La Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità di alcune disposizioni contenute nel nuovo Codice del Commercio della Regione Puglia.
La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 239 del 2016, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 9, comma 4, 13, comma 7, lettere a) e c), 17, commi 3 e 4, e 45 della legge della Regione Puglia 16 aprile 2015, n. 24, c.d. “Codice del Commercio”.
In particolare, accogliendo le questioni di legittimità costituzionale promosse dal Presidente del Consiglio dei Ministri, la Consulta ha censurato gli artt. 9, comma 4, e 13, comma 7, lettera c), della legge Reg. Puglia n. 24 del 2015, che prevedono interventi in materia di orari degli esercizi commerciali, per violazione dell’art. 117, comma 2, lettera e), Cost., che riserva alla competenza esclusiva dello Stato la legislazione in materia di “tutela della concorrenza”.
Invero, gli artt. 9, comma 4, e 13, comma 7, lettera c) della citata legge regionale si proponevano di regolamentare gli orari di apertura e di chiusura degli esercizi commerciali, stabilendo rispettivamente che: la Regione e i Comuni avrebbero dovuto promuovere “accordi volontari” fra gli operatori volti a garantire il rispetto e l’attuazione delle disposizioni in materia di sostegno della maternità e paternità e di coordinamento dei tempi della città, nonché in materia di poteri del Sindaco di coordinare e riorganizzare gli orari delle predette attività; il Comune, nella elaborazione di “progetti di valorizzazione commerciale“, avrebbe potuto prevedere interventi in materia di orari di apertura.
Secondo i giudici costituzionali, infatti, poiché il legislatore statale è intervenuto per assicurare la liberalizzazione degli orari degli esercizi commerciali, inizialmente con l’art. 3, comma 1, lettera d-bis), del D.l. 4 luglio 2006, n. 223, e successivamente con l’art. 31, comma 1, del D.l. n. 201 del 2011, le attività commerciali e quelle di somministrazione di alimenti e bevande debbono svolgersi “senza i seguenti limiti e prescrizioni” concernenti, tra l’altro, “il rispetto degli orari di apertura e di chiusura, l’obbligo della chiusura domenicale e festiva, nonché quello della mezza giornata di chiusura infrasettimanale dell’esercizio“.
Del resto, la Corte osserva come avesse già avuto modo di pronunciarsi sull’ultima modifica contenuta nel citato art. 31, comma 1, del D.l. n. 201 del 2011, respingendo i ricorsi di numerose Regioni, le quali avevano lamentato la violazione della competenza legislativa regionale residuale in materia di commercio ai sensi dell’art. 117, comma 4, Cost., di conseguenza dichiarando l’illegittimità costituzionale di diverse norme regionali con le quali si erano regolati gli orari degli esercizi commerciali.
Pertanto, la Consulta, nel confermare quanto già stabilito nella precedente sentenza del 2012, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale delle disposizioni regionali censurate, concludendo che l’art. 31, comma 1, del D.l. n. 201 del 2011 deve essere inquadrato nella materia “tutela della concorrenza”, come tale di competenza esclusiva dello Stato ex art. 117, comma 1, lett. e).
Per altro verso, la Corte Costituzionale afferma altresì l’illegittimità costituzionale dei commi 3 e 4 contenuti nell’art. 17 della legge Reg. Puglia n. 24 del 2015, in quanto, richiedendo apposite autorizzazioni all’esercizio delle attività commerciali da parte del Comune, violerebbero ulteriormente l’art. 117, comma 2, lettere e) e m), Cost.
Nel dettaglio, gli impugnati commi 3 e 4 dell’art. 17 prevedono, rispettivamente, che “[l]’apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l’ampliamento della superficie di una media o grande struttura di vendita sono soggetti ad autorizzazione rilasciata dal comune competente per territorio” (comma 3) e che “[l]’apertura, il trasferimento di sede, il cambiamento di settore di vendita e l’ampliamento della superficie di un centro commerciale e di un’area commerciale integrata necessitano di: a) autorizzazione per il centro come tale, in quanto media o grande struttura di vendita, che è richiesta dal suo promotore o, in assenza, congiuntamente da tutti i titolari degli esercizi commerciali che vi danno vita, purché associati per la creazione del centro commerciale; b) autorizzazione o SCIA, a seconda delle dimensioni, per ciascuno degli esercizi al dettaglio presenti nel centro” (comma 4).
Orbene, le suddette disposizioni regionali introducono una nuova autorizzazione comunale finalizzata a consentire l’esercizio del commercio, in ordine alla quale rimette ai Comuni l’individuazione di procedure e presupposti specifici.
Secondo la Consulta, un simile provvedimento autorizzatorio contrasta con i principi di semplificazione e liberalizzazione stabiliti dall’art. 19 della legge n. 241 del 1990, secondo cui la SCIA è sostitutiva di ogni atto di autorizzazione o licenza anche per l’esercizio di un’attività commerciale, e dagli artt. 31 e 34 del D.l. n. 201 del 2011, che hanno affermato la libertà di apertura, accesso, organizzazione e svolgimento delle attività economiche, abolendo le autorizzazioni espresse e i controlli ex ante, con la sola esclusione degli atti amministrativi di assenso o autorizzazione o di controllo posti a tutela di specifici interessi pubblici costituzionalmente rilevanti e compatibili con l’ordinamento dell’Unione europea.
Infatti, osserva la Corte, “le citate disposizioni statali in materia di semplificazione, in quanto riferite ad attività economiche, costituiscono principi di liberalizzazione, e rientrano anzitutto nella competenza in tema di tutela della concorrenza (sentenza n. 8 del 2013 e n. 200 del 2012); d’altra parte, questa Corte ha ritenuto che, in generale, i principi di semplificazione amministrativa sono espressione dei livelli essenziali delle prestazioni concernenti i diritti civili e sociali (sentenza n. 164 del 2012); sicché, la loro violazione determina un vulnus all’art. 117, secondo comma, lettere e) e m), Cost.“.
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