1) La fattispecie
La sentenza del Tribunale di Milano n. 4471 del 25 marzo / 31.10.2009, in calce riportata, affronta due interessanti questioni, relative: alla validità della procura (speciale) alle liti rilasciata all’estero, riferita ad un giudizio pendente in Italia, mediante scrittura privata autenticata; ai titoli di giurisdizione in tema di rapporto di lavoro all’estero prestato da un cittadino italiano.
Per quanto concerne il primo aspetto, in particolare, la fattispecie riguardava una procura alle liti sottoscritta dal legale rappresentante della persona giuridica ricorrente in giudizio (in opposizione a decreto ingiuntivo) “dinanzi a pubblico ufficiale operante presso il Consolato Generale d’Italia in Tripoli che in calce alla relativa sottoscrizione ha apposto la dicitura “Visto per l’autenticità della firma del ********* apposta in mia presenza. Tripoli 28 febbraio 2008”.
La parte resistente aveva eccepito la nullità di detta procura principalmente sulla scorta di due rilievi: 1) non avere dato atto il soggetto autenticante della previa identificazione del firmatario rappresentato; 2) la carenza di qualità di “dipendente ministeriale” del soggetto autenticante, “assunto con contratto locale”.
Di seguito di vedrà come il Tribunale ha affrontato i due profili (paragrafi nn. 2 e 3).
La sentenza, come detto, prende poi in esame i diversi titoli di giurisdizione relativi al rapporto di lavoro all’estero, come disciplinati dalla L. 218/1995, con particolare riferimento all’art. 3 di quest’ultima, e all’esistenza di un rappresentante del datore di lavoro in Italia, ex art. 77 c.p.c. (v. infra, paragrafo n. 4).
2) Le linee fondamentali in tema di autenticazione della firma
Per affermare la validità della procura alle liti, della quale la parte resistente aveva eccepito la nullità, il Tribunale ha fatto corretta applicazione dell’art. 12 L. 218/1995 (“Il processo civile che si svolge in Italia è regolato dalla legge italiana”), così come interpretato, proprio in tema di procura alle liti, dalla giurisprudenza di legittimità.
Ha ritenuto infatti la Suprema Corte (ordinanza 5.05.2006, n. 10312, citata nella sentenza in commento) che:
“Per il disposto dell’art. 12, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della "lex loci", occorrendo, però, che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell’ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore. (Nella specie, le S.U., sulla scorta dell’enunciato principio, hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura, rilevando che quest’ultima era stata validamente conferita con atto redatto in conformità alla "lex loci", nel Regno unito, da un notaio con forme equivalenti, nella forma e nell’efficacia, a quelle previste dalla legge italiana di diritto processuale, essendo stato, in particolare, riscontrato, in funzione della verifica del rispetto del precetto della "lex fori" italiana, che dall’autenticazione notarile era chiaramente desumibile che la sottoscrizione dei mandanti era stata apposta alla presenza del notaio e che questi aveva accertato l’identità dei sottoscrittori, anche se poi era risultato – ma irrilevantemente ai fini della ritualità del rilascio della procura – che tale autenticazione non era stata redatta nello stesso giorno in cui era avvenuta la sottoscrizione, bensì successivamente). della legge 31 maggio 1995, n. 218
Conformi, si ricordano, fra le molte:
ü Cass. 25 maggio 2007, n. 12309:
“Ai sensi dell’art. 12, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, laddove consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale; in tali ipotesi la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della "lex loci" essendo in ogni caso indispensabile che dal tenore della procura siano desumibili gli elementi tipici dell’autenticazione, e cioè accertamento della identità del sottoscrittore e apposizione della firma in presenza del pubblico ufficiale. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che aveva ritenuto la nullità della procura per mancanza di autenticazione, qualificando come mera legalizzazione l’attestazione "vu" apposta del notaio svizzero in data diversa dalla firma)” della legge 31 maggio 1995, n. 218;
