Il fatto
Con ordinanza il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Trapani applicava a carico di un indagato la misura cautelare della custodia cautelare in carcere, ritenendo sussistenti a suo carico gravi indizi di colpevolezza in ordine al delitto di corruzione propria nonchè le esigenze cautelari di cui alle lett. a) e c) dell’art. 274 cod. proc. pen..
Sebbene il provvedimento genetico avesse in realtà contenuto assai più articolato, riguardando la posizione anche di altri soggetti in riferimento ad ulteriori reati, avendo constatato l’eterogeneità del luogo di consumazione dei diversi illeciti oggetto della richiesta cautelare, il G.i.p. riteneva in ogni caso idoneo a radicare la propria competenza esclusiva il rilevato rapporto di connessione ai sensi dell’art. 12 lett. b) e c) cod. proc. pen. intercorrente tra gli stessi ed il fatto che più gravi, ai sensi del successivo art. 16, dovevano essere considerati alcuni degli episodi corruttivi, certamente consumati in Trapani, oggetto di contestazione, ancorchè non nei riguardi del G..
Avverso tale provvedimento l‘indagato avanzava richiesta di riesame al Tribunale di Palermo deducendo: a) l’incompetenza territoriale del giudice emittente e della Procura della Repubblica presso il Tribunale di Trapani in favore del giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo; b) l’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, stante l’assenza di riscontri in ordine all’individuazione quale autore della rivelazione del segreto d’ufficio, oggetto dell’ipotizzato patto corruttivo; c) l’insussistenza delle esigenze cautelari stante l’immodificabilità del materiale probatorio (costituito essenzialmente da intercettazioni telefoniche) e l’avvenuta sospensione dal servizio; d) la violazione dei principi di proporzionalità e adeguatezza.
Il Tribunale del riesame di Palermo, dal canto suo, con l’ordinanza impugnata, accogliendo il gravame proposto dall’indagato, aveva riconosciuto l’incompetenza per territorio del giudice che aveva adottato la misura ritenendo invece competente il giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Palermo.
In particolare, pur condividendo quanto osservato dal primo giudice in ordine alla sussistenza di un rapporto di connessione tra tutti i reati oggetto dell’intervento cautelare, il Tribunale aveva in proposito ritenuto erronea l’identificazione operata nel provvedimento genetico del reato più grave individuandolo invece in quello di peculato contestato a carico di altro indagato dell’incolpazione provvisoria e rilevando che lo stesso debba ritenersi commesso in Palermo.
Ciò posto, i giudici del riesame, richiamandosi ad un conforme indirizzo della giurisprudenza di legittimità, avevano quindi proceduto a vagliare la sussistenza dei presupposti di urgenza per l’adozione della misura cautelare adottata dal giudice considerato incompetente e, in tal senso, avevano riconosciuto sussistere i gravi indizi del fatto che l’istante avesse tenuto una condotta contraria ai propri doveri d’ufficio ma non già della conclusione dell’accordo corruttivo ipotizzato, provvedendo a ricondurre alternativamente il fatto contestato all’indagato a quelli previsti dall’art. 326 ovvero dall’art. 378 cod. pen..
Orbene, pur così riqualificato il fatto, il Tribunale aveva ritenuto insussistenti i pericoli di inquinamento probatorio e di recidivanza originariamente prospettati e dunque l’urgenza dell’intervento cautelare provvedendo conseguentemente all’annullamento dell’ordinanza genetica ed alla liberazione dell’indagato nonché alla trasmissione degli atti al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani.
I motivi addotti nel ricorso per Cassazione
Avverso la decisione del Tribunale proponeva ricorso il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Trapani articolando quattro motivi così strutturati: 1) violazione di legge in relazione agli artt. 27 e 291, comma 2, cod. proc. pen. nonché vizi di motivazione in merito alla declaratoria di incompetenza territoriale del G.i.p. del Tribunale di Trapani; nel dettaglio, una volta premesso l’interesse a conseguire l’annullamento del provvedimento impugnato al fine di ottenere in sede di rinvio l’applicazione dell’art. 27 cod. proc. pen., il pubblico ministero lamentava che il Tribunale avrebbe erroneamente identificato in Palermo il luogo di consumazione del reato ritenuto più grave posto che il peculato si sarebbe realizzato nel momento della devoluzione (avvenuta in luogo imprecisato) da parte del coindagato alla fittizia collaboratrice delle somme a lui erogate dall’ente pubblico e non già all’atto di tale erogazione (come invece sostenuto dai giudici del riesame); 2) violazione di legge in riferimento agli artt. 12, lett. b) e c), e 16 cod. proc. pen. essendo stato sostenuto che il giudice del riesame avrebbe comunque erroneamente individuato, ai fini dell’attrazione della competenza, nel reato di peculato quello più grave escludendo la connessione tra quello (più grave ancora) di tentata estorsione aggravata – pure oggetto di indagine a carico del coindagato e indicato come commesso in Trapani – e gli altri delitti contestati ai fini cautelari; 3) vizi di motivazione in merito alla sussistenza dei gravi indizi del reato di corruzione osservandosi in tal senso che, contrariamente a quanto apoditticamente ed illogicamente sostenuto dal Tribunale, gli elementi acquisiti avrebbero provato l’esistenza di un collegamento tra l’iniziativa assunta, in violazione di legge, dal ricorrente a beneficio della cooperativa partecipata dai familiari di altro indagato e l’utilità conseguita dal primo, consistita nell’acquisizione di notizie coperte da segreto d’ufficio, rivelategli dal secondo; 4) violazione di legge in relazione agli artt. 27 e 291 cod. proc. pen. nonché vizi di motivazione in merito alla ritenuta insussistenza dei presupposti per la conferma dell’intervento cautelare disposto dal giudice ritenuto incompetente stante l’urgenza connessa al pericolo che l’indagato potesse concordare con terzi versioni di comodo o commettere reati della stessa indole di quello in contestazione.
Altri scritti prodotti dalla difesa
Con memoria, il difensore dell’indagato aveva sostenuto la legittimità della decisione assunta dal Tribunale del riesame evidenziando come correttamente fosse stata dichiarata l’incompetenza per territorio del giudice che aveva adottato la misura cautelare e che, in maniera altrettanto ineccepibile, in aderenza al più recente orientamento della giurisprudenza di legittimità, ne fosse stato altresì disposto l’annullamento per la ritenuta insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e di esigenze cautelari caratterizzate dall’urgenza dei pericoli addotti.
La questione prospettata nell’ordinanza di rimessione
Il ricorso veniva stato assegnato alla Sesta sezione, che, con ordinanza, lo rimetteva alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618 cod. proc. pen..
I giudici remittenti avevano rilevato, infatti, l’esistenza di un contrasto, interno alla giurisprudenza di legittimità, sul tema della ricorribilità per cassazione, da parte del pubblico ministero, dell’ordinanza con cui il tribunale del riesame abbia dichiarato l’incompetenza territoriale del giudice per le indagini preliminari che ha emesso la misura cautelare impugnata e, dopo aver escluso la ricorrenza del presupposto dell’urgenza per il mantenimento temporaneo della sua efficacia, abbia altresì annullato l’ordinanza genetica.
Ebbene, a fronte di ciò, il provvedimento di remissione aveva quindi individuato un primo orientamento secondo cui sarebbe inammissibile il ricorso per cassazione avverso l’ordinanza con cui il giudice del riesame dichiari l’incompetenza del giudice, che ha adottato la misura cautelare, disponendo la trasmissione degli atti all’autorità giudiziaria ritenuta competente in quanto, all’esito della declaratoria d’incompetenza, lo stesso non potrebbe riformare o annullare il provvedimento impugnato salva una valutazione, nei limiti del fumus, sulla legalità dell’ordinanza che va ad adottare e sulla sussistenza delle ragioni d’urgenza né, d’altro canto, può avere cognizione alcuna su un’eventuale ripristino della misura, laddove l’ordinanza gravata venisse poi annullata sul punto in sede di legittimità (così Sez. 6, n. 32337 del 18/06/2010 nonché Sez. 5, n. 21953 del 13/05/2010).
Veniva evidenziato al riguardo che, secondo l’impostazione recepita in tali pronunzie, la valutazione del tribunale del riesame, in ordine all’esistenza dei gravi indizi e delle esigenze cautelari, non può mai essere diretta, sì da tradursi in una declaratoria di annullamento del provvedimento gravato, ma dev’essere effettuata incidenter tantu, in maniera strumentale rispetto alla decisione da adottare eventualmente ai sensi dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., aggiungendo che l’indirizzo in oggetto risulta all’evidenza collegato a quanto anticipato da Sez. U, n. 14 del 20/07/1994 per cui il tribunale del riesame, qualora rilevi l’incompetenza del giudice a quo, è chiamato comunque a verificare l’esistenza dei presupposti per l’adozione in via d’urgenza della misura cautelare negli stretti limiti in cui sia necessario ai fini della decisione sul temporaneo mantenimento della misura.
