Cos’è la cannabis light?
La prima cosa che bisogna chiarire è terminologica. Quando parliamo di cannabis light parliamo di infiorescenze di cannabis che hanno un basso contenuto di THC. Quanto debba essere basso tale contenuto lo rivela la legge n. 242/2016, che ha stabilito che la coltivazione, l’acquisto e la vendita di cannabis sia legale a patto che il contenuto di THC sia inferiore allo 0,2%. Sotto questa soglia, dunque, si può serenamente comprare cannabis, anche su Internet come nello store di CBDexpress, senza incappare in nessun tipo di pregiudizio.
L’intervento del MIPAAF
Dal varo della legge n. 242/2016 si sono poi succeduti alcuni interventi ministeriali, volti a specificare in maniera ancora più puntuale il segmento.
Innanzitutto, riconduciamo alla memoria la circolare del MIPAAF del 23 maggio 2018, che dopo aver richiamato i principi fondamentali di cui alla legge 242/2016, si è concentrata sulla normativa della coltivazione nell’ambito del settore florovivaistico, confermando che la coltivazione di cannabis light può avere inizio solo da semi certificati. Non è dunque possibile procedere con la riproduzione agamica, ovvero mediante utilizzo delle talee.
Il parere del Consiglio Superiore di Sanità
Fa poi eco, nel mese di giugno dello stesso anno, un noto parere del Consiglio Superiore di Sanità, che mette indubbio la libera vendita della cannabis light, basando le proprie convinzioni su una misura di “precauzione”. In realtà, il parere del Consiglio Superiore di Sanità viene poi parzialmente ridimensionato dallo stesso Ministero della Salute (di cui il Consiglio Superiore di Sanità è organo consultivo), che ha sottolineato come il livello di THC della cannabis light è molto basso e, dunque, privo di qualsiasi tipo di impatto nocivo per la salute.
La circolare del Ministero degli Interni
Si arriva quindi a una circolare del Ministero degli Interni, dello stesso anno, diffusa a settembre, con l’invito agli organi di pubblica sicurezza di incentivare i controlli nei negozi che commercializzano cannabis light. Una circolare che non ha evidentemente alcun valore di legge, ma che molti negozianti hanno inteso in maniera molto negativa, quale “spia” di un terreno non ancora fertile per questo settore.
Le sentenze giurisprudenziali più rilevanti degli ultimi mesi
Come sovente avviene nel nostro Paese, a sostituirsi in parte all’organo legislativo è quello giudiziario e, dunque, nel corso degli ultimi anni diverse sentenze giurisprudenziali hanno contribuito a definire un settore altrimenti troppo denso di elasticità e aleatorietà.
Si può dunque citare, tra gli interventi maggiormente di interesse, la “celebre” sentenza n. 12348 del 19 dicembre 2019 da parte della Corte di Cassazione – sez. un. pen., che ha escluso la punibilità della condotta di coltivazione di sostanze stupefacenti per uso personale, deducibile (anche) dalla minima dimensione dell’attività svolte in forma domestica, dalle rudimentali tecniche utilizzate, dallo scarso numero di piante e dal modesto quantitativo di prodotto ricavabile, oltre che dalla carenza di indicatori di inserimento nel mercato degli stupefacenti.
Su un tema di particolare rilievo, qualche mese prima, si era espressa ancora la Corte di Cassazione, III sez. pen., con la pronuncia n. 25559 del 10 giugno 2019, secondo cui la detenzione di stupefacenti di un quantitativo inferiore ai limiti tabellari non esclude di per sé la rilevanza penale della condotta, perché il superamento del limite è solo uno dei parametri normativi rilevanti ai fini dell’affermazione della responsabilità, e l’esclusione della destinazione della droga a uso strettamente personale può essere ritenuta dal giudice anche in forza di ulteriori circostanze dell’azione.
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