Tutela dei creditori del chiamato all’eredità in stato di insolvenza

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Ci si interroga, innanzitutto, se, in materia di acquisto dell’eredità, possa il creditore del chiamato – rectius: delato[1] – sostituirsi a questi per accettare, al suo posto, l’eredità. La questione è di non poco conto, visto che l’interesse del creditore a soddisfarsi verrebbe senz’altro frustrato qualora il debitore che versa in stato di insolvenza non avesse intenzione di accettare l’eredità alla quale è – per testamento o per legge – chiamato. Per approfondimenti consigliamo il volume: Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni

Indice

1. Esclusione della possibilità di applicare l’azione surrogatoria per accettare l’eredità al posto del chiamato.


Quella delazione rappresenta quindi, per i creditori del chiamato all’eredità, un valore economico-patrimoniale tutt’altro che irrilevante sul quale eventualmente contare al fine di soddisfarsi (art. 2740 c.c.). Occorre allora indagare quale meccanismo l’ordinamento offra per evitare che la pretesa creditizia sia definitivamente frustrata a causa della mancata accettazione dell’eredità da parte del chiamato. Il legislatore del 1942 sembra aver innanzitutto escluso una legittimazione a agire in via surrogatoria dei creditori del chiamato. Recita l’articolo 2900, comma 1, c.c.: «il creditore, per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, può esercitare i diritti e le azioni che spettano verso i terzi al proprio debitore e che questi trascura di esercitare, purché i diritti e le azioni abbiano contenuto patrimoniale e non si tratti di diritti o di azioni che, per loro natura o per disposizione di legge, non possono essere esercitati se non dal loro titolare». Sono quindi quattro i presupposti per aversi azione surrogatoria: 1) esistenza del debito; 2) inerzia del debitore, ossia: il debitore negligentemente trascura di esercitare un suo diritto; 3) contenuto patrimoniale del diritto; 4) che non si tratti di un diritto che, per sua natura o per disposizione di legge, non possa esser esercitato se non dal suo effettivo titolare (che sia, cioè, un diritto esercitabile anche da altri soggetti, differenti dal suo titolare). Quanto difetta, nel caso della mancata accettazione dell’eredità, è sostanzialmente una vera e propria inerzia del debitore chiamato all’eredità del defunto: l’intenzione di non (voler) accettare l’eredità non implica “trascurare” un diritto ai sensi dell’articolo 2900 c.c.: quella di non accettare l’eredità alla quale si è – per testamento o per legge – chiamati è infatti una facoltà che il legislatore del 1942 ha voluto assicurare al delato. Detto altrimenti, l’alternativa “accettare” o “non accettare” non rientra, e non può rientrare, nella definizione di inerzia del debitore, dal momento che la formulazione dell’articolo 2900 c.c. presuppone innanzitutto un obbligo al quale il debitore è tenuto. Pertanto, visto che il chiamato all’eredità non è obbligato a accettare la stessa, esula senz’altro dallo schema normativamente previsto la possibilità di applicare l’azione surrogatoria al caso in esame. Per approfondimenti consigliamo il volume: Manuale pratico per la successione ereditaria e le donazioni

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Riccardo Mazzon | Maggioli Editore 2024

