Il danno è biologico se la sofferenza diventa lesione: unità mente-corpo

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L’ordinanza (di rinvio) in commento si riferisce al calcolo dei danni post-operatori.
Apparentemente, nel caso concreto all’esame della Corte, si riferisce alla questione del calcolo del risarcimento, in primo grado valutato complessivamente circa 700mila euro e in appello quantificato in circa 100mila.
In realtà nella motivazione questa ordinanza si coglie un principio profondo e assolutamente rilevante, al punto che i primi commenti hanno cominciato a circolare in ambienti assicurativi, anche in pochissimi giorni dalla pubblicazione delle motivazioni.
In concreto la Corte riconduce – correttamente –  lo “stato psicopatologico depressivo” tra i presupposti della “personalizzazione del danno” ai fini della liquidazione complessiva del danno biologico.
In concreto se il danno psicologico (provato e dimostrato) risulta concomitante e causato dal danno biologico, ne costituisce parte integrante e va sommato a questo, e non va semplicemente ricondotto nell’ambito del danno “non patrimoniale”.
In chiave complessiva questo porta a riconoscere nel diritto, nel momento della quantificazione del danno, una unificazione (finalmente quindi anche giuridica) dell’unità mente-corpo, per cui l’uno non è su un piano differente dall’altra.
Particolarmente rilevante il fatto che la Corte indichi anche “dove e come” questa unità, in caso di danno – certo e provato – vada risarcito: il giudice di secondo grado dovrà, quindi, tenere conto che il danno biologico è unitario e non potrà addivenirsi ad una mera sommatoria algebrica delle percentuali di invalidità previste per il singolo organo o apparato, ma ad un apprezzamento funzionale e, per l’appunto, complessivo delle singole invalidità.
La giurisprudenza superiore in questo percorso, citata nelle stesse motivazioni, è oggettivamente recente (dal 2019 al 2023) e da un’attenta disamina pare mostrare un percorso progressivo verso questo riconoscimento che sembra sintetizzato quasi a livello riepilogativo nella presente ordinanza.

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Corte di Cassazione -sez. III civ.- ordinanza n.10787 del 22-04-2024

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Indice

1. Il principio: il danno da sofferenza a lesione


Là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita, non contenendosi sul piano di un’abituale, normale o comprensibile alterazione dell’equilibrio affettivo-emotivo del danneggiato, degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico, medicalmente accertabile come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cassazione civile, Sez. III, ordinanza 22 aprile 2024, n. 10787). Per approfondimenti si consiglia il seguente volume il quale ha la finalità di spiegare, orientare e far riflettere sulla introduzione delle “nuove” possibilità della giustizia civile: La Riforma Cartabia della giustizia civile

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2. Il ricorso


Il ricorso in Cassazione è stato proposto su dieci motivi. Tra questi quello rilevante per l’attuale commento è il quinto, qui sintetizzato
Con il quinto mezzo e prospettata, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., violazione e/o falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056 e 2059, c.c. e, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., nullità della sentenza ex art. 132, n. 4, c.p.c., art. 111 Cost., per avere la Corte territoriale erroneamente proceduto alla liquidazione del(l’accertato) danno psichico, subito come conseguenza del difficile decorso postoperatorio, a partire dal danno biologico, e cioè secondo una “personalizzazione” quantificata al 25% del danno biologico; essendo il danno psichico un’autonoma categoria di danno biologico, potendo lo stesso discendere tanto da danni fisici quanto da danni psicopatologici, avrebbe dovuto essere di conseguenza liquidato in via autonoma, valutando eventualmente l’opportunità di istruire apposita CTU.
In proposito, nelle parole della Corte “il “fatto” della vigilanza post-operatoria… è correlato proprio alla circostanza che il primo giudice aveva affermato la responsabilità anche del chirurgo … sul presupposto che “l’immediata diagnosi della lesione al nervo femorale […] avrebbe consentito di evitare proprio la sua complicanza al tendine, cioè l’evoluzione patologica che prospetta il CTU quale a suo avviso più probabile“.
Complicanza, questa, che, come detto, non può essere ascritta, secondo il criterio del “più probabile che non”, come derivante dalla lesione del nervo femorale.
[…] Questa Corte ha precisato che là dove la sofferenza soggettiva arrecata da un determinato evento della vita, non contenendosi sul piano di un’abituale, normale o comprensibile, alterazione dell’equilibrio a ffettivo-e motivo del danneggiato, degeneri al punto tale da assumere una configurazione medicalmente accertabile alla stregua di una vera e propria lesione della propria integrità psicologica, non più di un danno morale avrà a discorrersi, bensì di un vero e proprio danno biologico, medicalmente accertabile come conseguenza di una lesione psicologica idonea ad esplicare un’incidenza negativa sulle attività quotidiane e sugli aspetti dinamico-relazionali della vita del danneggiato (Cass. n. 6443/2023; Cass. n. 18056/2019).
[…] Nella specie, lo stesso giudice di appello ha riconosciuto condividendo quanto già accertato dal primo giudice, che le conseguenze derivate all’attrice dal decorso post-operatorio si sono tradotte in un “disturbo di adattamento con umore depresso di tipo cronico”, ossia in una situazione che ha trasceso il piano della sofferenza soggettiva, tale da mutare in una condizione psicologica di tipo patologico.
La Corte territoriale ha dunque errato nel ricondurre lo “stato psicopatologico depressivo” tra i presupposti della “personalizzazione del danno” non patrimoniale e “in una misura proporzionata al profilo psicoesistenziale, di una persona che all’epoca svolgeva un’attività lavorativa di impiegata con una ordinaria sfera di vita personale, indubbiamente penalizzata”, giacché avrebbe dovuto, ai fini della liquidazione complessiva del danno biologico, altresì prendere in considerazione il danno psichico allegato e provato.
A tal fine, essendosi in presenza di lesioni monocrone coesistenti – e cioè, di lesioni plurime riguardanti organi e funzioni diverse derivate da un medesimo evento dannoso – il giudice di secondo grado dovrà, quindi, tenere conto che il danno biologico è unitario, per cui la valutazione medico-legale delle singole menomazioni, che determinano un peggioramento globale della salute, deve essere complessiva (Cass. n. 8286/1996; Cass. n. 18328/2019).
In tal senso, non potrà, quindi, addivenirsi ad una mera sommatoria algebrica delle percentuali di invalidità previste per il singolo organo o apparato, ma ad un apprezzamento funzionale e, per l’appunto, complessivo delle singole invalidità, attraverso un corretto criterio medico-legale e in base ad un “barème” redatto con criteri di scientificità (Cass. n. 11724/2021; Cass. n. 19229/2022).
In siffatto contesto, poi, il giudice di merito dovrà considerare che il risarcimento spettante al danneggiato per il danno biologico – ordinariamente liquidato con il metodo c.d. tabellare in relazione a un “barème” medico legale che esprime in misura percentuale la sintesi di tutte le conseguenze ordinarie che una determinata menomazione presumibilmente riverbera sullo svolgimento delle attività comuni ad ogni persona – può essere incrementato in via di “personalizzazione” solo in presenza di conseguenze anomale o del tutto peculiari (tempestivamente allegate e provate dal danneggiato), mentre le conseguenze ordinariamente derivanti da pregiudizi dello stesso grado sofferti da persone della stessa età non giustificano alcuna “personalizzazione” in aumento (tra le altre: Cass. n. 27482/2018; Cass. n. 28988/2019; Cass. n. 5865/2021).

Michele Di Salvo

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