Tutela del patrimonio aziendale: legittimi i controlli occulti?

Lo Statuto dei Lavoratori vieta al datore di lavoro l’installazione e l’uso di impianti audiovisivi e di altre apparecchiature per controllare a distanza l’attività dei propri dipendenti. Ad esempio, non possono essere effettuate riprese per tenere sotto controllo il rispetto dell’orario di lavoro o l’osservanza dei doveri di diligenza e correttezza nell’esecuzione della prestazione lavorativa. Soltanto per esigenze organizzative, produttive o di sicurezza – continua lo Statuto dei Lavoratori – il datore può installare e servirsi degli impianti e delle apparecchiature di controllo purché ci sia, in ogni caso, l’accordo con le rappresentanze sindacali o, in mancanza di accordo, l’autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro. Ad esempio, reali esigenze di sicurezza legittimano i controlli a distanza per la tutela del patrimonio aziendale (si parla, in questo caso, di controlli cosiddetti ‘difensivi’).

La violazione del divieto dei controlli a distanza è sanzionata penalmente e costituisce violazione della privacy.

I Giudici del Lavoro sono concordi nel ritenere che la prova acquisita in violazione delle disposizioni dello Statuto dei Lavoratori non può essere utilizzata in processo contro il lavoratore. Nel mondo informatizzato in cui tutti ormai viviamo sono sempre di più gli strumenti a disposizione del datore di lavoro potenzialmente idonei a controllare i dipendenti.

Si pensi, ad esempio, ai programmi spyware che consentono il controllo della navigazione internet (a tal proposito, di recente la Cassazione Civile ha dichiarato illegittimo il licenziamento di una dipendente colta, attraverso un programma informatico, a navigare su internet per scopi personali durante l’orario di lavoro).

Per evitare conseguenze che possono essere veramente pesanti, man mano che il mondo va sempre più informatizzandosi occorre porre sempre maggiore attenzione all’utilizzo di tali strumenti. A volte, infatti, è davvero sottile il confine tra ciò che è lecito e ciò che invece non lo è. Un esempio di quanto ho appena affermato è dato da una recente sentenza della Corte di Cassazione Penale (la n. 20722 del 1.06.2010), secondo la quale il divieto posto dallo Statuto dei Lavoratori è finalizzato alla tutela della riservatezza e della libertà dei lavoratori nello svolgimento e nell’adempimento della propria attività lavorativa, ma non implica il divieto di controlli ‘difensivi’ del patrimonio aziendale da azioni delittuose da chiunque provenienti, anche da lavoratori dipendenti, e nonostante i controlli vengano effettuati in violazione dello Statuto dei Lavoratori.

La sentenza citata tratta il caso di una cassiera di un bar ripresa a rubare soldi da una telecamera installata all’interno del bar senza accordo con le rappresentanze sindacali né autorizzazione della Direzione Provinciale del Lavoro e, quindi, in violazione dello Statuto dei Lavoratori. Ciononostante, la Corte di Cassazione Penale ha ritenuto assolutamente utilizzabili le prove di reato acquisite mediante dette riprese filmate.

Secondo la Corte Suprema Penale, infatti, la difesa del patrimonio aziendale non può essere sacrificata dalle norme dello Statuto dei Lavoratori.

A prima lettura, la citata sentenza sembra davvero rivoluzionaria e, per certi aspetti, allarmante. Ma non è così. Non è così se si dà la dovuta importanza al fatto che si tratta di una sentenza della Cassazione Penale (e non Civile) che ammette l’utilizzabilità della prova (la prova del reato) nel giudizio penale (e non nel giudizio Civile-giuslavoristico).

La conclusione cui è giunta la Cassazione Penale mi pare pacificamente condivisibile: del resto di fronte ad un illecito che costituisce reato sarebbe per lo meno bizzarro da parte del colpevole invocare il proprio diritto alla privacy! Diritto alla privacy che va invece difeso e tutelato in tutte quelle situazioni non penalmente rilevanti. A mio parere, quindi, la stessa prova (cassiera di un bar ripresa a rubare soldi da una telecamera installata all’interno del bar in violazione delle disposizioni dello Statuto dei Lavoratori) non potrebbe essere mai utilizzata in un giudizio civile davanti al Giudice del Lavoro a sostegno della legittimità del licenziamento della stessa lavoratrice imputata e condannata nel procedimento penale.

Ed ecco così evitato il rischio di complicare un quadro normativo e giurisprudenziale già di per sé complesso.

 

Maximilian Maria Russo

Russo Maximilian Maria

Scrivi un commento

Accedi per poter inserire un commento