2. Impugnazione della rinuncia da parte dei creditori


Se il diritto di accettare l’eredità non può esser esercitato in via surrogatoria dal creditore del chiamato (delato), quale altra tutela, allora, gli offre l’ordinamento? Si ipotizza, innanzitutto, l’actio interrogatoria. A norma dell’articolo 481 c.c., infatti: «chiunque vi ha interesse può chiedere che l’autorità giudiziaria fissi un termine entro il quale il chiamato dichiari se accetta o rinunzia all’eredità. Trascorso questo termine senza che abbia fatto la dichiarazione, il chiamato perde il diritto di accettare». L’utilità dell’actio interrogatoria è tuttavia in fatto limitata alla eventualità che il chiamato, una volta esperita l’azione da parte del creditore interessato, e così fissato un termine per l’accettazione, effettivamente accetti l’eredità alla quale è delato. Ma quid iuris ove – infruttuosamente trascorso quel termine – il chiamato non abbia infine dichiarato di accettare l’eredità? Il creditore ancóra non ha avanti a sé un effettivo valore patrimoniale, sufficiente a soddisfare la propria pretesa creditoria contro l’insolvenza del chiamato all’eredità suo debitore: non ha cioè tratto in concreto utilità alcuna dall’esperimento dell’azione ex 481 c.c. A favore del creditore rimasto insoddisfatto interviene allora l’articolo 524 c.c., rubricato «Impugnazione della rinunzia da parte dei creditori»: «se taluno rinunzia, benché senza frode, a un’eredità con danno dei suoi creditori, questi possono farsi autorizzare ad accettare l’eredità in nome e luogo del rinunziante, al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti. Il diritto dei creditori si prescrive in cinque anni dalla rinunzia». Quello offerto dall’articolo 524 c.c. è un vero e proprio potere, che l’ordinamento offre ai creditori del chiamato. In quanto forma di opposizione all’atto di rinuncia effettuato dal chiamato e, in particolare, agli effetti della rinuncia all’eredità, presupposto della norma in oggetto è, innanzitutto, il fatto che vi sia stata rinuncia all’eredità. Non si tratta, in particolare, di un’azione surrogatoria perché quello del creditore è un diritto esercitato iure proprio, e, oltretutto, limitato dal fatto che i creditori del chiamato possano soddisfarsi sui beni ereditari soltanto fino alla concorrenza dei loro crediti. L’eventuale relictum viene comunque devoluto a norma di legge al chiamato in subordine (si applicano, cioè, le regole della successione legittima). L’impugnazione della rinunzia rende infatti inopponibile al creditore procedente l’effetto della delazione, per quella parte corrispondente al suo credito, a favore del chiamato successivo. Occorre fin da sùbito sottolineare come il chiamato non diviene erede: la volontà – manifestata dal soggetto a favore del quale si ha quell’offerta del patrimonio ereditario ch’è la delazione (attuale) – di non diventar erede è allora rispettata. In forza dell’autorizzazione del Tribunale, cioè, il creditore può, entro cinque anni dalla rinunzia da parte del debitore, agire in executivis sui beni che sarebbero pervenuti iure successionis al chiamato: ma – va sottolineato – l’articolo 524 non fa acquistare la qualità di erede al debitore rinunziante (originariamente delato) al creditore procedente[2]. In sintesi, quella offerta dall’articolo 524 c.c.: – non è azione surrogatoria rispetto al diritto del chiamato di accettare l’eredità perché 1) non si tratta di reagire all’inerzia del titolare del diritto; 2) non è volta a far ri-entrare nel patrimonio del rinunziante uno o più beni. – non è azione revocatoria rispetto alla rinuncia da parte del chiamato all’eredità perché 1) non occorre che vi sia stato un intento fraudolento da parte del rinunziante («senza frode» sottolinea l’articolo 524 c.c.); 2) non è volta alla dichiarazione di inefficacia dell’atto, ma a ottenere tanti beni quanti sono quelli necessari a soddisfare tramite il loro ricavato i creditori del rinunziante («al solo scopo di soddisfarsi sui beni ereditari fino alla concorrenza dei loro crediti» sottolinea lo stesso articolo). L’azione revocatoria della rinuncia all’eredità è infatti, come la surrogatoria, inammissibile.

