- Un singolare caso di usucapione abbreviata ex art.1159 cod. civile.
- Usucapibilità di un bene “pubblico” ma riconducibile alla categoria dei beni patrimoniale disponibile appartenente ad un ente territoriale.
- Esclusione della garanzia per evizione in caso di usucapione e allorquando il compratore abbia dato causa con il suo comportamento ala perdita del bene acquistato.
Si segnala all’attenzione dei lettori un recente e singolare caso di usucapione abbreviata relativo a una porzione immobiliare acquistata dall’ente territoriale (Comune) da parte di un istituto religioso e rivenduti successivamente a terzi che hanno posseduto in buona fede per oltre un decennio.
Questo in breve il riepilogo dei fatti: nel corso degli anni 30 l’istituto XX divenne proprietario di un cospicuo patrimonio immobiliare, situato nella zona del vescovato, a seguito di donazione. Nel 1987 l’istituto XX vendeva l’immobile al Comune . Nel 1989 l’istituto XX vendeva ai coniugi I e D un sottotetto trasformato in abitazione. La suddetta parte dell’abitazione risultava essere parte di quanto era già stato venduto al Comune.
I coniugi I e D , poiché sulla consistenza immobiliare avevano maturato il periodo di tempo necessario per l’usucapione decennale, considerata l’inerzia del Comune nel far valere il suo diritto, convenivano in giudizio il Comune per far valere il loro diritto di proprietà sull’immobile. Il Comune si costituiva in giudizio eccependo l’inammissibilità della domanda sostenendo che il cespite immobiliare appartenesse alla categoria giuridica di bene pubblico e quindi non usucapibile. Il Comune sollevava altre eccezioni tra cui la nullità del titolo di acquisto e infine proponeva domanda di riconvenzionale per la consegna della porzione immobiliare e domanda di evizione nei confronti dell’Istituto venditore.
Nell’interessante , articolata e pregevole decisione del Tribunale di Torre Annunziata sezione di Castellammare di Stabia il giudice monocratico dr.Giovanni Caparco, – richiamando la normativa del codice canonico (canoni 1530 e segg. C.j.c. del 1917 e canoni 1291 e segg. C.j.c. del 1983) e le modifiche apportate al Concordato con l’accordo firmato a Roma in data 18.2.1984 ha escluso la nullità del contratto di compravendita da parte di soggetto privo della qualifica di rappresentante legale dell’ente religioso (falsus procurator), ritenendo che: “l’amministrazione dei beni appartenenti agli enti ecclesiastici è da ritenersi soggetta esclusivamente ai controlli previsti dal diritto canonico, salva l’applicazione delle leggi statali italiane relativi agli acquisti delle persone giuridiche”.
Non va sottaciuto che per costante giurisprudenza della Suprema Corte (Cass. 93/ 5418; Cass. 83/5287), pur dovendosi riconoscere efficacia in Italia ai controlli esercitati secondo le norme canoniche, le quali acquistano forza di legge nell’ordinamento italiano in virtù di rinvio formale, la mancanza di licentia può essere dedotta soltanto dall’ente ecclesiastico nel cui interesse il controllo avrebbe dovuto essere svolto e non anche dall’altro contraente.
Inoltre, è stata dichiarata infondata l’eccezione di non usucapibilità della porzione immobiliare oggetto di causa richiamando la giurisprudenza di legittimità a sezioni unite (Cass. ss.uu. 99/391) secondo cui “affinché un bene immobile non appartenente al demanio necessario possa collocarsi nella categoria dei beni patrimoniali indisponibili destinati ad un pubblico servizio, regolata dall’art. 826 c.c. ed assoggettata al regime di cui all’art. 828, comma 2, c.c., non è sufficiente la determinazione amministrativa di destinare quel determinato bene ad un pubblico servizio, ma occorre anche l’effettiva ed attuale utilizzazione in conformità alla destinazione ad esso impressa” e rilevando che nella fattispecie non era stata provata in alcun modo l’esistenza di un atto amministrativo di destinazione del bene in questione ad uffici comunali, essendo anzi evidente l’insussistenza dell’ulteriore requisito della effettiva ed attuale destinazione del bene de quo alla finalità per esso soltanto ipotizzata dall’ente pubblico.
Alla stregua di tali considerazioni il Giudice ha ritenuto che il cespite immobiliare oggetto di causa non può che ritenersi riconducibile alla categoria dei beni patrimoniali disponibili appartenenti all’ente territoriale, i quali sono beni di proprietà privata della pubblica amministrazione e, come tali, sono soggetti alle comuni regole del diritto privato, ad eccezione della sola alienazione che deve sempre avvenire nelle forme del diritto pubblico (pubblici incanti, asta pubblica o licitazione privata).
Nel rigettare la domanda riconvenzionale, la domanda di garanzia e quella di risarcimento danni avanzata dal Comune, il Giudice – condividendo l’orientamento della Suprema Corte (Cfr. Cass. 95/945 e Cass. 81/3249) – ha evidenziato l’inerzia del Comune , il quale non solo non ha proceduto ad immettersi nel possesso del bene acquistato nel 1987, ma non ha dato neppure prova di aver posto in essere alcun atto inteso a contestare l’avvenuta occupazione del bene acquistato dall’Istituto Religioso da parte degli odierni attori, occupazione definita “abusiva” solo con la comparsa di costituzione nel presente giudizio ed ha chiarito che per l’ipotizzabilità dell’evizione è necessario che l’evento che l’ha determinata,anche se verificatosi in concreto successivamente ,debba attribuirsi ad una causa preesistente alla conclusione del contratto escludendo,peraltro, che la garanzia per evizione sia dovuta allorquando il compratore abbia dato causa con il suo comportamento alla perdita del bene acquistato. Nel caso di specie, infatti, non è possibile sottacere
In definitiva ,il Giudice con la complessa ed articolata decisione ha chiarito come sia possibile applicare il disposto dell’art. 1159 C.C. anche nell’ipotesi di doppia alienazione immobiliare, quando il secondo acquirente abbia trascritto il suo titolo dopo la trascrizione effettuata dal primo, ma abbia posseduto in buona fede per dieci anni.
In definitiva, nel caso in esame appaiono pienamente sussistenti i requisiti oggettivi dell’usucapione abbreviata di cui all’art. 1159 C.C., risultando, quindi, l’avvenuta trascrizione del titolo astrattamente idoneo e il decorso del termine decennale da quest’ultima.
A parere del giudice non sussistono neppure elementi in grado di escludere la buona fede in capo agli attori. Infatti, gli stessi non sono stati assolutamente posti in grado di accertare, o comunque, anche solo di dubitare, che l’alienante non fosse proprietario di una parte del bene venduto a mezzo della verifica catastale , riportante dati del tutto inesatti e non corrispondenti alla realtà fattuale, ovvero a mezzo dei registri nei quali è effettuata la trascrizione delle alienazioni, giacchè quest’ultime non identificano in modo chiaro i beni in oggetto.
Avv. Luigi Vingiani
Scrivi un commento
Accedi per poter inserire un commento