ü Cass. 30 settembre 2005, n. 19214 (motivazione): “Occorre allora ricordare che la validità della procura rilasciata all’estero dalla parte al proprio difensore, perchè la rappresenti in giudizio dinanzi all’autorità giudiziaria italiana, è soggetta alla legge italiana (cfr., in tal senso, Sez. un. 15 gennaio 1996, n. 264, e Cass. 17 settembre 2002, n. 13578). E, se pur si voglia ritenere insito nella legge processuale italiana un rinvio alla legge sostanziale straniera per quel che concerne i requisiti di validità del mandato rilasciato al difensore in atto pubblico o in scrittura privata autenticata, bisogna comunque che il diritto straniero quanto meno conosca i suddetti istituti, e che li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell’ordinamento italiano. Le quali implicano rigorose formalità per il rilascio della procura alle liti: formalità che in particolare consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza (si veda Cass. 12 luglio 2004, n. 12821)”;
ü Cass. 12 luglio 2004, n. 12821:
“Per il disposto dell’art. 12, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla nostra legge processuale, la quale tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della "lex loci"; occorre però che il diritto straniero quanto meno conosca i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che li caratterizzano nell’ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza”. della legge 218 del 1995
Ebbene: le “linee fondamentali” dell’ordinamento italiano, cui il diritto sostanziale straniero deve, per quanto si è visto, essere conforme, sono quelle previste dall’art. 83 c.p.c., e – per quanto qui più rileva – dall’art. 2703 cod. civ., il cui secondo comma stabilisce che “L’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l’identità della persona che la sottoscrive”.
Peraltro, ciò che deve essere dichiarato dal pubblico ufficiale è che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza, mentre la previa identificazione del firmatario è attività presupposta, ma che non è necessario compaia nell’atto di autentica.
3) La delega delle funzioni notarili
Il Tribunale ha altresì correttamente respinto l’eccezione di nullità della procura, che era stata sostenuta dalla parte resistente stante la “mancanza della qualità di “dipendente ministeriale” del soggetto che… [presso il Consolato Generale d’Italia in Tripoli] ha provveduto all’autenticazione della firma del sig. M.A.”, in quanto lo stesso sarebbe stato assunto con “contratto locale”.
Sul punto, non si può che richiamare innanzitutto l’art. 45, II comma, D.P.R. 18/1967 (Ordinamento dell’Amministrazione degli affari esteri), che prevede:
“L’ufficio consolare esercita, in conformità al diritto internazionale, le altre funzioni ad esso attribuite dall’ordinamento italiano, in particolare in materia di stato civile, notariato, amministrativa e giurisdizionale”.
E poi la lettera dell’art. 4 D.P.R. 200/1967 (Disposizioni sulle funzioni e sui poteri consolari):
Non può tuttavia formare oggetto di delega a personale non appartenente alle carriere direttive l’esercizio delle funzioni e dei poteri inerenti alla giurisdizione o comunque connessi con questa, di quelli disciplinari in materia di navigazione, di quelli notarili salvo per quanto concerne le autenticazioni e le procure generali e speciali, nonché di quelli il cui esercizio è, a norma degli articoli seguenti, esplicitamente attribuito al capo dell’ufficio consolare”.
Da qui l’irrilevanza della qualificazione del rapporto di lavoro del soggetto autenticante con il Consolato.
4) I titoli di giurisdizione ex L. 218/1995
Il Tribunale ha in primo luogo esaminato la norma di cui all’art. 3, I comma, L. 218/1995, a mente del quale “La giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge”.
In proposito, dalla sentenza in esame risulta pacifico che l’opponente avesse sede unicamente in Tripoli; in Italia sarebbe stato invece residente il suo legale rappresentante.
Ebbene, il Tribunale di Milano, facendo corretta applicazione della norma citata e dell’art. 77 c.p.c., ha ricordato non essere sufficiente, a fondare la giurisdizione italiana, che in Italia risieda un rappresentante della parte convenuta: ciò di cui occorre avere riguardo è che in Italia vi sia “un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’articolo 77 del codice di procedura civile”. Occorre, in altre parole, che il rappresentante presti la sua attività in Italia, e che la parte convenuta sia domiciliata presso di lui.
