Dalla semplice informazione fino al consenso informato
Con riferimento alle problematiche relative agli incapaci ed ai minori
Ogni paziente, prima di iniziare una sperimentazione in Cardiologia(così come in tutte le sperimentazioni cliniche d’altronde)deve firmare un consenso informato. E’ questo un modulo in cui gli viene riferito lo scopo dello studio,i possibili rischi e benefici a cui potrebbe andare incontro, e la possibilità per il paziente di ritirare in qualunque momento il proprio consenso, interrompendo la propria partecipazione alla ricerca, senza che questo, in alcun modo, precluda la sua assistenza con cardiofarmaci convenzionali presso lo stesso centro. Dal canto suo il proponente lo studio si impegna a rispettare l’anonimato del paziente, il cui nome non può comparire in nessun documento inoltrato alla ditta proponente lo studio(cioè la casa farmaceutica o l’ente di ricerca per conto dei quali si sta sperimentando il cardiofarmaco), infatti, dopo che lo studio si è concluso, la scelta di aderire ad una sperimentazione clinica, spetta solo ed esclusivamente al paziente, il quale ha il diritto di avere tutte le informazioni riguardanti lo studio(ad eccezione di quelle previste dal singolo o doppio cieco).
In realtà, per arrivare a tale stato dei fatti, o meglio a tale grossa considerazione per il consenso informato in un campo come la sperimentazione cardiologia bisogna partire dai primi anni del 900. Infatti, il principio del “consenso informato”comparve formalmente per la prima volta sulla scena della giurisprudenza, (in riferimento non solo alla sperimentazione clinico-cardiologica) soltanto nell’anno 1914, in America, in quanto, nella famosa sentenza del Giudice Cardozo, si formulò il principio che “ogni essere umano adulto e sano di mente ha il diritto di decidere ciò che sarà fatto sul suo corpo, e per questo,ogni medico, che agisce senza il consenso del suo paziente, commette un’aggressione per la quale è perseguibile per danni”.
Il ruolo del consenso informato
Oggi il consenso informato è alla base del rapporto medico-sperimentatore- paziente, poiché, quest’ultimo si è evoluto nel tempo, e quindi si è passati da una situazione di paternalismo e centralità dello sperimentatore/medico ad una di supremazia e centralità del paziente, che gode della più piena autonomia: quest’ultimo può decidere in che modo, dove, quando e perché farsi curare, senza coercizione alcuna, soprattutto in ottemperanza all’art. 32 della Costituzione, il quale afferma solennemente che “Nessuno può essere obbligato ad un determinato trattamento sanitario,se non per disposizioni di legge. La legge in alcun caso può violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana”.
Per questo oggi il diritto a dare un consenso consapevole nelle motivazioni e nella rappresentazione di ciò che rappresenta davvero per la tutela della salute è diritto fondamentale della persona e come tale va tutelato in modo assoluto rispetto all’ordinaria gestione giuridica di una vicenda, che nasce dal contatto clinico, oggi il consenso è il nodo centrale in quanto al suo fine si deve piegare l’informazione, che, come ci illustrano gli stessi articoli 30[1] e 32[2] del Codice deontologico, sarà valido supporto nella misura più o meno intensa con cui avrà caratterizzato il rapporto, è ovvio che, di conseguenza, qualora si voglia escludere una responsabilità per inadempimento non riferibile a colpa grave e quand’anche non sussistano contestazioni di colpa sulle modalità di esecuzione della prestazione generale di cura e assistenza, si può pur sempre configurare una responsabilità per carenza assoluta di un consenso o per non essere lo stesso retto da un’ adeguata informazione,responsabilità prevista,ai fini di un risarcimento danni,esclusivamente dall’articolo 2043 c.c.,il quale(come vedremo in seguito),posto a tutela generale ,sottolinea, in maniera imponente, come il rapporto sottostante di cura è solo uno dei tanti contesti di fatto, in cui si realizza la violazione di un diritto personalissimo.
Di conseguenza, se il consenso è stato validamente acquisito, non c’è lesione e non sussistono ragioni per identificare un danno non patrimoniale, il quale è insito nella stessa condotta omissiva, ai fini dell’acquisizione di un valido consenso, né per conferire maggiore intensità alle conseguenze pregiudizievoli di un errore, poiché il paziente è stato consapevolmente coinvolto e ha partecipato alla decisione, accettando il prospetto del medico e svolgendo il proprio ruolo fondamentale. Ma ci possono essere casi, nei quali il criterio del necessario consenso subisca delle eccezioni?