3. Tutela del creditore del chiamato in presenza di legittimari


Si osserva, ora, quale tutela l’ordinamento offra ai creditori del chiamato all’eredità qualora questi sia un legittimario leso nel quantum della sua quota di legittima (e non, invece, totalmente pretermesso). In una situazione del genere, infatti, non si ha a che fare con un’ipotesi di accettazione o di rinuncia all’eredità da parte del chiamato, ma con una eventuale azione di riduzione ex artt. 553 e ss. c.c. In materia di legittimari parte della dottrina ritiene l’azione di riduzione preclusa ai creditori del legittimario. Altra parte della dottrina[3] – senz’altro prevalente – fa invece leva sull’enunciato normativo dell’articolo 557, comma 3, c.c.: la littera legis sottolinea infatti che «non possono chieder[e la riduzione] nemmeno i creditori del defunto, se il legittimario ha accettato con il benefico d’inventario». Ora, se si interpreta a contrario la norma è possibile ricavare una legittimazione dei creditori del legittimario all’azione di riduzione qualora questi abbia accettato l’eredità puramente e semplicemente. Se, infatti, in forza di quella confusione dei patrimoni del successore (legittimario) e del defunto – effetto dell’accettazione non beneficiata -, si può affermare la legittimazione dei creditori del defunto all’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione, altrettanto si può fare rispetto ai creditori dell’erede stesso. L’azione di riduzione può allora esser esercitata, oltre che dai creditori del defunto (se si ha accettazione pura e semplice), anche dai creditori del legittimario (sempre e comunque). L’azione di riduzione non è più, infatti, una mera facoltà – come l’alternativa di accettare o non accettare l’eredità -, ma è, ora, l’esercizio di un diritto che l’erede effettivamente «trascura». La Cassazione ritiene allora che il creditore possa sostituirsi (surrogarsi) al chiamato all’eredità per agire, al suo posto, in riduzione contro i donatari precedenti (la cui donazione ha leso la legittima) che hanno ricevuto quei beni. Infatti: «la confusione del patrimonio del defunto con quello dell’erede causata dall’accettazione pura e semplice, rende i creditori del defunto creditori anche dell’erede-legittimario e, quindi, […] consente [ai creditori del legittimario], in caso di inerzia del legittimario, di esperire l’azione di riduzione surrogandosi al legittimario, ai sensi dell’art. 2900»[4]. A differenza della situazione in cui il chiamato non avesse accettato l’eredità, ove la surrogatoria (nell’accettazione dell’eredità) è senz’altro esclusa, la situazione in esame – relativa al chiamato all’eredità legittimario che non esercita l’azione di riduzione – consente l’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. (nell’esercizio dell’azione di riduzione). Non differente l’opinione della giurisprudenza di merito, sicura nell’affermare che «l’azione di riduzione [sia] esperibile in via surrogatoria dal creditore del legittimario»[5]. L’azione surrogatoria ex art. 2900 c.c. può quindi sicuramente esser esercitata rispetto all’azione di riduzione perché rientra, o si fa rientrare, nella definizione di inerzia del debitore quel “non essersi interessato” il legittimario alla sua legittima: non aver esercitato quell’azione di riduzione che la legge assicura al legittimario qualora la quota di riserva venisse lesa dalle disposizioni testamentarie e/o dalle donazioni oltre la quota di cui il testatore poteva disporre è, certamente, una situazione di inerzia del legittimario (che non sia del tutto preterito). È quindi una situazione differente da quella in cui il chiamato – non legittimario – avesse scelto di non accettare l’eredità a lui devoluta per testamento o per legge: in quest’ultima ipotesi, infatti, è ferma l’esclusione della possibilità di applicare l’azione surrogatoria perché quella che l’ordinamento attribuisce al chiamato all’eredità è una mera facoltà (accettare o non accettare), e non un diritto (potestativo), qual è invece quello del legittimario di reintegrazione della quota di riserva, che questi ha (nei confronti dei beneficiati dalle disposizioni lesive e dei loro aventi causa) ma non esercita (inerzia del debitore). Va comunque sottolineato come, nel caso in esame, 1) si ha mera lesione della quota di legittima, e non totale pretermissione del legittimario; 2) si presume che il legittimario abbia manifestato, anche per fatti concludenti, la volontà di conseguire i propri diritti ereditari. Pertanto, non manca un’effettiva volontà del legittimario di diventar erede (volontà che, invece, sarebbe mancata ove quel legittimario fosse stato totalmente pretermesso e non avesse comunque avuto iniezione di conseguire la legittima attraverso l’azione di riduzione). La situazione si fa più articolata dall’ultimo intervento, in materia, della Cassazione, la quale ha affermato come sia «ammissibile l’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria – prevista dall’art. 2900 c.c. – nella proposizione della domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte dei creditori dei legittimari totalmente pretermessi che siano rimasti del tutto inerti, realizzandosi un’interferenza di natura eccezionale – ma legittima nella sfera giuridica del debitore; infatti, l’azione surrogatoria non è altro che lo strumento che la legge appresta al creditore per evitare gli effetti che possano derivare alle sue ragioni dall’inerzia del debitore che ometta di esercitare le opportune azioni dirette a alimentare il suo patrimonio, riducendo così la garanzia che esso rappresenta in favore dei creditori»[6]. Resta quindi da esaminare l’eventualità in cui il legittimario non sia soltanto leso, ma assolutamente preterito.