Oltre a ciò, l’ordinanza di remissione poneva altresì in rilievo che, per l’indirizzo in oggetto, il pubblico ministero, a seguito della pronunzia d’incompetenza, non è più legittimato ed è comunque carente d’interesse a far valere il diritto all’azione in quanto la domanda cautelare sulla specifica imputazione provvisoria spetta all’ufficio requirente presso il giudice dichiarato competente (così Sez. 6, n. 32337 del 18/06/2010) dal che si addiveniva alla conclusione secondo la quale la parte pubblica non conserva l’interesse a impugnare l’anzidetta decisione essendo essa insuscettibile di acquistare autorità di cosa giudicata perché relativa alla decisione di un giudice incompetente, in alcun modo incidente sullo status libertatis del destinatario che trova regolamentazione nell’eventuale provvedimento successivamente pronunziato dal giudice dichiarato competente (così Sez. 2, n. 1379 del 11/03/1994; Sez. 4, n. 45819 del 30/03/2004 e Sez. 2, n. 48734 del 29/12/2012).
Infine, si riconduceva a tale indirizzo interpretativo anche la decisione che aveva ritenuto inammissibile il ricorso del pubblico ministero avverso l’ordinanza del tribunale del riesame dichiarativa dell’incompetenza per territorio e dell’insussistenza dei gravi indizi di colpevolezza in quanto pronunzia, che non determina alcuna ulteriore conseguenza, diversa da quella di aver disposto la perdita di efficacia dell’ordinanza genetica prima del decorso dei venti giorni, senza dar luogo ad alcun giudicato cautelare (così Sez. 5, n. 47646 del 17/07/2014).
Nello stesso senso, ad avviso del giudice remittente, sarebbe anche la pronunzia che, in un caso in cui l’ordinanza del tribunale del riesame presentava analogo contenuto, aveva ritenuto come il pubblico ministero non avesse interesse a censurare le ragioni che avevano indotto il collegio a escludere la gravità indiziaria posto che un annullamento sul punto non avrebbe avuto alcun effetto concreto essendo perenta la misura e non potendo essere riemessa che su iniziativa del pubblico ministero presso il giudice competente (così Sez. 1, n. 18477 del 03/02/2006).
Da ultimo, sempre al medesimo indirizzo, l’ordinanza di remissione riconduceva le sentenze che avevano ritenuto i provvedimenti adottati dal giudice dichiaratosi incompetente inidonee a dar luogo ad un giudicato cautelare vincolante per il giudice competente (così Sez. 6, n. 24639 del 28/04/2006 e Sez. 6, n. 21328 del 16/04/2015).
I giudici remittenti avevano quindi individuato un secondo orientamento nella giurisprudenza di legittimità di segno sostanzialmente opposto.
Veniva a tal riguardo osservato che, secondo tale filone interpretativo, all’esito della declaratoria di incompetenza, il giudice del riesame non avrebbe la facoltà di annullare il provvedimento genetico perché ciò renderebbe inapplicabile l’art. 27 cod. proc. pen. e finirebbe con l’espropriare di un proprio specifico potere il diverso giudice individuato come competente aggiungendosi che laddove, tuttavia, fosse emessa una pronunzia caducatoria, sussisterebbe l’interesse del pubblico ministero a impugnare detta decisione, sia perché idonea a pregiudicare quella del giudice indicato come competente, sia per impedire la formazione del giudicato cautelare interno (così Sez. 6, n. 8971 del 17/01/2007; Sez. 6, n. 12230 del 24.01.2007).
Ebbene, secondo la sezione remittente, erano di fatto riconducibili al medesimo orientamento anche quelle pronunzie con le quali si era affermata l’abnormità delle ordinanze con cui il giudice del riesame, rilevata l’incompetenza territoriale di quello che aveva adottato il provvedimento restrittivo ed esclusa la sussistenza del presupposto dell’urgenza, non si fosse limitato a trasmettere gli atti all’autorità territorialmente competente ma avesse altresì annullato la misura aggiungendosi che, con riguardo alle stesse, sussiste l’interesse del pubblico ministero all’impugnativa per evitare la formazione del giudicato cautelare in ordine all’annullamento del titolo (così Sez. 6, n. 22480 del 16/05/2005; Sez. 6, n. 41006 del 05/12/2006; Sez. 6, n. 4618 del 15/01/2007; Sez. 6, n. 14649 del 19/03/2007 e Sez. 6, n. 6240 del 17/01/2012).
Veniva da ultimo rilevato che a tale filone interpretativo si fosse iscritto da ultima una recente pronunzia in cui la Corte, recependo l’insegnamento delle S.U., n. 42030 del 17/07/2014, aveva distinto, in primis, tra ordinanze che si esauriscono in una mera declaratoria di incompetenza territoriale, da ritenersi non impugnabili e ordinanze che avevano ad oggetto il diverso e preliminare tema dei requisiti del provvedimento cautelare genetico da ritenersi, viceversa, suscettibili di impugnazione, venendo in rilievo la possibilità di attribuire alla misura, in ragione dell’urgenza, un’efficacia limitata nel tempo ex art. 27 cod. proc. pen..
Orbene, tale pronunzia aveva rimarcato, poi, la tipicità dei provvedimenti del tribunale del riesame che possono essere esclusivamente di conferma, di riforma o di annullamento traendo la conclusione che lo stesso non potrebbe limitarsi a dichiarare l’incompetenza ma dovrebbe necessariamente valutare in ogni caso i presupposti legittimanti la misura ed emettere un provvedimento di merito per confermarla, riformarla o annullarla, inferendo da tale assunto che l’interesse a ricorrere del pubblico ministero deve essere verificato in relazione al tipo di provvedimento adottato dal giudice del riesame.
In tal senso l’interesse sussisterebbe laddove il tribunale non si limiti a rilevare l’incompetenza ma annulli il provvedimento genetico in ragione della ritenuta insussistenza dei presupposti legittimanti, precludendo, in tal modo, l’operatività dell’art. 27 cod. proc. pen. (così Sez. 6, n. 46404 del 29/10/2019).
Nel provvedimento di remissione si evidenziava infine la sussistenza di un ulteriore filone interpretativo secondo cui il tribunale del riesame, quand’anche chiamato a decidere sull’incompetenza territoriale del primo giudice, deve sempre spingersi a verificare direttamente l’esistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, provvedendo al suo annullamento laddove ne ravvisi l’assenza (così Sez. 4, n. 30328 del 21/06/2005¸Sez. 5, n. 2242 del 12/12/2005, dep. 2006 e Sez. 2, n. 26286 del 27/06/2007).
Per dirimere l’evidenziato contrasto la Sesta Sezione aveva, dunque, rimesso la questione alle Sezioni unite ed il Presidente Aggiunto, con decreto del 20 novembre 2019, aveva fissato la trattazione del ricorso all’odierna udienza.
Le valutazioni giuridiche formulate dalle Sezioni Unite
Prima di entrare nel merito della questione, le Sezioni Unite procedevano ad una delimitazione della tematica giuridica sottoposta al loro vaglio giudiziale nei seguenti termini: “Se, e a quali condizioni, sia impugnabile, da parte del pubblico ministero, l’ordinanza con la quale il tribunale del riesame abbia dichiarato l’incompetenza per territorio del giudice per le indagini preliminari che ha disposto la misura cautelare impugnata e, esclusa la ricorrenza dei presupposti per il mantenimento temporaneo dell’efficacia della stessa per ragioni di urgenza, abbia altresì annullato la relativa ordinanza applicativa”.
Precisato ciò, gli Ermellini rilevavano che, come posto in rilievo dall’ordinanza di rimessione, sulla quaestio iuris demandata alle Sezioni Unite si erano formati nella giurisprudenza di legittimità indirizzi configgenti dal momento che indubbiamente sussiste un contrasto in ordine all’interesse del pubblico ministero a proporre ricorso per cassazione avverso il provvedimento del tribunale del riesame che, dopo aver rilevato l’incompetenza del giudice che ha disposto la misura cautelare nella fase delle indagini preliminari, abbia annullato l’ordinanza genetica, ritenendo insussistenti i presupposti per attribuire alla medesima l’efficacia interinale prevista dall’art. 27 cod. proc. pen..
