Va annullata senza rinvio la sentenza di patteggiamento che, ritenendo erroneamente l’istituto della continuazione, abbia illegittimamente qualificato come plurimi reati fatti distinti suscettibili di integrare un’unica fattispecie incriminatrice

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 (Annullamento senza rinvio)

(Riferimento normativo: Cod. proc. pen. art. 448, c. 2-bis).

Il fatto 

Il Tribunale di Verona aveva applicato a J. E. Z. la pena di anni uno e mesi otto di reclusione e 1.800 Euro di multa per i reati, riuniti nel vincolo della continuazione, di detenzione a fini di spaccio di sostanze stupefacenti di tipo hashish ed eroina, ritenuti di lieve entità e qualificati come plurime violazioni dell’art. 73, comma 5, T.U. stup..

I motivi addotti nel ricorso per Cassazione

Avverso questo provvedimento proponeva ricorso per cassazione, per il tramite del difensore, l’imputato adducendo i seguenti motivi: a) violazione dell’art. 73, comma 5, T.U. stup. e dell’art. 81 cod. pen. per essere stata ritenuta la pluralità di reati – riuniti nel vincolo della continuazione – pur in presenza di un’unica condotta di contestuale, illecita, detenzione di sostanze stupefacenti di tipo diverso; b) violazione dell’art. 81, commi 3 e 4, cod. pen. per essere stato violato il divieto del ricorso al cumulo giuridico quando ciò comporti l’irrogazione di una pena superiore a quella determinabile utilizzando il metodo del cumulo materiale, essendo stata nella specie applicata a titolo di aumento per la continuazione per un fatto di minima gravità una pena superiore al minimo edittale di mesi sei di reclusione, senza motivare sul punto.

Le valutazioni giuridiche formulate dalla Cassazione

Il Supremo Consesso accoglieva il ricorso ritenendo fondato il primo motivo alla stregua delle seguenti considerazioni.

Si osservava in via preliminare che, in relazione al suddetto motivo l’impugnazione, il ricorso proposto fosse da ritenersi ammissibile, pur a seguito della “novella” attuata con art. 1, comma 50, I. 23 giugno 2017, n. 103, che ha introdotto la nuova disposizione di cui all’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen. che, in deroga a quanto in via generale stabilito dall’art. 606, comma 1, cod. proc. pen., dispone che contro la sentenza di patteggiamento può essere proposto ricorso per cassazione «solo per motivi attinenti all’espressione della volontà dell’imputato, al difetto di correlazione tra la richiesta e la sentenza, all’erronea qualificazione giuridica del fatto e all’illegalità della pena o della misura di sicurezza» tenuto conto del fatto che, non avendo l’imputazione fatto alcun espresso riferimento al concorso omogeneo di reati od al reato continuato, né menzionato l’art. 81 cod. pen., l’essere stata ritenuta dalle parti – e ratificata dal giudice – l’ipotesi della pluralità di reati ricondotta all’istituto della continuazione) costituiva, ad avviso della Corte, una questione attinente la qualificazione giuridica del fatto ascritto (cfr. Sez. 4, n. 10692 del 11/03/2010).

Ciò posto, si faceva altresì presente che, sulla scia di un orientamento già in precedenza consolidato (v. Sez. 7, ord. n. 39600 del 10/09/2015, dep. 2015, omissis, Rv. 264766; Sez. 3, n. 34902 del 24/06/2015, omissis, Rv. 264153; Sez. 6, n. 15009 del 27/11/2012, dep. 2013, omissis, Rv. 254865), fosse stato di recente affermato, ad avviso della Corte, condivisibilmente, che, in tema di applicazione della pena su richiesta delle parti, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo, ai sensi dell’art. 448, comma 2-bis, cod. proc. pen., introdotto dall’art. 1, comma 50, della legge 23 giugno 2017, n. 103, l’erronea qualificazione del fatto contenuto in sentenza, è limitata ai soli casi di errore manifesto, con conseguente inammissibilità della denuncia di errori valutativi in diritto che non risultino evidenti dal testo del provvedimento impugnato (Sez. 1, n. 15553 del 20/03/2018), vale a dire,  anche a seguito della richiamata “novella“, la possibilità di ricorrere per cassazione deducendo l’erronea qualificazione giuridica del fatto è limitata ai casi in cui tale qualificazione risulti, con indiscussa immediatezza, palesemente eccentrica rispetto al contenuto del capo di imputazione e la verifica va compiuta esclusivamente sulla base dei capi di imputazione, della succinta motivazione della sentenza e dei motivi dedotti in ricorso (Sez. 6, ord. n. 3108 del 08/01/2018).