La voce della giurisprudenza
La Cassazione penale,a tal proposito,ha precisato che eccezioni al criterio generale dell’acquisizione del consenso informato prima di un trattamento medico “sono configurabili solo nel caso di trattamenti obbligatori ex lege,ovvero nel caso in cui il paziente non sia in condizione di prestare il proprio consenso,o si rifiuti di prestarlo e d’altra parte,l’intervento medico risulti urgente ed indifferibile al fine di salvarlo dalla morte o da un grave pregiudizio alla salute”. Aggiunge, inoltre, sempre la Suprema Corte che “per il resto, la mancanza del consenso (opportunamente “informato”) del malato o la sua invalidità per altre ragioni determina l’arbitrarietà’ del trattamento medico-chirurgico e, la sua rilevanza penale, in quanto posto in violazione della sfera personale del soggetto e del suo diritto di decidere, se permettere interventi estranei sul proprio corpo. Le ipotesi delittuose configurabili possono essere di carattere doloso: artt. 610-613-605 c.c. nell’evenienza del trattamento terapeutico non chirurgico;ovvero,art 582 c.,nell’evenienza di trattamento chirurgico.
Per questa ragione, quindi, il consenso del paziente non può soffrire limitazioni, perché o è ritenuto importante ed essenziale per fare del rapporto medico- paziente un rapporto interpersonale non solo sul piano etico e sociologico, ma soprattutto sul piano giuridico, o lo si considera un non problema,ponendo come irrilevante la salvaguardia dei valori della persona, sicuramente conclamata da una vasta normazione deontologica, che muove i passi dal Codice di Norimberga e dalla Dichiarazione di Helsinki (sistematicamente aggiornata sui pericoli più evidenti provenienti dalla sperimentazione) fino giù ai Codici di deontologia medica alla Carta dei diritti dell’uomo e alla Costituzione europea,prescindendo dai nostri principi costituzionali che ispirano con adattamento a posteriori il nostro ordinamento giuridico. Fin quì sicuramente ciò che salta di più agli occhi dello studioso è come tutto ruoti intorno a due parole chiave: informazione e consenso, quest’ultimo conseguenza più o meno articolata di una chiara e corretta informazione.
Proprio perché questa distinzione è importante, ai fini del nostro discorso, non tanto dal punto di vista grammaticale, ma soprattutto dal punto di vista logico e di significato, prima di passare all’analisi del consenso un po’ più nello specifico, ritengo importante che tutti noi ci ponessimo una domanda: Che cos’è davvero il consenso, e come si arriva alla sua chiara, libera, espressa ed esplicita formazione? Volendo, ad esempio, rispondere attraverso la normazione,possiamo dire che il Decreto Legislativo n° 211/03 ad esempio fornisce una definizione di consenso informato molto più articolata, non solo di quella riportata nel Decreto ministeriale del 15 Luglio 1997 (relativo al recepimento delle Linee guida dell’Unione Europea di buona pratica clinica per l’esecuzione delle sperimentazioni cliniche dei medicinali)ma anche delle ulteriori fonti legislative analizzate in seguito, in modo da poter poi meglio delineare lo stesso nei gesti e nelle modalità di esecuzione del team dello sperimentatore. Infatti, recita il D.M. del 15 Luglio 1997: “Dicesi consenso informato una procedura mediante la quale un soggetto accetta volontariamente di partecipare ad un particolare studio clinico,dopo essere stato informato di tutti gli aspetti dello studio pertinenti alla sua decisione. Il consenso informato è documentato mediante un modulo di consenso informato scritto, firmato e datato”.
Il dato normativo
In contrapposizione, dal canto suo, (o meglio a maggior chiarire) il Dlg 211/03 risponde, dichiarando che: “Il consenso informato” è la decisione di un soggetto, il quale risulta candidato ad essere incluso in una sperimentazione, scritta, datata, e firmata, presa spontaneamente, dopo un’esaustiva informazione circa la natura, il significato, le conseguenze ed i rischi della sperimentazione e dopo aver ricevuto la relativa documentazione appropriata. La decisione, quindi, è espressa da un soggetto capace di dare il consenso, ovvero, qualora si tratti di una persona che non è in grado di farlo, dal suo rappresentante legale o da un’autorità, persona o organismo nel rispetto delle disposizioni normative vigenti in materia.