Difatti, tale contrapposizione, osservavano i giudici di piazza Cavour, costituisce il precipitato di una ben più ampia frattura, da tempo apertasi nella giurisprudenza di legittimità, in merito all’effettivo orizzonte del sindacato sul provvedimento applicativo di una misura cautelare attribuito al giudice dell’impugnazione che rilevi l’incompetenza di quello che l’ha adottato fermo restando che siffatta frattura si manifesta anche all’interno degli stessi orientamenti in conflitto sulla questione proposta dall’ordinanza di rimessione e la cui ricomposizione, come verrà meglio chiarito da qui a poco, risultava essere dunque pregiudiziale.
Ciò premesso, i giudici di legittimità ordinaria facevano presente come fosse anzitutto opportuno chiarire l’effettivo contenuto delle posizioni assunte dalla giurisprudenza di legittimità in merito al quesito proposto alle Sezioni Unite.
Ebbene, secondo un primo orientamento, a lungo maggioritario nella produzione della Corte, il giudice del riesame, una volta rilevata l’incompetenza di quello che ha emesso la misura, non avrebbe il potere di annullare il titolo cautelare per la carenza dei presupposti che ne legittimano l’adozione posto che in tal modo esproprierebbe il giudice ritenuto competente del suo potere mentre l’obbligo di verificare le condizioni per l’emissione della misura sarebbe attribuito dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. esclusivamente al giudice che disponga la misura dichiarandosi contestualmente incompetente.
Conseguentemente il pubblico ministero sarebbe legittimato a ricorrere avverso il provvedimento di annullamento, al fine di evitare la formazione di un giudicato cautelare in grado di condizionare, per l’appunto, il potere decisorio del giudice indicato come competente e si notava come in tal senso si fossero pronunziate: Sez. 6, n. 6858 del 17/01/2007; Sez. 6, n. 8971 del 17/01/2007; Sez. 6, n. 12330 del 24/01/2007; Sez. 6, n. 14649 del 19/03/2007; Sez. 2, n. 49427 del 17/11/2009; Sez. 2, n. 48734 del 29/11/2012 che non si era però espressa sulla legittimazione della parte pubblica posto che nel caso di specie a ricorrere era stato l’imputato.
Inoltre, nello stesso senso, tra le sentenze non massimate, vi era quella pronunciata dalla Sez. 6 n. 4618 del 15/01/2007, la quale invero opera un più generico riferimento all’esigenza di evitare la formazione del “giudicato cautelare interno” sulla sussistenza dei presupposti per l’adozione della misura cautelare.
Più di recente veniva escluso che al giudice del riesame fosse attribuito il potere di riformare o annullare il provvedimento genetico come emergeva dalla Sez. 6, nella decisione n. 50078 del 28/11/2014 la quale non si era invece espressa sull’interesse del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento del tribunale poiché nella fattispecie a ricorrere era stato l’imputato lamentando per l’appunto l’omessa valutazione della sussistenza dei presupposti per l’originaria adozione della misura cautelare.
In una sua variante, l’orientamento in esame spingeva alle sue estreme conseguenze l’assunto secondo cui il giudice del riesame, che rilevi l’incompetenza, non sarebbe titolare di alcun potere di valutazione dei presupposti dell’intervento cautelare dovendosi limitare ad attivare la procedura che porta all’applicazione dell’art. 27 cod. proc. pen. posto che alcune pronunzie avevano affermato in tal senso l’abnormità del provvedimento con cui il giudice dell’impugnazione cautelare abbia invece riformato o annullato l’ordinanza genetica riconoscendo – a volte esplicitamente, altre solo implicitamente – l’interesse del pubblico ministero ad eccepire il vizio in sede di legittimità (Sez. 6, n. 22480 del 16/05/2005; Sez. 6, n. 6240 del 17/01/2012).
In particolare, era stato osservato che, ferma l’impossibilità di estendere al giudice dell’impugnazione cautelare la disciplina derogatoria dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. in quanto di natura eccezionale, questi, una volta riconosciutosi incompetente (per effetto di incompetenza derivata dell’organo che ha emesso il provvedimento impugnato), non può poi assumere provvedimenti nel merito in relazione ai quali esso stesso ha riconosciuto la sua incompetenza (sia pure, per l’appunto, per effetto della incompetenza del primo giudice) pena la violazione del principio di rango costituzionale del giudice naturale.
In egual misura, non potrebbe invocarsi il principio secondo cui il giudice del riesame giudica con gli stessi poteri di quello che ha emesso la misura cautelare dato che tale principio dovrebbe essere logicamente contemperato escludendo la sua operatività quando venga a trovarsi in conflitto con altri principi posti a tutela di esigenze di ordine superiore quale quello, di rango costituzionale per l’appunto, secondo il quale un giudice (nel caso di impugnazione, sia pure atipica, quale il riesame) che è incompetente, non può emettere alcun provvedimento nel merito della vicenda che gli è sottoposta (così Sez. 6, n. 41006 del 05/12/2006).
Ebbene, rilevavano le Sezioni Unite, come accennato nella premessa, all’interno di questo orientamento si riconosce anche un secondo gruppo di pronunzie che, pur concordando, implicitamente o esplicitamente, sull’interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso il provvedimento di riforma o annullamento dell’ordinanza genetica, confligge con quello esaminato in precedenza in merito alla delimitazione del potere del giudice dell’impugnazione di caducare la misura quando riconosca contestualmente l’incompetenza di quello che l’ha adottata dal momento che, secondo questo diverso approdo ermeneutico, viene riconosciuto al giudice del riesame ed a quello di legittimità il potere-dovere di verificare la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari, nonché l’urgenza di queste ultime e, dunque, e per l’appunto, quello di annullare il titolo cautelare nel caso in cui tale verifica abbia esito negativo (Sez. 6, n. 4370 del 20/12/1999, dep. 2000; Sez. 4, n. 30027 del 13/07/200; Sez. 1, n. 16475 del 23/02/2006; Sez. 2, n. 2076 del 18/12/2009, dep. 2010).
A fronte di ciò, veniva ritenuto all’uopo opportuno precisare come, nella giurisprudenza di legittimità, fosse certamente maggioritaria l’opinione favorevole ad attribuire al giudice dell’impugnazione cautelare il compito di verificare la sussistenza delle condizioni applicative della misura anche quando dichiari l’incompetenza e debba rendere operativo il disposto dell’art. 27 cod. proc. pen. trattandosi di un orientamento che si era consolidato nel tempo soprattutto con riferimento all’ipotesi in cui l’incompetenza venga rilevata – su eccezione o anche d’ufficio – in sede di legittimità, senza dunque che si ponga la specifica questione portata all’attenzione delle Sezioni Unite con l’ordinanza di rimessione.
In tal senso si era osservato come, per il principio della continuità del controllo di legalità sulle misure coercitive, il giudice della impugnazione non possa prescindere da una verifica delle esigenze cautelari e dal controllo sulla consistenza del quadro indiziario in coerenza con il dettato costituzionale dell’art. 111 Cost. ed alla stregua della soluzione implicitamente imposta da una lettura sistematica dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 2, n. 35630 del 14/06/2017; Sez. 2, n. 26286 del 27/06/2007) nonché come la prosecuzione pur “provvisoria” del trattamento restrittivo trovi legittimazione in tutte le condizioni che autorizzano il giudice incompetente alla relativa instaurazione muovendo dai gravi indizi per approdare alle esigenze di cautela qualificate da una particolare urgenza (Sez. 6, n. 23365 del 06/05/2014).
Questi principi, tra l’altro, erano stati declinati in maniera non sempre nitida posto che alcune pronunzie si limitano ad esplicitarli – eventualmente in ragione dello specifico oggetto dei motivi di ricorso – con riguardo alla sola verifica del requisito dell’urgenza delle esigenze cautelari senza precisare se implicitamente si intenda effettivamente rimessa o meno al giudice dell’impugnazione anche quella sulla sussistenza ab origine delle condizioni per l’applicazione della misura cautelare (si v. ad esempio Sez. 5, n. 2242 del 12/12/2005, dep. 2006; Sez. 4, n. 5312 del 09/11/2016, dep. 2017).