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4. In particolare: surrogazione del legittimario preterito


Ora, va senz’altro esclusa, come si è visto, la possibilità di far agire in via surrogatoria i creditori del delato per far accettare a questi l’eredità: non va invece esclusa la possibilità di far agire in via surrogatoria i creditori del legittimario preterito per agire in riduzione, sì che questi diventi, in caso di vittoria, immediatamente erede. Ma quid iuris ove quel legittimario fosse stato in tutto preterito (cioè escluso dal testamento), senza in realtà manifestare alcuna volontà nel senso di accettare l’eredità? È possibile che, nel caso in esame, l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione da parte del creditore del legittimario faccia conseguire al legittimario stesso, ove vittoriosamente esperita, la qualità non di erede, ma di delato? Se, infatti, è sensato che il legittimario, vittoriosamente esperita l’azione di riduzione, diventi immediatamente erede, non è altrettanto sensato, anzi è contrario ai princìpi dell’ordinamento, che lo stesso diventi erede per volontà di altri. L’azione di riduzione porta infatti effetti differenti a seconda che il legittimario non sia erede (totale pretermissione) o sia erede soltanto in quella parte insufficiente che il testatore gli ha lasciato (lesione della quota di legittima). Detto altrimenti, una cosa è far accrescere il quantum su cui i creditori del legittimario la cui quota di legittima sia stata lesa possono soddisfarsi, altra cosa è far conseguire a un soggetto che sia stato totalmente pretermesso dal testatore la qualità di erede, qualità – ecco il problema – che quel legittimario sembra aver implicitamente voluto rifiutare, visto che non ha esercitato l’azione di riduzione. Nell’un caso, infatti, il legittimario è già erede, seppure limitatamente a quella parte insufficiente a tacitare lo stesso (si ha una lesione nel quantum della quota di riserva, ma il soggetto è comunque delato). Nell’altro, invece, il legittimario acquista la qualità di erede del testatore soltanto ove vittoriosamente esperita l’azione di riduzione (totale pretermissione da parte del testatore), e quindi in assenza di un’effettiva delazione. Se, in linea con la dottrina prevalente, l’acquisto della qualità di erede in capo al legittimario preterito si ha solo in forza dell’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione, (natura costitutiva dell’azione di riduzione), il mancato esperimento della stessa da parte del legittimario non fa acquistare la qualità di erede. Come può allora giustificarsi l’ammissibilità della surrogatoria nell’azione di riduzione per quanto attiene all’acquisto della qualità di erede senza nulla avere fatto il legittimario preterito per diventar edere? Manca, cioè, una effettiva volontà di accettare in capo al legittimario preterito, oltretutto nemmeno delato, volontà che si sarebbe invece senz’altro riscontrata ove fosse stata proposta la domanda di riduzione delle disposizioni testamentarie lesive della quota di legittima da parte del legittimario stesso. Vero è che Cass., n. 16623 del 2019 parla di legittimari «totalmente pretermessi». Non sembra cioè essersi fatta troppi problemi la Suprema Corte a ritagliare la veste di erede a chi tale qualità non ha in realtà mai voluto. Pare allora che la Cassazione abbia voluto far prevalere l’interesse del creditore sull’interesse del legittimario preterito a non voler esercitare l’azione di riduzione. E siffatta prevalenza del diritto di credito vantato nei confronti del legittimario la si trova nell’inerzia giustificativa dell’esercizio in via diretta dell’azione surrogatoria nella proposizione della domanda di riduzione. D’altro canto, non è un ipotesi isolata quella dell’accettazione da parte di un soggetto – non direttamente delato – differente dal chiamato all’eredità: si pensi al rappresentante legale che può accettare per l’incapace, o al curatore fallimentare che può accettare l’eredità previa autorizzazione del comitato dei creditori. In quest’ultima situazione, in particolare, il curatore fallimentare amministra il patrimonio del fallito non nell’interesse non del fallito, ma nell’interesse dei terzi creditori (art. 132 c.c.i.). Una possibile soluzione, in assenza di ogni previsione normativa, potrebbe allora essere la seguente: l’esercizio in via surrogatoria dell’azione di riduzione non fa acquistare la qualità di erede al legittimario preterito, ma soltanto una “delazione”, a favore del legittimario, entro quei beni oggetto dell’azione di riduzione, beni sui quali potrà soddisfarsi il creditore. A conferma di quanto sottolinea la dottrina preferibile[7] sta il fatto che per domandare la riduzione il legittimario non preterito, ma soltanto leso nel quantum – e quindi chiamato alla successione come erede, ma in una quota insufficiente – sia tenuto a norma dell’articolo 564, comma 1, c.c. a accettare l’eredità col beneficio d’inventario[8]. Non manca, infatti, una delazione a suo favore. Lo stesso non si può dire per il legittimario preterito, il quale è delato soltanto ove vittoriosamente esperisce l’azione di riduzione. Si è quindi innanzi a una forma di accettazione tacita qualora sia direttamente il legittimario preterito a esperire vittoriosamente l’azione di riduzione (come sostiene la dottrina senz’altro prevalente), ma ove siano altri – in sostituzione del legittimario – a esercitare l’azione di riduzione, il legittimario non acquisterà immediatamente la qualità di erede: manca, infatti, una volontà del sostituito diretta a accettare l’eredità. Pertanto, occorre distinguere se l’esercizio dell’azione di riduzione sia stato diretto o indiretto (azione surrogatoria nell’esercizio dell’azione di riduzione): – se diretto (cioè vittoriosamente esercitato dal legittimario) il legittimario preterito certamente acquista la qualità di erede; – se indiretto (cioè vittoriosamente esercitato da terzi, che si sostituiscono al legittimario: nel caso in esame i creditori dello stesso) il legittimario ottiene soltanto una delazione attuale, senza tuttavia diventar erede. L’esperimento (vittorioso) dell’azione di riduzione da parte dei creditori del legittimario preterito in via surrogatoria non implica, cioè, anche una immediata accettazione (tacita) dell’eredità da parte del sostituito. E la giustificazione di tutto ciò sta, in ultima analisi, proprio in quella assenza di delazione in capo al legittimario preterito (presente invece nel legittimario soltanto leso). Dal momento che il creditore surrogante non può certo accettare l’eredità al posto del surrogato, e quest’ultimo, finalmente delato, non ha alcuna intenzione di accettare l’eredità, non resta altra soluzione a tutela del creditore se non quella offerta dall’actio interrogatoria. Pertanto, ottenuta attraverso l’esercizio dell’azione surrogatoria prevista dall’articolo 2900 c.c. nella proposizione della domanda di riduzione da parte del creditore del legittimario preterito una delazione attuale, e non più soltanto un diritto potestativo, a favore dello stesso legittimario, quest’ultimo può volontariamente accettare o non accettare l’eredità a lui devoluta. Ma, a quel punto, se il legittimario preterito, ora delato, ancóra non accetta, a tutela del creditore si applicherà infine l’articolo 524 c.c., ove l’actio interrogatoria risultasse infruttuosa[9].

