Illecito descrivere l’auto come “praticamente nuova”
Il venditore di un’auto usata non può, quindi, promuovere la vettura garantendo al cliente che essa sia in perfette condizioni, “pari al nuovo“. Né, a maggior ragione, può affermare che l’automobile non abbia mai subito sinistri e riparazioni. A contare non è infatti in questo caso l’effettivo funzionamento della macchina, ma l’assenza di buona fede e di correttezza ai sensi degli artt. 1366 e 1175 del Codice civile.
Anche se la riparazione è stata effettuata a regola d’arte, dunque, e anche se di conseguenza il valore dell’automobile non differisce molto da quello che avrebbe se non avesse subito un incidente, il venditore è costretto a risarcire i danni al cliente insoddisfatto. Quest’ultimo, d’altronde, “non avrebbe certamente contratto alle condizioni pattuite in caso di conoscenza dell’avvenuto sinistro”.
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Venditore costretto al risarcimento anche per cifre basse
Né il venditore può confidare nel fatto che il basso importo della somma da restituire renda nella pratica quasi impossibile un ricorso. Nel caso di specie, una donna ha citato in giudizio il commerciante colpevole di aver mentito per una cifra da lei stimata in 2.500 euro e successivamente ridotta dalla Corte d’Appello a soli 1.500 euro. Somma che il venditore è stato comunque costretto a pagare.
Non solo: il venditore ha fatto ricorso per Cassazione, ma la Suprema Corte ha rigettato le sue richieste e lo ha condannato al rimborso delle spese in favore dell’ex cliente. Spese liquidate dagli Ermellini in 2.200 euro, dunque più di quanto l’uomo era stato originariamente costretto a restituire alla donna.
Quando il ricorso per Cassazione è inammissibile
La vicenda assume contorni ancora più paradossali per il venditore dell’auto se si tengono in considerazione due ulteriori elementi. Il primo è che il giudizio di appello risale al 2013: dunque almeno quattro anni di attesa e perizie tecniche per il risarcimento di una cifra sostanzialmente bassa, finendo poi con il pagare le spese della cliente, più alte della stessa somma inizialmente richiesta.
Il secondo aspetto, più importante, riguarda la modalità con la quale la Cassazione ha respinto le motivazioni dell’uomo. La Suprema Corte ha infatti ritenuto il ricorso inammissibile per semplici motivi procedurali. Resta dunque valida la sentenza d’appello, e dunque il precedente risarcimento dei 1.500 euro in favore della cliente.
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