Altre, invece, in maniera inequivocabile, attribuivano al giudice dell’impugnazione cautelare gli stessi poteri – da esercitare nei limiti delle rispettive attribuzioni a seconda che si fosse trattato di impugnazione di merito o di legittimità – di quello che ha emesso l’ordinanza genetica di cui rileva l’incompetenza riconoscendogli dunque la facoltà di annullare quest’ultima nel caso riscontri il difetto delle condizioni ex artt. 273 e 274 cod. proc. pen. per l’adozione della misura (in questo senso, oltre a quelle citate in precedenza, Sez. 6, n. 29315 del 19/05/2015; Sez. 1, n. 974 del 16/12/2014, dep. 2015; Sez. 5, n. 10208 del 31/01/2013; Sez. 6, n. 25418 del 20/06/2007; Sez. 4, n. 30328 del 21/06/2005; Sez. 6, n. 2467 del 07/07/1998).
Ed allora, in linea con tale impostazione, rilevavano i giudici di piazza Cavour nella decisione qui in commento, si poneva una recente pronunzia della Sesta sezione la quale, dopo aver dato conto del contrasto esistente nella giurisprudenza della Corte in merito alla delimitazione dei poteri del giudice del riesame che rilevi l’incompetenza di quello che ha emesso la misura, aveva affermato come debba ritenersi sussistente l’interesse del pubblico ministero all’impugnazione nei casi in cui il giudice distrettuale, all’esito della declaratoria di incompetenza del primo giudice, abbia altresì annullato il titolo dallo stesso emesso non ravvisando la sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, delle esigenze cautelari o dell’urgenza di cui all’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. (Sez. 6, n. 46404 del 29.10.2019).
In tal senso la sentenza n. 46404 del 2019 – in sintonia con quanto sostenuto dalle sentenze n. 35630 del 2017 e n. 23365 del 2014 – ribadisce la necessità di riconoscere al giudice del riesame che si dichiara incompetente il potere di sindacare la sussistenza dei presupposti dell’intervento cautelare dato che se questi dovesse limitarsi a trasmettere gli atti al giudice competente, per la Corte, verrebbe ingiustificatamente e paradossalmente differito nel tempo il controllo collegiale pur ritualmente attivato ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen. su una misura che riveli eventualmente concreti sintomi di illegittimità.
Conseguentemente, osservavano i giudici della Sesta sezione, parrebbe difficile negare l’interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso la decisione del giudice dell’impugnazione cautelare magari rilevando come egli potrebbe sempre richiedere un nuovo titolo cautelare dato che il pregiudizio che la parte pubblica intende far valere consiste proprio nell’avere il giudice annullato un titolo già esistente ed impedito l’applicabilità dell’art. 27 cod. proc. pen. e, dunque, disconosciuto i presupposti legittimanti e l’urgenza di provvedere.
Invero, come evidenziato nell’ordinanza di rimessione, si era sviluppato nel tempo anche un orientamento teso invece a negare la sussistenza dell’interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso il provvedimento con il quale il giudice del riesame, dopo aver rilevato l’incompetenza di quello che ha applicato la misura, annulli l’ordinanza genetica per carenza dei presupposti in grado di giustificare l’intervento cautelare.
In realtà a tale conclusione, per le Sezioni Unite, erano giunte effettivamente solo alcune delle pronunzie evocate dai giudici rimettenti o nelle pronunzie che si iscrivevano all’orientamento di segno contrari, per di più sviluppando percorsi argomentativi eterogenei e fondati su presupposti di segno opposto.
Così, ad esempio, Sez. 6, n. 32337 del 18/06/2010, aveva ritenuto inammissibile il ricorso del pubblico ministero escludendo che il giudice del riesame, dichiaratosi incompetente, possa avere cognizione su un eventuale ripristino della misura a seguito dell’annullamento della sua ordinanza in sede di legittimità con riguardo alla contestuale caducazione della misura per la asserita carenza delle condizioni per la sua adozione.
Non di meno, secondo i giudici della Sesta sezione, il pubblico ministero, una volta pronunciata dal giudice la declaratoria di incompetenza, non sarebbe più legittimato e comunque privo di interesse a far valere il diritto all’azione spettando oramai l’iniziativa cautelare all’ufficio del pubblico ministero presso il giudice competente mentre la decisione impugnata comunque non determinerebbe alcuna preclusione o giudicato cautelare in grado di vincolare il giudice competente per territorio.
Nell’affermare la carenza di interesse del pubblico ministero, la sentenza n. 32337 del 2010 aveva voluto anche precisare che il giudice del riesame, una volta dichiarata la propria incompetenza, non può riformare o annullare il provvedimento impugnato, salva una valutazione nei limiti del fumus sulla legalità del provvedimento adottato e sulla sussistenza delle ragioni d’urgenza, unico presupposto cui è condizionato l’adozione del provvedimento cautelare e la temporanea efficacia della durata di venti giorni per assicurare l’intervento del giudice competente.
Gli illustrati principi, sempre secondo il Supremo Consesso, dovevano essere letti alla luce della concreta fattispecie oggetto della decisione atteso che, nella specie, il Tribunale del riesame aveva annullato solo parzialmente, per difetto dei gravi indizi, l’ordinanza genetica, provvedendo invece ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. in riferimento ai reati per i quali aveva ritenuto giustificato l’intervento cautelare ma successivamente la misura aveva comunque perduto efficacia essendo inutilmente trascorso il termine di venti giorni previsto dalla disposizione da ultima citata.
Nel medesimo senso si era pronunziata anche la Sez. 5, nella decisione n. 47646 del 17/07/2014, la quale, analogamente alla sentenza n. 32337 del 2010, aveva ad oggetto il ricorso del pubblico ministero avverso il provvedimento con il quale il giudice del riesame aveva annullato parzialmente quello con cui era stata applicata la misura cautelare, dichiarandosi incompetente in riferimento ai residui reati sottratti all’intervento caducatorio, ed in riferimento ai quali aveva invece disposto ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen..
A differenza della sentenza n. 32337 del 2010, però, quella in esame aveva affermato che spetta al giudice dell’impugnazione cautelare il potere-dovere di verifica della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari (nonché dell’urgenza di queste ultime) in ragione della ritenuta applicabilità dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. anche nel caso in cui l’incompetenza venga dichiarata da un giudice diverso da quello che ha adottato la misura.
Pertanto, per la sentenza n. 47646 del 2014, all’esito negativo di tale verifica, si deve conseguire l’annullamento dell’ordinanza cautelare con liberazione dell’interessato e trasmissione degli atti al giudice ritenuto competente e da ciò deriverebbe a questo punto l’inammissibilità dell’impugnazione del pubblico ministero per le medesime ragioni evidenziate dalla sentenza n. 32337 (succitata).
Altra pronunzia, Sez. 1, n. 18477 del 03/02/2006, a sua volta, aveva ribadito l’applicabilità dell’art. 291, comma 2, c.p.p. al giudice del riesame escludendo che laddove quest’ultimo neghi la sussistenza delle condizioni per l’emissione della misura debba, pur avendo rilevato l’incompetenza, trasmettere gli atti al giudice competente ai sensi dell’art. 27 del codice di rito.
Oltre a ciò, si negava altresì l’interesse della parte pubblica ad impugnare la decisione caducatoria rilevando come il suo eventuale annullamento sul punto non avrebbe alcun effetto concreto essendo la misura perenta e non potendo questa essere riemessa se non che su iniziativa del pubblico ministero presso il giudice competente e attraverso un autonomo provvedimento di quest’ultimo.
Oltre a quelle esaminate, ad avviso della Suprema Corte, non si rinvenivano nella produzione della Corte altre pronunzie che avessero espressamente e specificamente negato l’interesse del pubblico ministero quanto, piuttosto, decisioni che avevano ribadito l’inoppugnabilità della declaratoria di incompetenza.
Ebbene, a questo punto della disamina, secondo le Sezioni Unite, la rassegna dei contrapposti orientamenti, svolta ai punti precedenti, rendeva opportuno ricostruire l’interpretazione che il sistema normativo di riferimento aveva conosciuto nella giurisprudenza delle Sezioni Unite i cui arresti non sempre erano stati correttamente considerati in alcune delle pronunzie citate nell’ordinanza di rimessione e che invece il Collegio intendeva ribadire nel caso di specie.
In particolare, ricomponendo un contrasto apertosi nella giurisprudenza di legittimità già all’indomani dell’entrata in vigore del codice di rito vigente, si evidenziava come le Sezioni Unite avessero anzitutto riconosciuto il potere del giudice dell’impugnazione cautelare di sindacare la competenza di quello che ha applicato la misura e di attribuire conseguentemente a quest’ultima la limitata efficacia prevista dall’art. 27 cod. proc. pen. (Sez. U, n. 14 del 20/07/1994; Sez. U, n. 19 del 25/10/1994) e in tal senso le due pronunzie avevano ribadito come la competenza, quale limite della giurisdizione, sia un presupposto indissociabile dalla funzionale attività del giudice osservando come i codificatori non abbiano escluso l’operatività di tale principio nell’incidente cautelare limitandosi invece a coniugarlo con le peculiarità di tale fase e con l’esigenza di tutelare la collettività laddove venga ravvisata l’urgenza dell’intervento cautelare, al fine di scongiurare i pericoli connessi al prevedibile ritardo con il quale il giudice competente potrebbe provvedere.
