Origine del vincolo alberghiero
Il vincolo alberghiero è stato introdotto con l’articolo unico della l. 24 luglio 1936, n. 1692, di conversione, con modificazioni, del r.d.l. 2 gennaio 1936, n. 274, che vietava l’alienazione o la locazione “per uso diverso da quello alberghiero” degli edifici alla data d’entrata in vigore del r.d.l. “… interamente o prevalentemente destinati ad uso di albergo, pensione o locanda…”. L’art. 1, d.lgs. 19 marzo 1945, n. 117 ha prorogato l’efficacia della l. n. 1692 del 1936, e quindi il vincolo, “…fino a cinque anni dalla cessazione dello stato di guerra”; in seguito, il termine è stato ulteriormente prorogato con diversi interventi legislativi.
Il vincolo alberghiero ha trovato un importante riconoscimento nella sentenza della Corte Costituzionale n. 4 del 1981, la quale prevede che il vincolo alberghiero grava sugli immobili adibiti ad albergo per destinazione del proprietario o per concessione risultante dal contratto d’affitto; tale destinazione è fissata dalla legge col prescrivere che l’immobile non possa essere né venduto né dato in locazione per uso diverso da quello alberghiero senza l’autorizzazione degli organi competenti, (…); dove si accerta che la destinazione alberghiera è necessaria per i fini considerati dalla legge, la pubblica autorità, alla quale compete la suddetta autorizzazione, viene investita di altri poteri, diretti ad assicurare che ogni eventuale trasferimento o locazione dell’immobile avvenga nel rispetto del regime vincolistico”.
In particolare, la sentenza 8 gennaio 1981 n. 4, della Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’ultima disposizione di proroga in quanto lasciava inalterato il vincolo alberghiero solo per i vecchi alberghi mentre quelli realizzati successivamente non ne erano gravati, pur essendo mutato il contesto che giustificava la differenziazione tra gli immobili soggetti alla proroga e quelli invece esonerati dal vincolo. La Corte, ha riconosciuto i vincoli alberghieri, tuttavia ha osservato che tali vincoli avrebbero necessitato di un costante aggiornamento in ragione delle condizioni in atto, sì da mantenerli unicamente in presenza di esigenze concrete e, comunque, nel rispetto dei canoni di temporaneità e di modificabilità. Dalla pronuncia della Corte costituzionale, la giurisprudenza successiva ha ricavato il principio dell’intrinseca natura temporalmente limitata dei vincoli per l’uso alberghiero di un immobile e il principio che tali vincoli hanno ragione di esistere in funzione di esigenze concrete e sono destinati naturalmente ad affievolirsi.
Il legislatore sul vincolo alberghiero
La posizione della Corte costituzionale è diventata in seguito canone di azione del legislatore. È infatti intervenuta la l. 17 maggio 1983, n. 217 – Legge quadro per il turismo e interventi per il potenziamento e la qualificazione dell’offerta turistica – che ha posto i principi fondamentali in materia, ai quali le Regioni avrebbero dovuto conformarsi nell’esercizio della loro competenza legislativa concorrente. La legge del 1983 ha previsto la possibilità che le leggi regionali sottopongano a vincolo di destinazione le strutture alberghiere, ai fini della conservazione e della tutela del patrimonio ricettivo e nel perseguimento dell’interesse pubblico dell’utilità sociale, nonché la facoltà dei Comuni di individuare, nell’ambito dei propri strumenti urbanistici, le aree destinate ad attività turistiche e ricettive, determinandone la disciplina di tutela e utilizzazione, in conformità alle disposizioni regionali eventualmente dettate in materia.
In particolare, è stata disposta espressamente la possibilità di rimozione del vincolo, dando incarico alle Regioni di procedere all’individuazione di criteri e modalità, fermo restando che tale limitazione viene comunque meno, su richiesta del proprietario, solo se è comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva.
La previsione del vincolo deriva dalla volontà del legislatore di accordare una tutela prioritaria allo sviluppo del settore turistico, ritenuto strategico per l’economia nazionale.
La pronuncia
Il Consiglio di Stato, Adunanza di Sezione I del 24 febbraio 2021 n. 721 si è pronunciato sul cambio di destinazione d’uso per le strutture ricettive alberghiere.
Nei fatti ad oggetto del giudizio si contesta la legittimità della deliberazione del Consiglio comunale con cui è disposto che all’interno dei c.d. “tessuti turistico-ricettivi ad alta densità” non è ammesso il cambio di destinazione d’uso per le strutture ricettive alberghiere con più di dieci camere, traducendosi secondo parte ricorrente in un vincolo reiterato a tempo indeterminato, con violazione dei principi costituzionali di proporzionalità e ragionevolezza.
Il Consiglio di Stato rimarca, a ben vedere, che la permanenza del vincolo ha una giustificazione nel fatto che occorre evitare di snaturare i tessuti turistico-ricettivi ed evitare forme di speculazione derivanti dalla trasformazione delle strutture in immobili destinati ad usi abitativi, anche in considerazione del fatto che spesso le strutture ricettive sono in località di particolare pregio. In maniera altrettanto chiara, però, la legge prevede che il vincolo di destinazione possa essere rimosso su richiesta del proprietario, se è comprovata la non convenienza economico-produttiva della struttura ricettiva.
Tuttavia, il Consiglio di Stato Adunanza di Sezione I del 24 febbraio 2021 n. 721 conclude ritenendo che, ferma restando la discrezionalità della singola amministrazione nell’adattare questi principi alla realtà locale, è necessario comunque rispettare la norma che, in caso di non convenienza economico-produttiva, permette – alle condizioni di legge, integrate dalla disciplina regionale/comunale – la rimozione del vincolo.
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento