aver stipulato un contratto privo degli elementi conoscitivi per avrebbero permesso una maggiore libertà di autodeterminazione.
Insomma, la Suprema Corte ha respinto del tutto l’ipotesi della buona fede dei ricorrenti, rigettando le varie argomentazioni relative alle tempistiche dei provvedimenti adottati e alla stipulazione del contratto.
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