Ciò significa, per la Suprema Corte, che l’eccezionale legittimazione all’emissione del provvedimento cautelare, da parte del giudice incompetente compiuta dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., non lo esonera dal doveroso rispetto della competenza, ne’ tanto meno disperde gli effetti che conseguono all’accertamento della violazione di quell’obbligo visto che è logicamente contraddittorio e foriero di una irrazionale disparità di trattamento sottrarre la decisione del giudice che, pur essendo incompetente, non lo abbia riconosciuto al sindacato di quello dell’impugnazione sul punt, quando invece quest’ultimo – nel caso contrario – è chiamato a verificare la sussistenza di tutti i presupposti che hanno legittimato, ai sensi della disposizione da ultima citata, l’esercizio del potere cautelare in deroga alla regola generale per cui al giudice che si dichiara incompetente è inibita l’adozione del provvedimento richiestogli.
Soprattutto la seconda delle due pronunzie citate, evidenziavano sempre le Sezioni Unite, aveva poi precisato come il sindacato negativo del giudice dell’impugnazione, sulla competenza di quello che ha applicato la misura, non esiti nell’annullamento del provvedimento di quest’ultimo giacché il codice non ha previsto alcuna nullità in tal senso ma ha, invece e per l’appunto, affidato al meccanismo di inefficacia differita configurato nell’art. 27 cod. proc. pen. la sanzione processuale per la violazione delle regole sulla competenza; si tratta quindi di un meccanismo che proprio il giudice del riesame o quello di legittimità sono chiamati ad attivare in supplenza imprimendo alla misura quella precaria provvisorietà in grado di garantire un bilanciamento tra il rispetto del principio del giudice naturale e le esigenze di urgente tutela della collettività come hanno successivamente ribadito anche Sez. U, n. 1 del 24/01/1996 e Sez. U, n. 12823 del 25/03/2010.
Le Sezioni Unite, peraltro, sin dal loro primo intervento sul tema delle misure cautelari disposte dal giudice incompetente (Sez. U, n. 15 del 18/06/1993), avevano evidenziato come l’equilibrio del sistema normativo si reggesse proprio sulla prevista precarietà della misura disposta da quel giudice e sulla funzionalità della sua provvisoria efficacia all’esclusivo fine di consentire l’intervento dell’effettivo titolare del potere cautelare e, conseguentemente, per la sentenza n. 15 del 1993, il provvedimento successivo «non può essere definito di “conferma” o di “reiterazione” di quello precedente» in quanto adottato sulla base di un’autonoma valutazione delle condizioni legittimanti, ancorchè desunte dagli stessi elementi esaminati dal giudice incompetente, senza che la decisione di
quest’ultimo possa costituire una qualsivoglia preclusione all’esercizio di tale potere nemmeno nel caso in cui la stessa abbia nel frattempo perduto efficacia per essersi compiuto il termine previsto dall’art. 27 cod. proc. pen..
Ebbene, così ricostruito il panorama giurisprudenziale di interesse, per la Suprema Corte, a questo punto della disamina, era possibile rispondere al quesito proposto dai giudici rimettenti, vale a dire un quesito che necessita però di essere perimetrato alla impugnabilità della decisione di annullamento dell’ordinanza applicativa di una misura cautelare adottata dal giudice del riesame che abbia contestualmente rilevato l’incompetenza di quello che ha emesso il provvedimento genetico atteso che non può ritenersi oggetto di conflitto il diverso profilo dell’impugnabilità del provvedimento negativo della competenza che le Sezioni Unite avevano già avuto modo di escludere e che, pervero, alcuna delle pronunzie, che avevano alimentato il contrasto segnalato dall’ordinanza di rimessione, aveva, invece, affermato.
In proposito veniva dunque ribadito quanto affermato dalle Sez. U, nella decisione n. 42030 del 17/07/2014, secondo cui le pronunzie sulla competenza sono sottratte al generale regime delle impugnazioni in quanto affidate alla normativa in tema di conflitti che individua, quale giudice esclusivo, la Corte di cassazione deputata alla tutela di un interesse che è sottratto alla disponibilità delle parti ed a prescindere, dunque, dall’eventuale sussistenza di un interesse del pubblico ministero a contestare la statuizione negativa sulla competenza adottata anche nell’incidente cautelare fermo restando che ciò non esclude automaticamente che la parte pubblica abbia titolo per impugnare il provvedimento del giudice del riesame nella parte in cui nega la precaria sopravvivenza della misura adottata da quello di cui ha contestualmente riconosciuto l’incompetenza.
Orbene, prima di dimostrare tale ultimo assunto, per la Corte di legittimità, era però necessario prima ricomporre la già ricordata e vistosa frattura esistente da diverso tempo nella giurisprudenza della Corte in ordine all’estensione dei poteri attribuiti al giudice dell’impugnazione cautelare che dichiara l’incompetenza.
Ciò posto, veniva a tal riguardo rilevato che, tanto l’opinione per cui allo stesso non spetterebbe il sindacato sulle condizioni legittimanti l’intervento cautelare, quanto quella di segno diametralmente opposto, se attraversavano entrambe gli orientamenti che si confrontano sulla questione rimessa dalla Sesta sezione, ma ciò non significava, per le Sezioni Unite, che Io scioglimento di questo nodo interpretativo fosse ininfluente per la soluzione della questione controversa assumendo, al contrario, indiscusso carattere pregiudiziale ai fini della valutazione dei principi affermati dall’indirizzo che, esplicitamente o anche solo implicitamente, riconosce alla parte pubblica il diritto di impugnare la decisione del giudice del riesame proprio in ragione del fatto che quest’ultimo si sarebbe illegittimamente arrogato il potere di caducare la misura pur avendo rilevato l’incompetenza.
In proposito, il Collegio era dell’opinione che la risposta corretta a tale quesito pregiudiziale fosse quella fornita dalle pronunzie che, attraverso un’interpretazione sistematica dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., riconoscono invece al giudice dell’impugnazione cautelare che rilevi l’incompetenza anche il potere di annullare o riformare l’ordinanza genetica.
Invero già nelle due sentenze n. 14 e n. 19 del 1994, già richiamate in precedenza, le Sezioni Unite avevano opportunamente ricordato come il giudice del riesame fosse investito, ai sensi dell’art. 309 comma 9 cod. proc. pen., dei medesimi poteri cognitivi riconosciuti a quello che ha emesso il provvedimento genetico vale a dire poteri il cui esercizio veniva ritualmente sollecitato dall’indagato che impugna quest’ultimo anche quando eccepisca contestualmente l’incompetenza del giudice che l’ha adottato al fine di ottenere la verifica delle condizioni che ne legittimano l’emissione secondo le serrate e perentorie cadenze temporali imposte dal codice di rito al fine di garantire una tempestiva instaurazione del contraddittorio con l’interessato.
Sostenere pertanto che il giudice del riesame, una volta rilevata l’incompetenza, dovrebbe limitarsi a disporre la trasmissione degli atti ai sensi dell’art. 27 cod. proc. pen. senza svolgere la richiesta verifica sulla sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, significa dunque, per le Sezioni Unite, sottrarre al soggetto cautelato ogni possibilità di contraddittorio in costanza della limitazione della sua libertà personale ed affermare la sostanziale insindacabilità nel merito del provvedimento genetico.
Ebbene, se già tali implicazioni, per la Suprema Corte, evidenziavano l’inaccettabilità delle conclusioni cui erano pervenute le sentenze citate, poichè, come puntualmente ricordato nella sentenza n. 23365 del 2014, «sarebbe un paradosso se la constatazione dell’incompetenza valesse a rinviare, nella procedura di impugnazione, la verifica delle condizioni fondamentali per la legalità della cautela» giacchè, a causa del mancato riconoscimento della propria incompetenza da parte del giudice che (inaudita altera parte) ha applicato la misura, all’indagato verrebbe impedito di ottenere, nei termini che i codificatori avevano ritenuto essenziali per garantire la coerenza costituzionale del sistema cautelare, una decisione sulla legittimità della restrizione della sua libertà, è sì vero però che questa è destinata a cessare allo spirare del termine indicato nel citato art. 27 c.p.p., così come è altrettanto vero che, non di meno, la dilatazione in difetto di contraddittorio di tale restrizione rispetto allo sviluppo ordinario dell’incidente cautelare non appare giustificabile poichè la ratio sottesa alle scelte legislative è, da un lato, quella di non pregiudicare le ragioni cautelari nell’intervallo di tempo in cui il giudice competente non ha ancora la disponibilità degli atti e, dall’altro, quello di conferire certezza alla misura cautelare adottata provvisoriamente in termini di garanzia della libertà personale dell’indagato o dell’imputato.