Detta interpretazione ha trovato ampia conferma in giurisprudenza, ricordandosi in questa sede:
ü Cass. S.U. Ord. 5 maggio 2006, n. 10312 (citata dal Tribunale di Milano):
“Ai sensi del primo comma dell’art. 3, ai fini dell’individuazione del criterio di collegamento che radica la competenza giurisdizionale è stato abbandonato il riferimento generale al requisito della cittadinanza, così come al criterio della reciprocità, attribuendosi rilievo, non solo al domicilio o alla residenza del convenuto straniero (conformemente ai principi dettati dalla convenzione di Bruxelles del 27 settembre 1968), ma anche alla circostanza dell’esistenza di un rappresentante in Italia di tale convenuto che sia autorizzato a stare in giudizio ai sensi dell’art. 77 cod. proc. civ. (Nella specie, sulla scorta dell’enunciato principio, le S.U., in relazione ad una controversia instaurata nei confronti di una banca con sede in Tokyo avente ad oggetto la declaratoria dell’inefficacia e dell’inopponibilità nei confronti di una società italiana dei contratti intercorsi all’estero tra una ditta straniera e la predetta banca e la condanna di queste ultime al risarcimento del danno procurato dall’invio di una richiesta di pagamento da parte dello stesso istituto di credito estero, hanno dichiarato la sussistenza della giurisdizione italiana sul presupposto che la banca giapponese aveva una filiale in Italia con un rappresentante legale munito di procura generale idonea a produrre gli effetti di cui all’art. 77 cod. proc. civ., senza che potesse incidere sull’affermazione dell’indicata giurisdizione la diversa determinazione della competenza territoriale interna, involgendo tale eventualità una questione non deducibile in sede di regolamento preventivo di giurisdizione)” della legge 31 maggio 1995, n. 218;
ü Cass. S.U. 2 maggio 1994, n. 4181:
“Il principio per cui l’imprenditore straniero che abbia all’estero la sede principale della sua attività può essere convenuto in giudizio davanti al giudice italiano ove abbia in Italia una sede secondaria dell’impresa cui sia preposto un institore, che deve presumersi munito, per la sua qualità, del potere di rappresentarlo in giudizio, si fonda su tale presunzione, ai sensi dell’art. 77 c.p.c. e non già sulla mera circostanza di siffatta ubicazione della detta sede secondaria, la quale non implica di per sé il conferimento alla persona ad essa preposta di poteri institori riguardanti tutti i rapporti dell’impresa. Ne consegue che, in caso di rapporto di lavoro sorto e svoltosi all’estero, la domanda del lavoratore avente ad oggetto il pagamento di indennità ed emolumenti derivanti dal rapporto medesimo e dalla sua estinzione, ove non possa operare alcuno degli altri emolumenti di collegamento di cui all’art. 4 c.p.c., esula dalla giurisdizione italiana, senza che possa contrariamente argomentarsi dalla semplice presenza nel territorio nazionale di un legale rappresentante dell’impresa preposto alla suddetta sede secondaria, del quale non sia provata né la titolarità né l’estensione di poteri institori”.
Il Tribunale, ritenuta l’assenza in Italia di un rappresentante ex art. 77 c.p.c. della parte opponente, ha ritenuto quindi non riferibile alla fattispecie l’art. 3, I comma, L. 218/1995.
Altro titolo di giurisdizione è quello portato dall’art. 3, II comma, prima frase, che recita:
Ebbene, l’art. 5, n. 1, della Convenzione di Bruxelles stabilisce che:
“in materia di contratto individuale di lavoro, il luogo è quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività”.
In tema: Trib. Milano 31.01.2003, RCDL, 2003, 1017:
“Ai sensi della L. 31 maggio 1995 n. 218 vi è difetto di giurisdizione del Giudice italiano chiamato a decidere della controversia promossa da cittadino italiano il cui rapporto di lavoro con soggetto straniero sia sorto e si sia svolto unicamente all’estero.
L’art. 5 n. 1 della Convenzione di Bruxelles del 27/9/1968, che consente di citare il convenuto avanti al Giudice dello Stato contraente in cui è stata o deve essere eseguita l’obbligazione dedotta in giudizio, deve essere interpretato, con riferimento al contratto di lavoro, nel senso che è competente il Giudice del luogo ove il lavoratore svolge abitualmente la propria attività”.
