La recente pronuncia delle Sezioni unite civili ha affrontato il tema dell’assegno in caso di scioglimento dell’unione civile. In particolare, i giudici hanno sostenuto la rilevanza del periodo di convivenza della coppia anche anteriore alla legge n. 76 del 2016.
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Indice
1. I fatti di causa
La questione risale allo scioglimento di un’unione civile di una coppia disposto con sentenza dal Tribunale di Pordenone. La sentenza definitiva disponeva il riconoscimento di un assegno pari ad euro 550,00 in base al rilievo assolto dalla funzione compensativo-risarcitoria avente ad oggetto la funzione di indennizzare le perdite di chances dovute alla mancata progressione della carriera lavorativa di un membro della coppia per esigenze legate all’indirizzo di vita familiare.
L’impugnazione della parte attrice veniva accolta dalla Corte d’appello di Trieste che rigettava la domanda della parte convenuta circa il riconoscimento dell’assegno con conseguente restituzione delle somme versate.
In particolare, la decisione trovava fondamento nell’irrilevanza del pregiudizio economico sortito dalla parte convenuta per le scelte di vita personale e lavorativa riconducibili all’unità dell’indirizzo di vita familiare.
Avverso la sentenza pronunciata in appello, la parte convenuta ricorreva in cassazione sostenendo che la Corte d’appello non avesse tenuto in considerazione la funzione compensativa-risarcitoria dell’assegno.
La prima Sezione civile, investita dalla questione, decideva di rimettere la decisione alle Sezioni Unite della corte di Cassazione per valutare, ai fini del contributo dell’assegno previsto dall’art. 5, comma sesto, della l. 1° dicembre 1970, n. 898, dei fatti antecedenti all’introduzione dell’unione civile prevista dall’art. 1 della l. n. 76 del 2016.
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2. La decisione delle Sezioni unite: l’importanza della convivenza nell’assegno a seguito dello scioglimento dell’unione civile
Nel caso di specie, la Sezione rimettente osservava la funzione assistenziale, perequativo-compensativa dell’assegno divorzile dopo il consolidamento nomofilattico avvenuto con la sentenza n. 18287 del 11-07-2018 delle Sezioni unite della Corte di cassazione. L’ordinanza interlocutoria ha rilevato, infatti, che l’entrata in vigore della legge n. 76/2016 non impedirebbe di dar rilievo ai fatti precedenti all’instaurazione dell’unione civile, sicché un’interpretazione di segno opposto darebbe luogo ad una discriminazione a discapito delle coppie omosessuali.
L’iter argomentativo seguito dalle Sezioni unite muove dall’interpretazione sistematica dell’art. 1, comma venticinquesimo, della legge n. 76 del 2016 che disciplina lo scioglimento dell’unione civile e dell’art. 5 della l. n. 898 del 1970 che prevede l’obbligo per il coniuge di fornire all’altro un assegno quando quest’ultimo non abbia mezzi adeguati al proprio sostentamento per ragioni oggettive tenendo in considerazione le condizioni dei coniugi, il contributo economico e personale dato dai coniugi per la conduzione familiare, il reddito e la durata del matrimonio.
Sul punto, le Sezioni unite hanno richiamato l’orientamento nomofilattico sostenuto dalla sentenza n. 18287 del 2018 che ha affermato la funzione assistenziale dell’assegno con riferimento all’inadeguatezza dei mezzi tali da “garantire la conservazione di un tenore di vita analogo a quello goduto in costanza di matrimonio” e dell’orientamento successivo che ha assegnato rilevanza alla funzione solidaristica del matrimonio, in coerenza a quanto previsto dall’art. 2 Cost. Infatti, al di là dell’insufficienza dei mezzi economici di uno dei coniugi, la funzione dell’assegno deve essere intesa in modo più ampio, sino ad includere i sacrifici lavorativi e reddituali riconducibili alla “soddisfazione delle esigenze comuni e quelle dell’altro coniuge”.
Di qui, l’interpretazione, sostenuta da successivi filoni interpretativi di legittimità, volta a sostenere che l’assegno divorzile non costituisca solo un rimedio di natura assistenziale ma anche perequativa compensativa.
Inoltre, il quadro giurisprudenziale e normativo dell’istituto dell’assegno divorzile è stato sottoposto ad un cambiamento di prospettiva dovuto alla rilevanza della convivenza di fatto: infatti, le rinunce lavorative e personali possono già avvenire in epoca precedente al matrimonio. La Cassazione, pur affermando che “la situazione di convivenza non è pienamente assimilabile al matrimonio, né sotto il profilo della stabilità, né sotto quello delle tutele offerte al convivente sia nella fase fisiologica che in quella patologica del rapporto, in quanto espressione di una scelta esistenziale libera e consapevole, cui corrisponde un’assunzione di responsabilità verso il partner e il nucleo familiare”.
L’importanza della convivenza di fatto rispetto alle nuove realtà sociali impone di estendere questo approccio anche alle unioni civili nell’attribuzione del contributo a seguito dello scioglimento del rapporto di coppia. Infatti, anche per le unioni civili, l’assegno deve costituire un rimedio perequativo-compensativo e non solo assistenziale.
I giudici ermellini hanno preso in considerazione anche l’interpretazione offerta dai giudici di Strasburgo nel caso Oliari e altri c. Italia del 21 luglio 2015 che aveva condannato lo Stato italiano per la violazione dell’art. 8 Cedu, in quanto l’ordinamento non aveva apprestato ancora alcuna tutela giuridica circa il riconoscimento formale delle coppie omosessuali, pertanto, l’unica strada percorribile era, di fatto, la convivenza.
3. Il principio di diritto
In ultima analisi, le Sezioni Unite hanno risolto il quesito posto dall’ordinanza interlocutoria della Prima sezione civile, con riferimento alla rilevanza nell’assegno della convivenza di fatto precedente all’entrata in vigore della legge n. 76 del 2016, affermando il seguente principio di diritto: “In caso di scioglimento dell’unione civile, la durata del rapporto, prevista dall’art. 5, sesto comma, della legge n. 898 del 1970, richiamato dall’art. 1, comma venticinquesimo, della legge n. 76 del 2016, quale criterio di valutazione dei presupposti necessari per il riconoscimento del diritto all’assegno in favore della parte che non disponga di mezzi adeguati e non sia in grado di procurarseli, si estende anche al periodo di convivenza di fatto che abbia preceduto la formalizzazione dell’unione, ancorché lo stesso si sia svolto in tutto o in parte in epoca anteriore all’entrata in vigore della legge n. 76 cit.”.
Le Sezioni Unite, infatti, hanno osservato che l’eventuale preclusione del periodo di convivenza della coppia, porterebbe ad un’inevitabile frustrazione delle finalità perseguite dalla legge n. 76 del 2016, dal momento che non troverebbero rilievo le scelte di vita compiute dalla coppia durante “la fase iniziale del rapporto”.
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