Chiarito ciò, gli ermellini giungevano a postulare il principio di diritto secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento che, ritenendo erroneamente l’istituto della continuazione, abbia illegittimamente qualificato come plurimi reati fatti distinti suscettibili di integrare un’unica fattispecie incriminatrice, all’error in iudicando non può porsi rimedio con l’eliminazione della relativa frazione di pena applicata in aumento, dovendosi invece annullare la sentenza impugnata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice procedente per consentire alle parti di rinegoziare l’accordo, facendo questo in conformità  con quanto ripetutamente affermato di recente dalla stessa Cassazione, in discontinuità con altro, più risalente, orientamento (cfr. Sez. 5, n. 7453 del 16/10/2013, dep. 2014, omissis, Rv. 259529; Sez. 2, n. 35492 del 23/05/2012, omissis, Rv. 253889) secondo cui, in caso di patteggiamento per una pluralità di reati uniti dal vincolo della continuazione, il proscioglimento, nel corso del giudizio, per una qualsiasi causa, per uno dei cd. reati satellite non determina la caducazione dell’intero accordo, ma solo l’eliminazione della pena prevista per il suddetto reato, a condizione che nella motivazione della sentenza siano indicati i singoli aumenti da applicare per ciascun reato e non sia riportata la sola pena finale complessiva, non sussistendo, in tale ipotesi, il pericolo di un’indebita alterazione del profilo negoziale della pronuncia (Sez. 1, n. 23171 del 01/03/2018, omissis, Rv. 273378; Sez. 3, n. 39521 del 20/07/2017, omissis, Rv. 271022; Sez. 3, n. 40320 del 22/06/2016, omissis, Rv. 267758).

Si evidenziava, in particolare, che se questo diverso orientamento postula che l’accordo abbia ad oggetto fatti penalmente rilevanti obiettivamente diversi, con riguardo ad alcuno dei quali sia stata successivamente apprezzata l’irrilevanza penale (ad esempio per intervenuta depenalizzazione o per essere stato ritenuto assorbito in altro reato) senza che la valutazione incida sull’esistenza e gravità dei residui reati, con conseguente inidoneità a caducare l’accordo intervenuto sui medesimi, quando, invece – come nella specie – le diverse condotte (illecita detenzione di hashish e di cocaina), erroneamente sussunte nel reato continuato piuttosto che in un’unica violazione di legge, sussistano e abbiano di per sé disvalore penale, conservare la frazione di pena che era stata negoziata avendo a mente soltanto uno dei profili di illiceità (vale a dire la detenzione di sostanza ritenuta integrare la maggior offesa dell’interesse protetto) ed elidere la frazione di pena attribuita (sia pur con l’erroneo ricorso al cumulo di reati) all’ulteriore profilo di condotta, significherebbe, ad avviso della Corte, incidere sui presupposti dell’accordo ed impedire che, ai fini della determinazione della pena, sia considerata la complessiva gravità dell’unico reato riconoscibile.

Tal che, alla luce delle considerazioni sin qui esposte, se ne faceva conseguire l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata e la contestuale trasmissione degli atti al Tribunale di Verona per l’ulteriore corso.

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Conclusioni

La sentenza in questione è sicuramente condivisibile in quanto basata su un ragionamento giuridico basato su precedenti giurisprudenziali di segno conforme.

Il principio di diritto ivi affermato secondo il quale, in tema di ricorso per cassazione avverso la sentenza di patteggiamento che, ritenendo erroneamente l’istituto della continuazione, abbia illegittimamente qualificato come plurimi reati fatti distinti suscettibili di integrare un’unica fattispecie incriminatrice, all’error in iudicando non può porsi rimedio con l’eliminazione della relativa frazione di pena applicata in aumento, dovendosi invece annullare la sentenza impugnata senza rinvio con trasmissione degli atti al giudice procedente per consentire alle parti di rinegoziare l’accordo, non può non essere preso nella dovuta considerazione ove si verifichi una situazione analoga a quella trattata in questa decisione.

Pur tuttavia, la sussistenza di un orientamento nomofilattico di segno contrario, pur non ritenuto dalla Cassazione pertinente al caso di specie, renderebbe forse opportuno l’intervento delle Sezioni Unite al fine di dare certezza del diritto in ordine a tale problematica giuridica.

 

 

 

 

Sentenza collegata

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Avv. Di Tullio D’Elisiis Antonio

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