Correttamente, dunque, nel caso di specie il Tribunale, accertato che il rapporto di lavoro si era sempre svolto in Libia, Tripoli, ha ritenuto l’insussistenza della giurisdizione italiana.
Infine, altro titolo di giurisdizione è portato dall’art. 4, I comma, che prevede: “Quando non vi sia giurisdizione in base all’art. 3, essa nondimeno sussiste se le parti l’abbiano convenzionalmente accettata e tale accettazione sia provata per iscritto…”, ciò che il Tribunale ritiene essere avvenuto nella fattispecie, sia pure con la contestazione del lavoratore.
Il Tribunale ha quindi dichiarato l’insussistenza della giurisdizione italiana, e quindi la nullità del decreto ingiuntivo opposto.
avvocato in Milano
REPUBBLICA ITALIANA
TRIBUNALE DI MILANO – SEZIONE LAVORO
In nome del popolo italiano
Il Giudice Unico di Milano, dott. ***************, in funzione di giudice del lavoro, ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nella causa n. 2182/08 promossa da
ENTE GESTORE DELLA SCUOLA ITALIANA "A.M.", con gli avv.ti ***** e ******************** di Milano, via Fontana, 16
contro
M.V., con gli avv.ti *****************, *********** del Foro di Cagliari e ***************** di Milano V.le Caldara, 32
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
Con ricorso depositato il 13/3/08 l’Ente Gestore della Scuola Italiana "A.M." proponeva opposizione al decreto ingiuntivo notificatogli il 4/2/08 dalla sig.ra V.M. ed avente ad oggetto il pagamento della somma di € 17.207,24 oltre interessi, rivalutazione e spese, a titolo di retribuzioni ordinarie, dovute per il periodo dicembre 2003 – giugno 2004, e TFR.
La sig.ra M. aveva ottenuto il predetto decreto ingiuntivo deducendo che aveva lavorato alle dipendenze della Scuola L.R. "A.M." dal dicembre 1992 al giugno 2004 con la qualifica di assistente di scuola materna fino al giugno 1995 e di insegnante fino alla cessazione del rapporto avvenuto per licenziamento intimato con lettera del 27/4/07; che il rapporto di lavoro era regolamentato dal CCNL per i dipendenti delle Scuole Private; che la scuola in questione era gestita dai dipendenti dell’A. Italia ed era legalmente riconosciuta dallo Stato Italiano usufruendo di contributi statali; che dal mese di dicembre 2003 ella era stata assente in malattia e che la scuola datrice di lavoro aveva omesso il pagamento della retribuzione da tale momento nonché delle competenze di fine rapporto.
L’Ente ricorrente esponeva a sostegno della propria opposizione che la Scuola Italiana “A.M.” era un’istituzione privata fondata in Libia, al fine di garantire l’istruzione primaria e secondaria degli studenti italiani e di altre nazionalità in età scolare, era gestita da un Ente composto dall’Assemblea generale dei Soci e dal Consiglio di Amministrazione e tanto la Scuola che l’Ente gestore non avevano altra sede se non quella di Tripoli; che tra la Scuola e la sig.ra M., alla quale era stato conferito l’incarico di insegnante di scuola materna, era stato stipulato in data 13/9/1995 un contratto di lavoro locale, a tempo determinato di un anno, poi rinnovato di anno in anno; che la sede di lavoro era stata individuata in Tripoli ove la stessa era domiciliata nei rapporti con la scuola; che il contratto di lavoro prevedeva l’applicazione delle leggi del lavoro e della previdenza e delle altre regole della legislazione libica nonché la giurisdizione libica; che non era vero che il rapporto di lavoro fosse regolato dal CCNL richiamato dalla sig.ra M.
Deduceva inoltre, nel merito, che per i periodi di assenza dal lavoro la sig.ra M. aveva presentato certificati medici invalidi secondo la legge libica e che il rapporto di lavoro si era risolto "automaticamente" il 27/4/2004; che la legge libica non prevedeva alcun trattamento di fine rapporto.