Allo stesso modo veniva considerato come fosse evidente l’irragionevole disparità di trattamento che si determina rispetto all’ipotesi in cui, invece, l’incompetenza veniva riconosciuta dallo stesso giudice che dispone la misura atteso che, pacificamente, in tal caso, a quello del riesame viene riconosciuto il potere di valutare la sussistenza dei presupposti per la sua adozione anche quando già la misura abbia perso efficacia o sia eventualmente intervenuto il provvedimento del giudice competente e la sua decisione, non essendo più in grado di incidere sullo status libertatis dell’indagato rilevi agli esclusivi fini di cui all’art. 314 cod. proc. pen. (cfr. Sez. U, n. 8388 del 22/01/2009; Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010, dep. 2011, e Sez. U, n. 32383 del 27/05/2010).
Peraltro, oltre a quanto sin qui esposto, gli Ermellini notavano come la negazione del potere del giudice dell’impugnazione, di valutare ed eventualmente escludere la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura, venisse giustificata sulla base di argomenti non condivisibili e, in tal senso, veniva anzitutto evocata l’impossibilità per il giudice incompetente di decidere il merito della regiudicanda quale precipitato del principio di rango costituzionale del giudice naturale al cui cospetto il disposto di cui all’art. 309, comma 9, cod. proc. pen. dovrebbe essere in definitiva neutralizzato rilevandosi al contempo come questa obiezione venisse stimata fondata su di un ragionamento meramente circolare assumendo ciò che deve essere invece dimostrato e cioè che la deroga espressamente prevista in tal senso dall’art. 291, comma 2, cod. proc. pen. non si applichi, nell’intenzione del legislatore, anche al giudice dell’impugnazione.
In secondo luogo, veniva opposta la natura eccezionale di tale ultima disposizione e, dunque, l’impossibilità di fornirne interpretazioni analogiche o anche solo estensive atteso che inequivocabilmente il testo della norma avrebbe fatto riferimento al giudice che dispone la misura e contestualmente si dichiara incompetente attribuendo esclusivamente a quest’ultimo il dovere di verificare la sussistenza dei presupposti per l’applicazione della misura cautelare dal momento che, per la Corte, non è dubbio che il dato testuale del comma 2 dell’art. 291 si presti ad una lettura in tal senso, ma dalla stessa discendono per l’appunto le già evidenziate aporie che rischiano di compromettere la stessa compatibilità della norma con i principi costituzionali, a maggior ragione alla luce dell’evoluzione che l’interpretazione dell’art. 27 c.p.p. – il cui testo propone una trama sintattica non dissimile da quella della disposizione in esame – ha avuto nelle sentenze n. 14 del 1994 e n. 1 del 1996 e della conseguente imposizione anche ad un giudice diverso da quello che aveva disposto la misura del dovere di riconoscere l’incompetenza non rilevata da quest’ultimo.
Pur tuttavia, veniva però fatto presente che l’interpretazione, proposta dall’orientamento qui censurato, non fosse l’unica possibile del dato normativo il che veniva ricavato proprio dal suo contenuto se compiutamente considerato.
Difatti, al giudice incompetente, l’art. 291, comma 2, consente di applicare la misura esclusivamente in ragione della comprovata urgenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 274 cod. proc. pen. e quindi la deroga ai principi generali trova la sua giustificazione nella previsione di un requisito ulteriore rispetto all’ordinario esercizio del potere cautelare il cui accertamento è ineludibile condizione di legittimità della provvisoria efficacia della misura prevista dall’art. 27 c.p.p..
Lo stesso tenore letterale dell’art. 291, comma 2, c.p.p. evidenzia del resto l’esistenza di un inscindibile collegamento tra le due disposizioni ed in particolare tra l’efficacia interinale della misura e la verifica del presupposto dell’urgenza che la legittima e, dunque, negare che tale disposizione trovi applicazione anche qualora l’incompetenza venga rilevata da un giudice diverso da quello che ha applicato la misura si pone in contraddizione con la stessa volontà legislativa finendo per autorizzare quest’ultimo a prorogare la restrizione della libertà dell’indagato per il tempo indicato nell’art. 27 c.p.p. senza che venga accertato il presupposto che tale proroga giustifica né è d’altronde possibile, per il Supremo Consesso,come pure ambiguamente ed apoditticamente proposto in alcune pronunzie, riconoscere al giudice dell’impugnazione esclusivamente il compito di accertare l’urgenza delle esigenze cautelari, ma non già degli altri presupposti che legittimano l’adozione della misura o, ancora, che in merito a questi ultimi egli dovrebbe limitarsi ad una sorta di mera delibazione del fumus della loro sussistenza posto che questa sorta di estensione solo parziale o selettiva del disposto dell’art. 291, comma 2, c.p.p. è, per la Corte, un’operazione esegetica in alcun modo ancorabile al dato testuale che impone invece al giudice la verifica non solo dell’urgenza, ma altresì delle altre “condizioni” che legittimano l’intervento cautelare e cioè della sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza e delle stesse esigenze cautelari.
In definitiva, in presenza di un dato normativo che si presta a più interpretazioni, in sintonia con la logica sottesa all’art. 13 Cost. e con l’insegnamento del giudice delle leggi (cfr. Corte Cost. n. 292 del 1998), è indubbiamente da preferire, ad avviso delle Sezioni Unite, quella che fornisce in prospettiva la possibilità di ridurre al minimo il sacrificio per la libertà personale consentendo all’indagato il tempestivo contraddittorio sul titolo cautelare e la sua caducazione laddove illegittimamente adottato.
Del resto, soprattutto nelle pronunzie più risalenti, l’ulteriore argomento dispiegato al fine di negare al giudice dell’impugnazione il potere di annullare o riformare la misura adottata dal giudice ritenuto incompetente è, per la Suprema Corte, riferito alla necessità di evitare la formazione di un giudicato cautelare in grado di condizionare il potere decisorio del giudice competente ossia un argomento la cui inconsistenza è definita dall’erroneità del presupposto su cui si fonda attesa la già ricordata autonomia dell’incidente cautelare instaurato dinanzi a quest’ultimo in accordo con quanto evidenziato dalla sentenza n. 15 del 1993 e, successivamente, da numerose altre pronunzie delle Sezioni semplici (ex multis Sez. 4, n. 45819 del 30/03/2004; Sez. 6, n. 24639 del 28/04/2006; Sez. 5, n. 28563 del 27/06/2007; Sez. 6, n. 45909 del 26/09/2011; Sez. 2, n. 4045 del 10/01/2013; Sez. 6, n. 21328 del 16/04/2015; Sez. 3, n. 20568 del 29/01/2015) tenuto conto altresì del fatto che, se la sorte dell’ordinanza adottata ex art. 27 c.p.p. non interferisce con la decisione del giudice competente, a maggior ragione, tale interferenza non è configurabile nell’ipotesi in cui quello che rileva l’incompetenza respinga la richiesta cautelare ovvero annulli il provvedimento applicativo precedentemente adottato, attesa la natura “endoprocessuale” del giudicato cautelare (cfr. Sez. U, n. 14535 del 19/12/2006, dep. 2007, e di recente sul profilo specifico Sez. 6, n. 54045 del 27/09/2017).
Secondo le Sezioni Unite, quindi, deve pertanto concludersi sul punto, come già accennato ed in accordo con l’orientamento maggioritario nella giurisprudenza delle Sezioni semplici, che, nell’incidente cautelare, il giudice dell’impugnazione, che rileva l’incompetenza di quello che ha applicato la misura, ha il dovere – nei limiti dei poteri cognitivi attribuitogli dalla legge processuale a seconda che si tratti del giudice del riesame o di quello di legittimità – di verificare, ai sensi dell’art. 291, comma 2, cod. proc. pen., la sussistenza delle condizioni per l’adozione del provvedimento genetico conservando il potere, nel caso in cui tale verifica abbia esito negativo, di annullare lo stesso ovvero, nel caso contrario, di provvedere ai sensi dell’art. 27 del codice di rito, laddove ravvisi l’urgenza di anche solo una delle esigenze cautelari riscontrate.