Se il soggetto non è in grado di scrivere, può in via eccezionale fornire un consenso orale alla presenza di almeno un testimone, nel rispetto della normativa vigente”. Queste le definizioni, le cui analisi determinano innanzitutto l’insufficienza della prima e la parziale esaustività della seconda. Nel primo assunto normativo, infatti, il consenso informato è identificato in modo molto approssimativo come procedura consistente semplicemente in un’informazione genericamente definita come relativa a “tutti gli aspetti dello studio”, in un’accettazione volontaria cioè non forzata, e in una documentazione mediante un modulo scritto(ovviamente)sottoscritto e datato dal soggetto, il cui contenuto, prima di essere sottoposto all’attenzione degli individui interessati, è sottoposto alla preventiva approvazione scritta del Comitato etico. In questo caso, quindi, la procedura è esattamente definita come tale, in quanto viene a concludersi attraverso un documento(l’espresso richiamo ad un modulo è significativo, infatti)dove il solo soggetto coinvolto si assume la propria responsabilità per poter conferire una legittimazione.
Nel secondo assunto invece il consenso informato è più correttamente definito come una decisione non un’etichetta di procedura, alla quale sia dato un nome ormai convenzionale, volto ad evocare solo configurazioni formali di principi(cosa essenziale peraltro ad un’efficace e spedita comunicazione)e a darne, in tal modo, per scontati i contenuti, i quali devono essere esaustivamente precisati per poterne predisporre un’efficace applicazione. In questo modo si arriva così a dire che, in particolare, lo sperimentatore deve esporre con chiarezza quali chiari benefici il paziente può attendersi dal trattamento stesso, quali inconvenienti potrebbero verificarsi in caso di accettazione, a quali rischi per la salute si espone il paziente con un’eventuale rifiuto,quali trattamenti alternativi,se ve ne sono,sono quindi disponibili.
[1] Art. 30 del codice deontologico: “Il medico deve fornire al paziente la più idonea informazione sulla diagnosi, sulla prognosi, sulle prospettive e l’eventuali alternative diagnostico-terapeutiche e sulle prevedibili conseguenze delle scelte operate; il medico nell’informarlo dovrà tenere conto delle sue capacità di comprensione, al fine di promuovere la massima adesione alle proposte diagnostico-terapeutiche.
Ogni ulteriore richiesta di informazione da parte del paziente deve essere soddisfatta. Il medico deve, altresì, soddisfare le richieste d’informazione del cittadino in tema di prevenzione. Le informazioni riguardanti prognosi infauste o tali da poter procurare preoccupazione e sofferenza alla persona, devono essere fornite con prudenza, usando terminologie non traumatizzanti e senza escludere elementi di speranza.
La documentata volontà della persona assistita di non essere informata o di delegare ad un altro soggetto l’informazione deve essere rispettata”
[2] Art. 32 del codice deontologico: “Il medico non deve intraprendere attività diagnostica e/o terapeutica senza l’acquisizione del consenso informato del paziente.
Il consenso, espresso in forma scritta nei casi previsti dalla legge e nei casi in cui per la particolarità delle prestazioni diagnostiche e/o terapeutiche o per le possibili conseguenze delle stesse sull’integrità fisica si renda opportuna una manifestazione inequivoca della volontà della persona, è integrativo e non sostitutivo del processo informativo all’art. 30.
Il procedimento diagnostico e/o il trattamento terapeutico che possano comportare grave rischio per l’incolumità della persona, devono essere intrapresi solo in caso di estrema necessità e previa informazione sulle possibili conseguenze, cui deve far seguito un’opportuna documentazione del consenso. In ogni caso, in presenza di documentato rifiuto di persona capace di intendere e di volere, il medico deve desistere dai conseguenti atti diagnostici e/o curativi, non essendo consentito alcun trattamento medico contro la volontà della persona ove non ricorrono le condizioni di cui all’art. 78”.
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