Ciò premesso l’opponente eccepiva la carenza di giurisdizione dell’Autorità Giudiziaria Italiana; l’incompetenza territoriale del Tribunale di Milano; l’inapplicabilità al rapporto di lavoro della legge italiana; in subordine a tutte le predette eccezioni e nel merito comunque l’infondatezza della pretesa di pagamento della sig.ra M.
Concludeva pertanto chiedendo al giudice adito di revocare, ovvero di dichiarare nullo e comunque annullare il decreto ingiuntivo n. 40485 del 29/10-21/11/2002 emesso dal Tribunale di Milano; accertare il difetto di giurisdizione del giudice italiano, in subordine l’incompetenza del Tribunale di Milano; ancora in subordine, rigettate le domande in quanto infondate in fatto ed in diritto, dichiarare che l’Ente Gestore della Scuola Italiana "A.M." nulla deve alla sig.ra V.M.
Si costituiva l’opposta sig.ra M. eccependo in via preliminare la nullità della procura alle liti con la quale il sig. A.M., Presidente del C.d.A della Scuola, aveva conferito mandato agli avv.ti ************ per proporre opposizione al decreto ingiuntivo, in quanto nel relativo atto depositato dall’opponente non si rinveniva la necessaria attestazione del pubblico ufficiale che il documento era stato firmato in sua presenza previa identificazione del suo autore ma solo un visto inidoneo allo scopo. Rilevava, sotto lo stesso profilo, che la nullità della procura derivava dal fatto che l’autenticazione risultava essere avvenuta il giorno prima del suo rilascio, che la "procura" non aveva i requisiti di un atto pubblico e/o di una scrittura privata autenticata, ed ancora, che il soggetto che aveva autenticato la firma non era un dipendente ministeriale, ma era stato assunto con contratto "locale".
In ordine alla giurisdizione eccepiva che non conoscendo ella la lingua araba, ed avendo appreso solo nel presente giudizio che il contratto sottoposto alla sua firma non era attinente, come le era stato a suo tempo prospettato, a semplici adempimenti burocratici, doveva essere annullata la clausola del contratto che prevedeva l’applicazione della legge libica e la giurisdizione libica, per vizio del consenso.
Rilevava in ogni caso che il legale rappresentante della Scuola "A.M.", autorizzato a stare in giudizio era residente in Italia (nel Comune di Opera).
Sosteneva poi che al rapporto di lavoro dedotto nel procedimento monitorio doveva applicarsi la legge italiana in quanto la legge libica, pur astrattamente applicabile in virtù del luogo ove era stata resa la prestazione, era manifestamente incompatibile con l’ordine pubblico italiano, non prevedendo l’erogazione di un TFR.
Nel merito sosteneva la natura subordinata del rapporto intercorso tra le parti, il diritto al pagamento dell’indennità di malattia e delle competenze di fine rapporto e concludeva in via preliminare per la declaratoria di nullità della procura rilasciata agli avv.ti ************ e per l’effetto la declaratoria di inammissibilità dell’opposizione; in via principale per il rigetto dell’opposizione ed in via subordinata per la condanna della Scuola "A.M." al pagamento della somma di € 17.207,24 oltre rivalutazione ed interessi; con vittoria di spese.
Tentata senza esito la conciliazione delle parti ed autorizzato l’opponente al deposito di nota di replica sulla sola eccezione della nullità della procura; acquisita documentazione prodotta dall’opposta, la causa veniva successivamente discussa e decisa come da dispositivo di cui il giudice dava lettura.
L’eccezione di nullità della procura rilasciata ai difensori dell’opponente deve essere disattesa.
Rilevato anzitutto che non si comprende l’eccezione relativa alla mancanza della qualità di "dipendente ministeriale" del soggetto che in data 28/2/2008 (doc. B di parte opponente) ha provveduto all’autenticazione della firma del sig. M.A. (Presidente del C.d.A. dell’Ente Gestore della Scuola "A.M."), solo perché in calce all’autentica è apposta la dicitura "assistente amministrativo a contratto LI" (tra l’altro parte opponente ha fatto rilevare che a mente dell’art. 4 DPR 200/1967 non possono essere delegate a personale non appartenente alle carriere direttive le funzioni notarili, "salvo per quanto concerne le autenticazioni e le procure generali e speciali”), si ricorda che la procura alle liti rilasciata all’estero, per un giudizio che si svolge in Italia, deve essere equivalente nelle sue modalità a quanto prevede la legge italiana di diritto processuale ai sensi dell’art. 12 L. 218/1995.
