Memorandum:
ART. 76 (Condizioni per l’ammissione)
1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 9.296,22.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
ART. 79(Contenuto dell’istanza)1. L’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene:
a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;
b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;
c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76;
ART. 95 (Sanzioni) La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lett. b), c) e d) sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.
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La risoluzione della Agenzia delle Entrate e la sentenza della Corte Costituzionale richiamate nell’articolo si trovano sul sito www.anvag.it
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L’articolo sulla infedele attestazione della percezione dei redditi ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio dell’egregio Collega Avv Massimiliano Strampelli a commento della sentenza della Suprema Corte di Cassazione Sez V penale del 9 ottobre 2007, sollecita alcuni spunti di riflessione anche a seguito della risoluzione della Agenzia delle Entrate dello scorso gennaio.
L’Ufficio finanziario ha dato riscontro ad un interpello che chiede di conoscere i criteri di determinazione del reddito imponibile ai fini Irpef previsto per l’ammissione al beneficio del gratuito patrocinio.
La Suprema Corte già da tempo (cfr le precedenti pronunce indicate dall’Avv. Strampelli) afferma che il bene tutelato dall’odierno art. 95 del T.U. n.115/02 è rappresentato dalla pubblica fede che “viene lesa anche nella ipotesi in cui la dichiarazione dell’istante circa le sue fonti di reddito pur non decisiva, si appalesi tuttavia falsa”.
Ebbene, andando ad esaminare quale tipo di autocertificazione sul reddito debba essere presentata, ci si accorge che il dato cui si fa generalmente riferimento è il reddito imponibile della ultima dichiarazione e cioè quello risultante dopo aver detratto gli oneri deducibili e sul quale verrà applicata la aliquota fiscale.
Così è per esempio per l’Ordine forense romano che si limita a richiedere la dichiarazione del “reddito imponibile, ai fini dell’imposta personale sui redditi, risultante dall’ultima dichiarazione dei redditi riferita all’anno xy” per sé e per i familiari conviventi è pari ad x e, a seguire, la dichiarazione che la “somma del reddito imponibile più quello dei suoi familiari conviventi, è quindi inferiore all’importo previsto dall’art. 76 e 77 del T.U. n 115/02”.
Ma l’articolo 76 cit. stabilisce al comma terzo che nel reddito complessivo si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
Ed allora il terzo comma dell’art. 76 cit. sembrerebbe un comma inutile in quanto l’attenzione del richiedente non sembra neppure minimamente scomodata nel voler considerare redditi diversi da quello ordinariamente indicato né avrebbe lo spazio utile (ancorché ne avesse l’intenzione) per denunciarli.
Eppure nel formulario adottato per le controversie transfrontaliere in ambito europeo si trovano precise domande concernenti la situazione complessiva patrimoniale del soggetto richiedente.
E non si dimentichi che l’Europa ha avuto ed ha nei confronti dell’Italia una forte sollecitazione per la introduzione di normativa idonea ad una difesa effettiva specie dei non abbienti.
E’ vero che i lavori preparatori del T.U. sulle spese di giustizia si sono caratterizzati, tra l’altro, per la convinzione unanime che si sarebbe dovuto semplificare al massimo il momento dell’accesso al beneficio, pur tuttavia tale preoccupazione non deve provocare errori e vizi (di volontà) che si rivelano dannosi nel prosieguo degli atti e ciò anche per eccesso di superficialità.
Orbene, la risoluzione n. 15 emessa nel gennaio scorso dall’Agenzia delle Entrate fa propria la decisione della Corte Costituzionale n. 144 del 1992 la quale, investita della questione di costituzionalità dell’art 3 della legge n. 217 del 1990 corrispondente all’art. 95 del T.U. n. 115/02, ha statuito, seppur incidentalmente, che la dichiarazione ai fini del beneficio richiesto deve essere omnicomprensiva di tutto ciò che è “reddito in senso economico”.
La Corte premette che il presupposto generale della non abbienza ha la sua specificazione nel “reddito” dell’istante ed in ciò si evidenzia la scelta del legislatore di fissare – nell’esercizio della sua discrezionalità – una soglia di reddito che leghi ad un dato oggettivo lo stato di “non abbienza”.
La Corte chiarisce che per rispettare il canone della ragionevolezza, la scelta del legislatore deve essere coerente con il presupposto della non abbienza” e pertanto devonsi tenere in considerazione tutti i redditi percepiti da chi aspira al beneficio e, quindi, anche redditi che non sono assoggettati ad imposta sia perché non rientranti nella base imponibile, sia perché esenti, sia perché di fatto non subiscono alcuna imposizione.
Anche i redditi prodotti da attività illecite – che secondo alcune pronunce giurisprudenziali non sono tassabili – rilevano ai fini dell’ottenimento del beneficio e tali redditi sono accertabili con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall’art. 2739 c.c. (quali il tenore di vita ed altri fatti di emersione della percezione di redditi).
La Corte rammenta che la procedura per l’ammissione al beneficio non consente una verifica e un controllo preventivi da parte del giudice competente ad accordare il beneficio ed oggi aggiungiamo anche, nelle materie diverse da quella penale, dal competente Ordine forense.
Il soggetto interessato al beneficio deve sì autocertificare tutti i suoi redditi sia rientranti nell’imponibile IRPEF sia esenti o comunque non assoggettati ad IRPEF ma colui che riceve l’istanza non è tenuto, né può entrare nel merito dell’autocertificazione ma deve limitarsi a valutare che ricorrano o meno le condizioni per ottenere il patrocinio e, quindi, se l’ammontare dei redditi esposti sia o meno compreso nel limite di legge e, all’esito del controllo documentale (e quindi rapido) accordare, o negare, il beneficio richiesto.
