L’orientamento della politica economica europea in materia di servizi pubblici e mercati “captive” lascia poco spazio ai raggiri, sempre più frequenti, degli enti pubblici.
Infatti l’articolo 82 del Trattato Ce stabilisce senza mezze misure che l’attribuzione di diritti speciali o esclusivi per le imprese di gestione di servizi idi interesse economico generale è consentita nei limiti della missione loro affidata e purchè ciò non costituisca violazione delle norme del Trattato. Tali violazioni rilevano particolarmente riguardo ai principi di libera prestazione dei servizi, libertà di stabilimento, libera circolazione dei capitali e divieto di abuso di posizione dominante. In sostanza, l’obiettivo perseguito è la parità di trattamento per ogni concorrente che vuole accedere ad un mercato imprenditoriale, con particolare attenzione alle possibili discriminazioni tra imprese. Il concetto di discriminazione è peraltro applicabile non solo rispetto alle restrizioni della concorrenza per imprese di altri Stati Membri ma anche rispetto a imprese nazionali, magari soggette a un regime giuridico diverso; in questo senso il diritto comunitario vieta anche le discriminazioni tra imprese a capitale pubblico e imprese a capitale privato. (S.Cassese in “le privatizzazioni arretramento o riorganizzazione dello Stato?”, in Riv. It. Dir. Pubbl. com., 1996, p.579)
Ulteriore limite è costituito dall’illegittimità di ogni misura che, restringendo l’accesso al mercato, non causi necessariamente una discriminazione tra soggetti giuridici ma che si ponga semplicemente in contrasto con le libertà economiche del Trattato (c.d. illegittimità delle misure “oltre il trattamento nazionale). (Causa C-55/94 pto.37 e conferma in Tesauro “Diritto Comunitario” II ed., Padova, 2001, p.458).
Per l’attuazione dei suddetti obiettivi si è proceduto mediante privatizzazioni. Il tipo di privatizzazione più controverso concerne le attività pubbliche di servizio pubblico o di pubblica utilità attuata mediante le leggi n.474/94 e 481/95. Il cammino da percorrere è costituito dalla trasformazione degli enti pubblici in società per azioni e dal successivo passaggio di proprietà delle azioni dallo Stato a privati; presupposti necessari sono dichiaratamente i seguenti: 1) la separazione tra attività in “monopolio naturale”(istituzionali) e attività di natura imprenditoriale; 2) la costituzione di autorità pubbliche chiamate a controllare sia la qualità dei prezzi dei servizi, oltre a proteggere gli utenti. ( Come affermato da S.Cassese in “le privatizzazioni arretramento o riorganizzazione dello Stato?”, in Riv. It. Dir. Pubbl. com., 1996, p.579)
Pertanto la separazione deve essere intesa sotto due punti di vista: a) separazione tra ente regolatore (Autorità garante della cocncorrenza e del mercato, Autorità delle Telecomunicazioni, Consob, le Autorità portuali,ecc…) e impresa esercente l’attività di pubblico interesse e b) separazione tra impresa che esercita l’attività pubblica, in un regime che prevede diritti speciali o esclusivi a fronte della non concorrenzialità del servizio, e imprese operanti in mercati contigui liberamente accessibili.
Molto netta deve caratterizzarsi la distinzione tra il regolatore e le imprese impegnate sul mercato e soggette alla disciplina in materia di concorrenza. . Questo è stato rigorosamente applicato, per esempio, nei settori delle telecomunicazioni e dell’energia e si sta affermando anche nel sistema portuale. La concentrazione in capo al medesimo soggetto di funzioni regolamentari e di funzioni imprenditoriali in senso proprio è stato costantemente ritenuto incompatibile con gli artt.81 ed 82 del Trattato dalla giurisprudenza della Corte di Giustizia. Le Autorità di regolazione, oltre a garantire un’applicazione decentrata, hanno il compito di regolare e controllare le dinamiche della concorrenza nel settore di competenza. La separazione necessaria sembra peraltro non essere soddisfatta se attuata da un punto di vista semplicemente contabile perché, come ha più volte segnalato l’Autorità Garante italiana, pare inadeguata a garantire la trasparenza ed a scongiurare fattispecie di “cross subsidiarization”. Infatti la stessa Autorità Garante ha spesso ribadito che è necessaria una separazione reale, soprattutto alla luce della nozione comunitaria di impresa, qualificata come “qualsiasi entità economicamente rilevante”: la separazione contabile non crea certo due entità separate ma semmai organizza razionalmente l’amministrazione di più attività facenti capo ad una stessa impresa.
Questo principio si rafforza ulteriormente quando si è in presenza di un ente regolatore che coincide con l’organo di gestione del servizio pubblico istituzionale (es. gestione infrastrutture). È necessario che gli enti siano ben distinti sia sul piano contabile che organico per evitare un conflitto con i principi del diritto comunitario.
Qualora la stessa impresa eserciti sia attività in regime di diritti speciali o esclusivi sia un’attività contigua in regime di libero mercato sarà necessaria la separazione delle due gestioni per tutelare la concorrenzialità dell’attività imprenditoriale.
Quando un ente regolatore, e gestore di pubblico servizio, sia anche presente su un mercato contiguo liberamente aperto alla concorrenza l’obbligo di separazione rileva dal punto di vista sotto di entrambi i profili esaminati: sarà necessaria pertanto una separazione dell’ente regolatore rispetto all’ente gestore del servizio pubblico e una separazione, almeno contabile, tra la gestione del servizio pubblico e la gestione dell’attività imprenditoriale.
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