La procura di cui si discute, apparentemente sottoscritta il 29 febbraio 2008 è stata Autenticata presso il Consolato Generale d’Italia in Tripoli il 28/2/08 da un pubblico ufficiale che, in assenza di eccezioni conferenti, si deve ritenere rilasciata secondo le prescrizioni di cui agli artt. 83 c.p.c. e 2703 c.c. in quanto tale ultima norma prevede appunto che l’autenticazione consiste nell’attestazione da parte del pubblico ufficiale che la sottoscrizione è stata apposta in sua presenza. Il pubblico ufficiale deve previamente accertare l’identità della persona che sottoscrive.
Non ha rilievo, per sostenere l’invalidità e l’inefficacia della procura di cui si discute la diversità della stessa rispetto alla procura speciale, sostanziale, rilasciata dalla sig.ra V.M. (prodotta in copia all’udienza del 17/09/08) alla sig.ra S.M. poiché, diversamente da quella alle liti rilasciata agli avv.ti ************, si tratta di procura notarile, raccolta dal "Cancelliere capo" dello stesso Consolato Generale d’Italia in Tripoli, "delegato all’esercizio delle funzioni notarili" "previa rinuncia alla presenza di testimoni.. .." e non di scrittura privata autenticata da pubblico ufficiale, sicché, come evidente, neppure vi è l’autenticazione della firma della sig.ra V.M. apposta come "La comparente" in calce alla stessa. Si tratta dello stesso tipo di procura rilasciata dallo stesso sig. A.M., Presidente dell’Ente opponente, in data 2.04.2008, all’avv. L.M. per esercizio dei poteri di rappresentanza sostanziale (quali il potere di rispondere all’interrogatorio, di transigere la lite etc.) prodotta dall’Ente alla prima udienza di discussione e comparizione delle parti, sicché, si ribadisce, la diversità delle forme (relative alla diversa tipologia di procura, l’una scrittura privata autenticata e le altre due, notarili), non è conferente.
Quanto alla forma poi, si osserva che non essendo rilevante la legge notarile italiana, ma la "lex loci", nulla è stato eccepito dalla parte opposta in ordine alla mancata osservanza delle regole eventualmente dettate dalla legge libica.
Si richiama sul punto la pronuncia della Suprema Corte n. 10312/2006 (in materia di procura notarile) secondo la quale
"Per il disposto dell’art. 12 1. 31 maggio 1995 n. 218, la procura alle liti utilizzata in un giudizio che si svolge in Italia, anche se rilasciata all’estero, è disciplinata dalla legge processuale italiana, la quale, tuttavia, nella parte in cui consente l’utilizzazione di un atto pubblico o di una scrittura privata autenticata, rinvia al diritto sostanziale, sicché in tali evenienze la validità del mandato deve essere riscontrata, quanto alla forma, alla stregua della lex loci occorrendo, però che il diritto straniero conosca, quantomeno, i suddetti istituti e li disciplini in maniera non contrastante con le linee fondamentali che lo caratterizzano nell’ordinamento italiano e che consistono, per la scrittura privata autenticata, nella dichiarazione del pubblico ufficiale che il documento è stato firmato in sua presenza e nel preventivo accertamento dell’identità del sottoscrittore (nella specie, le sezioni unite, sulla scorta dell’enunciato principio, hanno rigettato l’eccezione di inammissibilità del ricorso per nullità della procura, rilevando che quest’ultima era stata validamente conferita con atto redatto in conformità alla lex loci nel Regno Unito, da un notaio con forme equivalenti, nella forma e nell’efficacia, a quelle previste dalla legge italiana di diritto processuale, essendo stato, in particolare, riscontrato, in funzione della verifica del rispetto del precetto della lex fori italiana, che dall’autenticazione notarile era chiaramente desumibile che la sottoscrizione dei mandanti era stata apposta alla presenza del notaio e che questi aveva accertato l’identità dei sottoscrittori, anche se poi era risultato – ma irrilevantemente ai fini della ritualità del rilascio della procura – che tale autenticazione non era stata redatta nello stesso giorno in cui era avvenuta la sottoscrizione, bensì successivamente)”.