Riconosciuto, dunque, il dovere del giudice del riesame che rileva l’incompetenza di verificare le condizioni per la sua adozione e, in caso di esito negativo, di annullare l’ordinanza genetica, per la Suprema Corte, a questo punto della disamina, era possibile affrontare la questione sollevata dall’ordinanza di rimessione.
Orbene, si evidenziava a tal proposito prima di tutto che, se non è dubbio che l’art. 311, comma 1, cod. proc. pen. legittimi, sia sotto il profilo oggettivo che sotto quello soggettivo, il pubblico ministero che ha richiesto la misura ad impugnare il provvedimento caducatorio del giudice del riesame atteso che questo è stato adottato ai sensi dell’art. 309 dello stesso codice e non esaurendosi lo stesso, per le ragioni illustrate al punto precedente, nella mera declaratoria di incompetenza, né, come già accennato, a quest’ultima può attribuirsi una sorta di forza “assorbente” in grado di precludere l’autonoma impugnabilità della decisione negativa sulla sopravvivenza della misura posto che, se la funzione dell’art. 291, comma 2, c.p.p. è proprio quella di attribuire al giudice incompetente il potere di decidere nel merito la regiudicanda, derogando al principio per cui ciò gli sarebbe invece precluso, non vi è però alcuna ragione perché tale decisione sia sottratta al sindacato di legittimità – quale ne sia il contenuto – posto che alcuna disposizione deroga invece alla disciplina ordinaria sulla impugnabilità dei provvedimenti adottati dal giudice del riesame.
A fronte di ciò, ad avviso dei giudizi di piazza Cavour, accanto alla legittimazione, per impugnare deve peraltro sussistere, ai sensi dell’art. 568, comma 4, cod. proc. pen., quale ulteriore condizione di ammissibilità, anche l’interesse a proporre l’impugnazione ossia un interesse che, per la Corte, non può identificarsi con quello insito nel principio di tassatività delle impugnazioni così come articolato nei primi tre commi dell’articolo da ultimo citato dato che, se la legge processuale dichiara una categoria di atti impugnabile da determinati soggetti processuali che già a sua volta riconosce implicitamente l’astratto interesse di questi ultimi ad impugnare il provvedimento che a tale categoria è riconducibile, va da sé che, allora, la previsione del successivo quarto comma risulterebbe sostanzialmente inutile e ridondante.
Da ciò si perveniva alla conclusione secondo cui è evidente che tale ultima disposizione adopera il concetto di “interesse” in un senso più specifico e selettivo, come requisito ulteriore in grado di misurare l’utilità pratica dell’attività processuale svolta, riferendolo, inevitabilmente, alla specificità del singolo atto di impugnazione e distinguendolo conseguente dalla legittimazione a proporlo, che pure presuppone rilevandosi al contempo che, in tal senso, per il consolidato insegnamento delle Sezioni Unite, per proporre ricorso – anche nell’incidente cautelare – il soggetto legittimato deve dunque perseguire un interesse che sia concreto ed attuale la cui sussistenza e persistenza al momento della decisione deve essere apprezzata con riferimento alla sussistenza di un effettivo pregiudizio derivato dal provvedimento impugnato la cui rimozione consente il conseguimento di un risultato più vantaggioso (Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017; Sez. U, n. 6624 del 27/10/2011, dep. 2012; Sez. U, n. 7931 del 16/12/2010; Sez. U, n. 29529 del 25/06/2009; Sez. U, n. 7 del 25/06/1997; Sez. U, n. 10372 del 27/09/1995) così come è altrettanto pacifico, sempre nella giurisprudenza di legittimità, che anche il ricorso del pubblico ministero debba essere funzionale al raggiungimento di un risultato non solo teoricamente corretto ma anche praticamente favorevole (Sez. U, n. 42 del 13/12/1995; Sez. 6, n. 33573 del 20/05/2015; Sez. 3, n. 48581 del 13/09/2016; Sez. 2, n. 4974 del 17/01/2017; Sez. 5, n. 35785 del 04/05/2018).
D’altronde, sempre le Sezioni Unite avevano infine chiarito come la valutazione dell’interesse ad impugnare vada operata con riferimento alla prospettazione rappresentata nel mezzo di impugnazione e non alla effettiva fondatezza della pretesa azionata (Sez. U, n. 28911 del 28/03/2019).
Ebbene, nel ribadirsi tali principi, gli Ermellini reputavano altresì opportuno svolgere alcune puntualizzazioni in riferimento alla fattispecie tipologica oggetto del quesito posto dai giudici rimettenti.
L’interesse del pubblico ministero può ritenersi concreto, nel senso accolto dalle Sezioni Unite, se mira a rimuovere gli effetti costitutivi del provvedimento impugnato per conseguire un risultato reale e non meramente ipotetico o congetturale che, per essere tale, deve risultare correlato alla funzione propria del provvedimento la cui adozione, a seguito della rimozione del primo, la parte ricorrente intende eventualmente ottenere dato che, nell’incidente cautelare instaurato nella fase delle indagini preliminari, il ricorso della parte pubblica non mira esclusivamente alla rimozione del provvedimento di annullamento dell’ordinanza genetica bensì ad ottenere, attraverso la mediazione del giudizio di rinvio, una decisione di segno diverso ed è dunque in relazione alla possibilità di conseguire tale esito finale e con esclusivo riferimento allo stesso che deve essere valutata la sussistenza dell’interesse di cui all’art. 568, comma 4, c.p.p..
Qualora viceversa il giudice del riesame avesse altresì dichiarato l’incompetenza di quello che, omettendo di rilevarla, aveva accolto la richiesta cautelare, il risultato favorevole perseguibile dal pubblico ministero – cui per le ragioni già ricordate è preclusa la possibilità di sottoporre al sindacato di legittimità la decisione sulla competenza – è dunque, per la Suprema Corte, esclusivamente quello di vedere attribuita alla misura originariamente disposta l’efficacia interinale prevista dall’art. 27 c.p.p. previa conferma della sussistenza delle condizioni per la sua applicazione e dell’accertamento dell’urgenza delle esigenze cautelari rilevate.
Ma, per l’appunto, perché tale risultato possa costituire l’interesse che legittima l’impugnazione, è necessario, sempre ad avviso delle Sezioni Unite, che questa risulti coerente alla funzione della decisione finale perseguita ai sensi della disposizione citata e cioè quella di consentire l’intervento del giudice competente in presenza dell’urgenza di arginare le esigenze cautelari rilevate trattandosi quindi di una funzione che, come già ricordato, è rivelata dalla stessa provvisorietà dell’efficacia che viene ad assumere la misura a seguito del riconoscimento dell’incompetenza dovendosi a tal proposito ricordare che, ai sensi dell’art. 22, comma 2, cod. proc. pen., nella fase delle indagini preliminari, se il giudice adito riconosce la propria incompetenza la sua decisione produce effetti limitatamente al singolo provvedimento richiesto, talché, ai sensi del primo comma dello stesso articolo, egli provvede alla restituzione degli atti al pubblico ministero e, dunque, come ricordato da Sezioni Unite n. 42030 del 2014, quest’ultimo conserva, dunque, il potere di proseguire nell’indagine e non è tenuto a trasmettere a sua volta gli atti al corrispondente Ufficio presso il giudice indicato come competente, come peraltro si desume anche dall’art. 54, comma 1, cod. proc. pen., che subordina tale trasmissione all’autonoma valutazione sul punto dell’organo procedente.
Quello configurato dall’art. 22 c.p.p., invero, è un principio generale (cfr. Corte Cost. n. 262 del 1991), al quale la disciplina contenuta nel successivo art. 27 c.p.p. invero non contravviene, ma invece implicitamente rinvia visto che tale ultima disposizione (come detto in combinato disposto con l’art. 291, comma 2) deroga alla regola che inibisce al giudice che riconosce la propria incompetenza di decidere nel merito la richiesta cautelare ma non prevede analoga deroga in merito alla delimitazione dell’ambito di efficacia della declaratoria di incompetenza esclusivamente al provvedimento richiesto.
Del resto, né una deroga di tale portata è indirettamente ricavabile dalla previsione dell’inefficacia differita della misura nel caso del mancato intervento del giudice ritenuto competente atteso che la disposizione in esame si limita a stabilire che il termine di efficacia interinale decorre dall’ordine di trasmissione degli atti (come stabilito da Sez. U, n. 3 del 31/01/2001 ed ancor prima, in via incidentale, dalle citate Sezioni Unite n. 15 del 1993), ma non precisa quale sia l’autorità destinataria di tale ordine, rinviando per l’appunto implicitamente alla disciplina contenuta negli articoli precedenti per la sua individuazione in ragione della fase in cui venga instaurato l’incidente cautelare.
