Una decisione importante e significativa quella della Corte costituzionale: la dichiarazione dell’illegittimità dell’art. 1, comma 3, lett. d) della legge 1 agosto 2003, n. 207 (Sospensione condizionata dell’esecuzione della pena detentiva nel limite massimo di due anni), meglio conosciuta come “indultino”, secondo il quale le persone condannate ammesse alle misure alternative alla detenzione non avrebbero potuto beneficiare della sospensione condizionata della pena e del relativo trattamento.
Nel proporre la causa davanti alla Corte costituzionale il Tribunale di sorveglianza di Venezia individua due parametri costituzionali su cui fondare il giudizio: il principio di uguaglianza (art. 3 Cost.) e il principio per cui la pena deve tendere alla rieducazione del condannato (art. 27, comma 3, Cost.).
Sotto il primo profilo la Corte asserisce che la disposizione impugnata produce una disparità di trattamento irragionevole tra il condannato ammesso a misure alternative alla detenzione, perché ritenuto “meritevole”, e il condannato che non sia stato ammesso a tali misure o perché ritenuto “immeritevole” o per difetto dei requisiti oggettivi per avanzare la relativa richiesta: infatti, mentre il primo non potrà ottenere il cosiddetto indultino, il secondo potrà ottenere, solo perché ne ricorrono i presupposti oggettivi, prima la sospensione della pena e poi, decorsi cinque anni senza che egli abbia commesso delitti non colposi per i quali non riporti una condanna superiore a sei mesi di detenzione, l’estinzione della pena stessa.
La norma appare di per sé irragionevolmente discriminatoria; e la sua irragionevolezza risulta ancora più evidente se si pensa che sostanzialmente verrebbero a godere dell’indultino condannati ritenuti non meritevoli di misure alternative alla detenzione, mentre ne resterebbero esclusi quelli ritenuti meritevoli.
Da ultimo la Corte costituzionale dichiara che l’accoglimento della questione di costituzionalità sotto il profilo dell’art. 3 della Costituzione comporta l’assorbimento delle altre censure proposte, ma potrebbe essere interessante svolgere qualche considerazione in merito al secondo parametro.
Il Tribunale di sorveglianza di Venezia rileva la presunta violazione dell’art. 27, comma 3 della Costituzione in quanto il nuovo beneficio sarebbe denotato dalla tendenziale automaticità della concessione, purché, ovviamente, ne ricorrano i presupposti oggettivi. Questo in quanto al giudice di sorveglianza non è demandato alcun apprezzamento discrezionale sulla meritevolezza del beneficio, né sulla idoneità rieducativa e preventiva. Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall’Avvocatura generale dello Stato, osserva che lo scopo della norma non è la rieducazione del condannato, con la quale la sospensione della pena non ha nulla a che vedere, ma quello della mera riduzione della popolazione carceraria.
Certo è da condividere, a parere di chi scrive, un impegno del Governo attuale e di quelli che seguiranno nella lotta al sovraffollamento carcerario, che sta ormai arrivando a livelli assurdi, ma questo va fatto sempre avendo come riferimento il dettato della Carta fondamentale, e in questo caso il principio cardine in materia di pena detentiva, cioè il fine della rieducazione del condannato. E se una pena detentiva non può, ma deve tendere alla rieducazione del condannato, una misura ad essa alternativa, che quindi la sostituisce, non può discostarsi dal medesimo scopo. Questo avviene per tutte le misure alternative alla detenzione oggi previste nel nostro ordinamento, dall’affidamento in prova al servizio sociale alla detenzione domiciliare, dalla liberazione condizionale, alla libertà controllata e alla semidetenzione, pertanto non si può ragionevolmente pensare che debba essere riservato un diverso trattamento alla misura alternativa da ultimo introdotta con legge 1 agosto 2003, n. 207.
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