Nel caso specifico la procura alle liti è stata sottoscritto dal legale rappresentante dell’Ente Gestore della Scuola dinanzi a pubblico ufficiale operante presso il Consolato Generale d’Italia in Tripoli che in calce alla relativa sottoscrizione ha apposto la dicitura “Visto per l’autenticità della firma del ********* apposta in mia presenza [sottolineatura nell’originale, n.d.r.]- Tripoli 28 febbraio 2008”, ciò che presuppone l’identificazione del suo autore (le cui generalità sono peraltro identiche a quelle emergenti dalla procura sostanziale rilasciata all’avv. L.M. il successivo 2/4/08, di cui si è già parlato).
Risulta pertanto inconferente la pronuncia Cass., sez. II., 12-07-2004, n. 12821, richiamata dall’opposta, relativa al diverso caso in cui il documento, formato in Francia, recava “mero visto" apposto da notaio quattro giorni [sottolineatura nell’originale, n.d.r.] dopo la sottoscrizione della procura da parte del soggetto rilasciante, posto che nel caso di specie, come si è già rilevato, l’attestazione del pubblico non è solo un visto ma concerne “l’autenticità della firma del sig. ******” ed è avvenuta alla “presenza" del suddetto pubblico ufficiale.
Quanto poi all’eccezione relativa alla circostanza che la firma apposta dal sig. M. appare avvenuta il giorno successivo (29 febbraio 2008), si deve ritenere che si tratti di un mero errore materiale in cui è incorso lo stesso sig. M. avuto riguardo all’attestazione del pubblico ufficiale in data 28 febbraio 2008 ed alla relativa registrazione avvenuta lo stesso giorno con il n. 467 (v. marca del Consolato annullata dal doppio timbro in data "28 feb 2008").
Potrebbe, dunque, farsi solo una questione di falsità ideologica dell’attestazione, con le conseguenti iniziative processuali che però la parte opposta non ha nella specie assunto.
Ritenuta in definitiva la validità ed efficacia della procura alle liti, e così la validità ed ammissibilità dell’atto di opposizione, si deve invece ritenere fondata l’eccezione di carenza di giurisdizione del giudice italiano adito in via monitoria dalla sig.ra M.
Ora, benché non ricorrano i presupposti per l’annullabilità della clausola del contratto di lavoro che prevedeva la giurisdizione libica (art. 10 del contratto sub doc. 4 di parte opponente recante la relativa traduzione asseverata), per preteso vizio del consenso derivante dalla ignoranza della legge libica, l’eccezione è comunque irrilevante poiché anche ipotizzando l’inesistenza di detta clausola, si ricorda che l’art. 3 della legge 218/1995 stabilisce che "la giurisdizione italiana sussiste quando il convenuto è domiciliato o residente in Italia o vi ha un rappresentante che sia autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 del codice di procedura civile e negli altri casi in cui è prevista dalla legge italiana. La giurisdizione sussiste inoltre in base ai criteri stabiliti dalle sezioni 2, 3 e 4 del titolo II della Convenzione concernente la competenza giurisdizionale e l’esecuzione delle decisioni in materia civile e commerciale e protocollo, firmati a Bruxelles il 27 settembre 1968, resi esecutivi con la legge 12 giugno 1971 n. 804, e successive modificazioni in vigore in Italia, anche allorché il convenuto non sia domiciliato nei territorio di uno stato contraente, quando si tratti di una delle materie comprese nel campo di applicazione della Convenzione. Rispetto alle altre materie la giurisdizione sussiste anche in base ai criteri stabiliti per la competenza per territorio".
La stessa norma è stata richiamata dall’opposta che, pur riconoscendo che la Scuola A.M. ha sede in Tripoli, fa valere la circostanza che il sig. M.A., rappresentante dell’ente all’epoca della instaurazione del successivo giudizio di merito, risiede nel Comune di Opera.