5. Osservazioni conclusive


Si intuisce, in ultima analisi, come la via offerta dall’ordinamento alla tutela del creditore del chiamato all’eredità in stato di insolvenza si fa dispendiosamente lunga e artificiosa in presenza di un legittimario assolutamente preterito a causa dell’assenza di un’attuale delazione in suo favore. Da ultimo, occorre allora tener a mente che l’esperimento vittorioso dell’azione di riduzione esercitata da altri, e non direttamente dal legittimario, conferisce a quest’ultimo non la qualità di erede, ma, più attentamente, soltanto un’offerta del patrimonio ereditario in suo favore, che spetta, poi, allo stesso legittimario accettare o meno.

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Note

  1. [1]

    Presupposto dell’acquisto dell’eredità è infatti – l’esistenza e – l’attualità della delazione a favore del chiamato: l’offerta del patrimonio ereditario a un soggetto dev’essere cioè attuale. In argomento si rinvia a G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Giuffrè, Milano 2015, pp. 231 e ss.

  2. [2]

    Cass., sent. 24 novembre 2003, n. 17866; Cass., sent. 29 marzo 2007, n. 7735.

  3. [3]

    G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Giuffrè, Milano 2015, pp. 538-39; A. Pino, La tutela dei legittimari, p. 69; F. Santoro-Passarelli, Dei legittimari, p. 316; L. Ferri, Dei legittimari, Artt. 536-564, Zanichelli, Bologna 1971, pp. 199-200; L. Mengoni, Successioni per causa di morte. Successione necessaria, Giuffrè, Milano 2000, p. 242.

  4. [4]

    G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Giuffrè, Milano 2015, cit., p. 539.

  5. [5]

    Così Trib. Parma, sent. 27 aprile 1974, in Giur. it., 1975, I, 350. Cfr. anche Trib. Cagliari, sent. 14 febbraio 2002, la quale sottolinea come «l’azione di riduzione [sia] esperibile in via surrogatoria anche dai creditori del legittimario pretermesso».

  6. [6]

    Cass., sent. 20 giugno 2019, n. 16623

  7. [7]

    G. Capozzi, Successioni e donazioni, I, Giuffrè, Milano 2015, p. 541.

  8. [8]

    Ivi, pp. 399 e ss

  9. [9]

    Si è infatti visto come l’azione ex 524 non fa acquistare la qualità di erede né al debitore rinunziante (originariamente delato) né al creditore procedente.

Samuele Ricobelli

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