Orbene, ciò significa, per la Suprema Corte, che, una volta disposta la misura ex art. 27 c.p.p., gli atti devono essere trasmessi al pubblico ministero che l’ha richiesta (in questo senso si veda Sez. 1, n. 974 del 16/12/2014) spettando a quest’ultimo valutare se accettare la decisione del giudice in merito alla competenza e trasmettere gli atti al suo corrispondente presso il giudice ritenuto competente perché solleciti l’emissione di un nuovo titolo cautelare ovvero lasciare che quello originario perda efficacia allo spirare del termine dei venti giorni conservando però la titolarità dell’indagine e la possibilità di sollecitare allo stesso giudice una nuova valutazione sul punto, ad esempio alla luce dell’acquisizione di nuovi elementi deducendosi contestualmente come non vi sia alcuna ragione per cui tali conclusioni non valgano anche nel caso in cui l’incompetenza venga rilevata dal giudice dell’impugnazione cautelare, supplendo all’omissione di quello che ha applicato la misura dato che, anche in tal caso, la pronunzia sulla competenza è destinata ad esplicare i propri effetti esclusivamente con riguardo al provvedimento impugnato ed all’interno del procedimento incidentale che lo riguarda (ed a maggior ragione ciò è vero nel caso in cui il giudice del riesame, oltre a rilevare il difetto di competenza, annulli il titolo cautelare).
Non di meno, solo quando l’impugnazione sia finalizzata ad ottenere l’applicazione dell’art. 27 c.p.p. secondo la funzione che gli è propria, l’interesse a proporla può ritenersi effettivamente concreto dovendosi per converso escludere la sua sussistenza qualora l’obiettivo perseguito consista sostanzialmente nella mera rimozione della decisione sfavorevole del giudice del riesame atteso che in tal caso il ripristino temporaneo della misura non sarebbe proiettato verso la sua rinnovazione da parte del giudice competente.
Tal che se ne faceva conseguire come sia onere del pubblico ministero dedurre, a pena di inammissibilità, l’obiettivo effettivamente perseguito attraverso il ricorso dovendosi invece implicitamente escludere la sussistenza della concretezza dell’interesse qualora egli impugni contestualmente anche la declaratoria sull’incompetenza, giacché tale comportamento risulta contraddittorio rispetto allo scopo di garantire l’urgenza cautelare in attesa dell’intervento del giudice competente.
Per le Sezioni Unite, di conseguenza, a tali condizioni ed in sintonia con l’orientamento maggioritario espresso dalle Sezioni semplici, deve dunque ammettersi che sussiste l’interesse del pubblico ministero a ricorrere avverso il provvedimento del giudice del riesame nella misura in cui questi, annullando l’ordinanza genetica, sostanzialmente esclude l’applicazione dell’art. 27 cod. proc. pen. pur avendo rilevato l’incompetenza.
Ebbene, una volta attribuito al giudice dell’impugnazione cautelare il compito di verificare anche in tal caso la sussistenza delle condizioni che autorizzano l’adozione della misura nonché il potere di annullare l’ordinanza genetica, è infatti inevitabile, per le Sezioni Unite, riconoscere il “pregiudizio” subito dalla parte pubblica che aveva conseguito il titolo cautelare ed il suo interesse a perseguire attraverso la rimozione del provvedimento caducatorio, il ripristino della misura, seppure ai limitati fini di cui all’art. 27 c.p.p..
Né tale interesse, per la Corte, può ritenersi insussistente in ragione del fatto che l’indagato può proporre ricorso avverso il provvedimento eventualmente adottato a seguito dell’annullamento con rinvio di quello impugnato dal pubblico ministero atteso che, secondo il consolidato orientamento della Cassazione, l’ordinanza, con la quale il giudice del riesame, in sede di rinvio, conferma l’originaria ordinanza di custodia cautelare precedentemente annullata, è immediatamente esecutiva e determina il ripristino dello stato di custodia anche qualora avverso il nuovo provvedimento l’indagato proponga a sua volta ricorso per cassazione e ciò in quanto in tal caso non può trovare applicazione per analogia l’effetto sospensivo previsto dall’art. 310, comma terzo, cod. proc. pen. in relazione alle decisioni assunte nell’appello cautelare trattandosi di norma di stretta interpretazione, derogando la stessa al principio generale di cui all’art. 588, comma secondo, cod. proc. pen., per cui le impugnazioni contro i provvedimenti in materia di libertà personale non hanno in alcun caso effetto sospensivo (Sez. 1, n. 8722 del 03/12/2003, dep. 2004; Sez. 6, n. 1454 del 02/04/1996; Sez. 1, n. 5163 del 21/10/1998; Sez. 5, n. 39029 del 16/09/2008; Sez. 3, n. 2888 del 19/12/2013, dep. 2014; Sez. 6, n. 20479 del 12/05/2005) e, conseguentemente, nel caso di accoglimento del ricorso della parte pubblica e di un diverso esito del giudizio di riesame in sede di rinvio, il ripristino della misura può avvenire nello stesso momento in cui inizia a decorrere la sua efficacia interinale e non già quando questa si sia già esaurita anche qualora l’indagato impugni il nuovo provvedimento.
In conclusione veniva affermato il seguente principio: «Sussiste l’interesse del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento con il quale il tribunale del riesame, rilevata l’incompetenza del giudice per le indagini preliminari, annulli, per carenza delle condizioni di applicabilità, l’ordinanza con cui quello stesso giudice ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere, se l’impugnazione è funzionale a garantire il tempestivo intervento del giudice competente».
Orbene, declinando tale criterio ermeneutico rispetto al caso di specie, le Sezioni Unite evidenziavano come fossero inammissibili, per difetto di legittimazione ad impugnare, i primi due motivi con i quali il pubblico ministero aveva censurato la decisione del Tribunale sull’incompetenza territoriale del G.i.p. del Tribunale di Trapani così come non di meno inammissibili risultavano, sempre per la Suprema Corte, anche gli ulteriori motivi con i quali era stata invece contestata la motivazione e la legittimità dell’annullamento dell’ordinanza genetica atteso che il ricorrente non aveva dedotto nulla sull’interesse concreto all’impugnazione e, anzi, contestando la decisione sulla competenza, contraddittoriamente rivelava di non voler conseguire l’applicazione dell’art. 27 cod. proc. pen. nella prospettiva della trasmissione degli atti al pubblico ministero presso il giudice indicato come competente.
Non di meno veniva osservato, per mero desiderio di completezza, che il terzo e quarto motivo sarebbero stati comunque inammissibili.
In particolare, quanto ai gravi indizi di colpevolezza, ad avviso dei giudici di piazza Cavour, il ricorso si limitava a prospettare una lettura alternativa a quella fatta propria dal Tribunale del compendio indiziario di riferimento sollecitando in tal senso la Corte di Cassazione ad una rivalutazione del merito della decisione senza individuare profili di effettiva e manifesta illogicità nel percorso argomentativo svolto dal giudice del riesame.
Con riguardo invece alle esigenze cautelari, le doglianze del ricorrente, per gli Ermellini, si rilevavano intrinsecamente generiche e carenti del necessario confronto con la motivazione dell’ordinanza impugnata posto che le stesse, per il Supremo Consesso, non erano state specificamente riferite alla persona dell’indagato e prescindevano dal fatto che al medesimo, al contrario degli altri soggetti coinvolti nell’indagine, era stato contestato un unico episodio delittuoso.
Conclusioni
La decisione in esame è assai interessante nella parte in cui gli Ermellini, componendo un pregresso contrasto giurisprudenziale, affermano il principio di diritto secondo il quale sussiste l’interesse del pubblico ministero ad impugnare il provvedimento con il quale il tribunale del riesame, rilevata l’incompetenza del giudice per le indagini preliminari, annulli, per carenza delle condizioni di applicabilità, l’ordinanza con cui quello stesso giudice ha disposto la misura cautelare della custodia in carcere, se l’impugnazione è funzionale a garantire il tempestivo intervento del giudice competente.
Va da sé dunque che, ove emerga un interesse di questo genere, è precluso alla difesa dolersi dell’impugnazione, proposta dalla pubblica accusa in tali casi, in termini di carenza di inammissibilità per insussistenza dell’interesse ad impugnazione.
Tale pronuncia, dunque, deve essere presa nella dovuta considerazione ove si verifichi una evenienza processuale di tale tipo.
Il giudizio in ordine a quanto statuito in siffatta sentenza, pertanto, proprio perché fa chiarezza su tale tematica procedimentale, non può che essere positivo.
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