La vicenda
La pronuncia in esame ha avuto origine dal fatto che la Corte di Appello di Roma, con la sentenza n. 25XX/2016, ha rigettato il reclamo proposto da PLINIO contro la sentenza del Tribunale di Civitavecchia, del 2014, che ha dichiarato lo stato di insolvenza, a far tempo dal 7 febbraio 2014, della Società Cooperativa Ristorazione Fantasia.
Avverso la menzionata decisione Plinio, nella qualità di amministratore della Coop. Ristorazione Fantasia a responsabilità limitata, ricorre per cassazione, svolgendo due motivi.
I motivi di ricorso
Il ricorrente Plinio con il primo motivo deduce, in particolare, «violazione art. 82 cod. proc. civ. e difetto di motivazione».
Plinio rileva che, nel giudizio avanti alla Corte di Appello, il commissario liquidatore della Cooperativa si è «costituito in proprio», senza ministero di procuratore esercente la professione forense, così violando la prescrizione dettata nella norma dell’art. 82 cod. proc. civ.
La Corte di Appello – prosegue il ricorrente – avrebbe perciò dovuto stralciare dal procedimento sia la memoria che la documentazione annessavi. Per contro, la stessa ha rigettato il reclamo «motivando la sentenza con le deduzioni e la documentazione prodotta» dal commissario.
Con il secondo motivo il ricorrente Plinio lamenta, a sua volta, «violazione di legge e art. 360 cod. proc. civ.».
Plinio censura il fatto che la Corte romana abbia fatto riferimento a degli estratti di ruolo per riscontrare la sussistenza dello stato di insolvenza della Cooperativa Ristorazione Fantasia.
Così facendo – osserva il ricorrente – la sentenza è incorsa nel vizio di legge, perché essa «mai avrebbe potuto dare valore giuridico all’estratto di ruolo», che è in sé stesso «privo di validità giuridica» ovvero è da ritenere «atto inesistente».
La decisione
La Corte di cassazione, mediante la menzionata ordinanza n. 11943/2018, ha ritenuto i motivi non fondati ed ha rigettato il ricorso.
Quanto al primo punto controverso la Suprema Corte precisa che esso è inammissibile e che la sentenza della Corte di Appello risulta del tutto chiara là dove segnala che «nel procedimento introdotto dinanzi al Tribunale risulta che il commissario liquidatore aveva già depositato, oltre agli estratti di ruolo, anche le relative attestazioni di conformità».
Ed è univoca, altresì, nell’esplicitare che «ricorrevano, quindi, le condizioni affinché il Tribunale» potesse «procedere alla valutazione poi sfociata nella dichiarazione dello stato di insolvenza».
L’eventuale attività che sia stata svolta in sede di reclamo dal commissario liquidatore, in assenza di una sua rituale costituzione a mezzo di procuratore esercente la professione forense, non è stata, pertanto, determinante per la decisione della Corte territoriale.
Quanto al secondo punto controverso riferito al valore giuridico dato all’estratto di ruolo, la Corte di legittimità ha precisato che l’estratto di ruolo è venuto in considerazione non già nei termini di una pretesa impositiva rivolta nei confronti della Cooperativa, bensì come documento che, in ragione del contenuto che vi è rappresentato, è in grado di fornire indicazioni importanti, nel caso anche decisive, circa la concreta situazione patrimoniale di un soggetto: al fine, appunto, del riscontro dell’effettivo stato di insolvenza in cui vera la Cooperativa Ristorazione fantasia.
Né in questa specifica modalità di utilizzo, effettuata dalla Corte territoriale, è dato scorgere una qualunque violazione di legge.
È appena il caso de ricordare, in proposito, che – secondo quanto chiarito dalla giurisprudenza della Corte – l’estratto di ruolo è un «documento contenente gli elementi della cartella, quindi contenente gli “elementi” di un atto impositivo, formato dal concessionario» (Corte di Cassazione, 2 ottobre 2015, n. 19704).
Esso, più in particolare, risulta essere una «fedele riproduzione della parte del ruolo relativa alla o alle pretese creditorie azionate verso il debitore con la cartella esattoriale, contenete tutti gli elementi essenziali per identificare la persona del debitore, la causa e l’ammontare della pretesa creditoria (cfr., tra le altre, Corte di Cassazione, 29 maggio 2015, n. 11141, che pure puntualizza come la «cartella esattoriale non è altro che la stampa del ruolo in unico originale»).
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