Quando ricorre la circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso nel caso utilizzo di un messaggio intimidatorio “silente“. Per approfondimenti sul dibattimento consigliamo: Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia
Indice
1. La questione: metodo mafioso con messaggio “silente”
Il Tribunale di Catanzaro, in sede di riesame di provvedimenti impositivi di misure cautelari personali, confermava un’ordinanza del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale che, a sua volta, aveva disposto la custodia cautelare in carcere in relazione ai reati di illecita concorrenza con violenza e minaccia ed estorsione, entrambi aggravati dall’art. 416-bis.1. cod. pen..
Ciò posto, avverso questo provvedimento il difensore dell’indagato ricorreva per Cassazione, adducendo un unico motivo, ossia: violazione di legge e vizio di motivazione in ordine alla ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza.
In particolare, tra le argomentazioni enunciate in questo mezzo di impugnazione, il legale sosteneva che, dalle risultanze investigative, sarebbero emerse la mancanza di soggezione delle presunte vittime verso il ricorrente e gli altri coindagati e l’assenza di contenuti minacciosi nelle condotte dell’indagato o di monopolizzazione dello spazio di mare antistante tale località, circostanza, quest’ultima, resa oggettivamente impossibile per le esigue risorse imprenditoriali del difeso. Per approfondimenti sul dibattimento consigliamo: Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia
Dibattimento nel processo penale dopo la riforma Cartabia
Nel presente volume viene esaminata una delle fasi salienti del processo penale, il dibattimento, alla luce delle rilevanti novità introdotte dalla Riforma Cartabia con l’intento di razionalizzare i tempi del processo di primo grado e di restituire ad esso standards più elevati di efficienza, come la calendarizzazione delle udienze, la ridefinizione della richiesta di prova e la nuova disciplina della rinnovazione della istruzione dibattimentale.L’opera, che contempla anche richiami alla nuovissima disciplina relativa al Portale deposito atti penali (PDP), è stata concepita come uno strumento di rapida e agile consultazione a supporto dell’attività dell’avvocato.Oltre a quelle previste dal codice di rito penale, la trattazione passa in rassegna tutte le ipotesi in cui si svolge il dibattimento, come il procedimento innanzi al giudice di pace, il processo penale minorile e quello previsto in materia di responsabilità degli enti.Il testo è corredato da tabelle riepilogative e richiami giurisprudenziali e da un’area online in cui verranno pubblicati contenuti aggiuntivi legati a eventuali novità dei mesi successivi alla pubblicazione.Antonio Di Tullio D’ElisiisAvvocato iscritto presso il Foro di Larino (CB) e giornalista pubblicista. Referente di Diritto e procedura penale della rivista telematica Diritto.it. Membro del comitato scientifico della Camera penale di Larino. Collaboratore stabile dell’Osservatorio antimafia del Molise “Antonino Caponnetto”. Membro del Comitato Scientifico di Ratio Legis, Rivista giuridica telematica.
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2. La soluzione adottata dalla Cassazione
La Suprema Corte riteneva il ricorso suesposto infondato.
Nel dettaglio, quanto alla sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 416-bis.1. cod.pen., per gli Ermellini, le valutazioni di contesto effettuate dal Tribunale rendevano ragione dell’uso del metodo mafioso, non necessariamente estrinsecantesi in minacce esplicite visto l’ambiente di riferimento connotato dalla presenza egemone di una locale di ‘ndrangheta, nonché della finalità di agevolazione della cosca posto il collegamento del ricorrente, emergente dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni accusatorie prima evidenziate, con gli indagati intranei al sodalizio (Sez. 5, Sentenza n. 17081 del 26/11/2014: Nel reato di estorsione, integra la circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente’, cioè privo di richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza e minaccia. Massime precedenti Conformi: N. 38964 del 2013; Sez. 1, n. 17532 del 02/04/2012. Vedi, anche, Sez. 2, n. 21707 del 17/04/2019; Sez. 2, n. 26002 del 24/05/2018; Sez. 3, n. 44298 del 18/06/2019).
3. Conclusioni
La decisione in esame desta un certo interesse essendo ivi chiarito, alla luce di precedenti conformi, quando ricorre la circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso nel caso utilizzo di un messaggio intimidatorio “silente’.
Si ribadisce difatti in questa pronuncia quanto già enunciato già dalla Cassazione in precedenti decisioni, ossia che, nel reato di estorsione (ma il discorso può valere anche per altri illeciti penali), integra la circostanza aggravante dell’uso del metodo mafioso l’utilizzo di un messaggio intimidatorio anche “silente’, cioè privo di richiesta, qualora l’associazione abbia raggiunto una forza intimidatrice tale da rendere superfluo l’avvertimento mafioso, sia pure implicito, ovvero il ricorso a specifici comportamenti di violenza e minaccia.
Pertanto, a queste condizioni, anche un messaggio di questo genere è idoneo ad integrare tale elemento accidentale.
Ad ogni modo, il giudizio in ordine a quanto statuito in codesta sentenza, poiché contribuisce a fare chiarezza su siffatta tematica giuridica sotto il versante giurisprudenziale, non può che essere positivo.
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