Tale circostanza però non è dirimente dal momento che la Scuola opponente, rispetto alla quale rilevano i criteri di collegamento della residenza o del domicilio, sta a Tripoli mentre non risulta che la stessa Scuola abbia in Italia un rappresentante autorizzato a stare in giudizio a norma dell’art. 77 c.c. non avendo eletto il proprio domicilio presso la residenza del sig. M., certamente munito dei poteri di stare in giudizio.
Lo stesso decreto ingiuntivo è stato infatti notificato a mezzo consegna a mani al sig. M. presso il Consolato Generale d’Italia in Tripoli (doc. A parte opponente), e non a Milano (presso il precedente rappresentante sig. F.), come indicato nella parte dispositiva del decreto ingiuntivo.
Dagli atti notarili depositati dalle parti ed anche dalla procura alle liti risulta che il sig. M., Presidente del Cda. dell’Ente Gestore, è domiciliato in Tripoli Shara Zsawiet Al Dahamani, 8, ed infatti in Tripoli egli ha ricevuto gli atti ed ha esercitato i suoi poteri di rappresentanza conferendo le procure sostanziale e defensionale.
Si osserva del resto che la Suprema Corte ha ravvisato la sussistenza della giurisdizione italiana in virtù della presenza in Italia di un rappresentante a stare in giudizio in fattispecie ben diversa dalle presente: così con sentenza sez. un., 05-05-2006, n. 10312 ha affermato che “Ai sensi del 1° comma dell’art. 3 l. 31 maggio 1995 n. 218 … attribuendosi rilievo, non solo al domicilio o alla residenza del convenuto straniero … ma anche alla circostanza dell’esistenza di un rappresentante in Italia di tale convenuto che sia autorizzato a stare in giudizio ai sensi dell’art. 77 c.p.c.”, in relazione ad una controversia instaurata nei confronti di una banca con sede in Tokyo …, ha dichiarato la sussistenza della giurisdizione italiana sul presupposto che la banca giapponese aveva una filiale in Italia con un rappresentante legale munito di procura generale idonea a produrre gli effetti di cui all’art. 77 c.p.c. [sottolineatura nell’originale, n.d.r.].
Dovendosi pertanto escludere la sussistenza dei presupposti di cui al primo comma art. 3 L. 218/1995, non può che rilevarsi la pacifica mancanza dell’ulteriore criterio di collegamento ai sensi dell’art. 5 della Convenzione di Bruxelles (superata, per gli stati aderenti, dal Regolamento del Consiglio Ce 44/2001) a mente del quale in materia di contratto individuale di lavoro il luogo che rileva è quello in cui il lavoratore svolge abitualmente la propria attività o il datore di lavoro può essere citato dinanzi al giudice del luogo in cui è situato o era situato lo stabilimento presso il quale è stato assunto (criteri che rimandano tutti a Tripoli).
Non esiste neppure l’accettazione espressa o tacita (mancanza di eccezione della parte convenuta qui intendendosi la parte convenuta in senso sostanziale ossia l’Ente gestore della scuola) a mente dell’art. 4 L. 218/1995, esistendo semmai la pattuizione espressa (ancorché in questa sede contestata dall’opposta) della giurisdizione libica.
Si deve dunque concludere per l’insussistenza della giurisdizione italiana e benché potrebbero ritenersi meritevoli di accoglimento anche le ulteriori eccezioni della parte opponente, il rilievo è assorbente e determina la nullità del decreto ingiuntivo emesso dal
giudice privo di giurisdizione.
La natura della decisione, in mero rito, giustifica la compensazione delle spese di causa.
P.Q.M.
Dichiara la nullità del decreto ingiuntivo n. 40485/07 emesso dal giudice del lavoro di Milano in data 29/10-21/11/07 per difetto di giurisdizione italiana.
Compensa le spese.
Milano 25 marzo 2009
Il Giudice
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Depositato nella Cancelleria della Sez. Lavoro del Tribunale Ordinario di Milano
Oggi 31 ottobre 2009
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