Il controllo sulla veridicità viene espletato dalla Amministrazione finanziaria la quale potrà poi chiedere al magistrato il provvedimento di revoca (ex tunc) o modifica (ex nunc) del beneficio.
L’Agenzia delle Entrate conferma che il reddito cui fa riferimento l’articolo 76 del D.P.R. n 115 del 2002 sia il reddito imponibile ai fini IRPEF (comma 1) come definito dall’art. 3 del Tuir ed inoltre i redditi indicati dallo stesso art. 76 (comma 3).
L’Agenzia chiarisce che l’art 3 del Tuir prevede che “l’imposta si applica sul reddito complessivo del soggetto, formato per i residenti da tutti i redditi posseduti al netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 11”.
Le conseguenze di false dichiarazioni sono piuttosto gravi e possiamo portare alcuni esempi provenienti dal Tribunale di Enna.
Con provvedimento del mese di maggio 2006 il giudice monocratico Luisa Maria Bruno ha riconosciuto XY di Piazza Armerina colpevole del reato di falsità ideologica ascrittogli e lo ha condannato ad un anno ed un mese di reclusione e 400 euro di multa, oltre al pagamento delle spese processuali in quanto esso imputato nel maggio del 2000, nella qualità di indagato nel procedimento pendente presso la Procura della Repubblica, aveva attestato falsamente nella dichiarazione di possedere i requisiti per l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato con particolare riferimento all’ammontare dei redditi goduti dallo stesso e dai familiari conviventi, mentre gli uffici competenti avevano accertato che il reddito del padre ammontava a 32 milioni circa delle vecchie lire (pari a € 16.526,62), valore questo superiore ai limiti reddituali previsti dalla legge (€9.723,84).
Con altro provvedimento dell’aprile del 2006 il giudice monocratico, David Salvucci, ha riconosciuto XY responsabile di dichiarazione false e lo ha condannato alla pena di otto mesi di reclusione e 220 euro di multa oltre al pagamento delle spese processuali.
Infatti, lo stesso aveva presentato, tramite il suo avvocato difensore, un’istanza per chiedere l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato autocertificando che esistevano le condizioni per avere il gratuito patrocinio: a tale scopo aveva attestato falsamente di essere residente nel comune di Motta di Livenza, mentre, invece, lo stesso risulta risiedere a Villarosa ed alla data della domanda risultava far parte del nucleo familiare, facente capo al padre, XY, che nel 2001 aveva percepito un reddito di circa cinque mila e 500 euro. Nel corso della sua requisitoria il Pm aveva chiesto la condanna dell’imputato a due anni di reclusione e a 600 euro di multa, mentre l’avvocato difensore nella sua arringa aveva chiesto l’assoluzione.
La condanna più consistente, otto mesi di reclusione, è stata sentenziata nei confronti di XY di 33 anni, che era stato rinviato a giudizio perché in concorso con la moglie aveva dichiarato di non essere titolare di redditi di lavoro e di non avere presentato alcuna dichiarazione dei redditi ai fini Irpef, ottenendo per la moglie l’ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato, provvedimento poi revocato dal Gip presso il tribunale di Enna, dopo che erano stati effettuati gli accertamenti patrimoniali. Il Pm nella sua requisitoria aveva chiesto la condanna dell’imputato ad un anno di reclusione. Il giudice monocratico Maria Luisa Bruno lo ha riconosciuto colpevole condannandolo ad otto mesi di reclusione, 400 euro di multa, pagamento delle spese processuali con pena sospesa. L’imputato dovrà restituire all’Erario le somme che erano state percepite a seguito dell’ammissione al patrocinio gratuito.
Quattro mesi di reclusione e 40 uro di multa con pena sospesa per XYdi 53 anni, nata a Catenanuova perché riconosciuta colpevole di falso e truffa. La stessa aveva dichiarato di avere i requisiti per essere inserita tra coloro i quali potevano percepire dal comune il reddito minimo di inserimento, mentre gli accertamenti della Guardia di Finanza avevano evidenziato il possesso di libretto a risparmio con circa 13 milioni delle vecchie lire. Il Pm aveva chiesto la condanna della imputata a nove mesi di reclusione e multa. Il giudice monocratico Maria Luisa Bruno ha condannato l’imputata a quattro mesi di reclusione, 40 euro di multa, pagamento delle spese processuali, pena sospesa non menzione.
Dalle considerazioni svolte è agevole immaginare il danno in termini di tempo, risorse umane ed economiche provocato da una autocertificazione che si riveli in seguito falsa.
Non sembra fantasioso ritenere che una delle cause di commissione del grave reato di falso ideologico nella materia che interessa possa ricercarsi anche nella eccessiva superficialità dell’atto di introduzione della richiesta che sembra addirittura carente di elementari domande, come quelle contenute nel questionario europeo, che possano almeno avere la funzione di fissare l’attenzione su alcuni dati che il richiedente potrebbe ritenere esclusi o superflui.
In occasione del 28° Congresso Nazionale Forense di Roma chi scrive ebbe a raccomandare tra l’altro di esercitare un maggior rigore nell’esame delle domande per il patrocinio a spese dello Stato con il conforto di un impegno più incisivo da parte della Amministrazione finanziaria.
Il beneficio del gratuito patrocinio accordato illegittimamente a chi non ne ha diritto danneggia non solo le casse dello Stato ma anche chi chiede di usufruirne ma non viene ammesso per pochi spiccioli incassati in più nell’anno.
E’ ora anche di riflettere se il limite di euro 9723,84 annuo non sia a dir poco ridicolo!
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Avv.Nicola Ianniello
presidente dell’A.N.V.A.G. Associazione Nazionale Volontari Avvocati per il Gratuito patrocinio e la difesa dei non abbienti – 03/2008
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