Con una recente sentenza, Pres. Rosi, rel. Di Stasi, numero 35295/2016, la Suprema Corte esamina una fattispecie di reato molto particolare, non solo per i soggetti che vede coinvolti ma, soprattutto, per l’elevata attualità che rivestono le tematiche affrontate dall’Autorità giudicante.
Un rapporto sessuale, compiuto da minorenni, che viene ripreso dal partner e poi mostrato ai propri amici. Questo comportamento può costituire una fattispecie penalmente rilevante o si tratta di mera goliardia compatibile con l’età anagrafica dei soggetti coinvolti?
Nell’era in cui anche l’eros è connesso al social, spesso, purtroppo, i minori, in maniera non troppo avveduta, scambiano messaggi, video e foto dal contenuto, diremo, poco adatto alla loro età, non comprendendo, purtroppo, quali possano essere le conseguenze giuridiche del loro comportamento.
Il giudice di primo grado aveva pronunciato una sentenza di non luogo a procedere nei confronti di chi, imputato del reato di cui all’articolo 600ter comma 1 numero 1 e 602ter comma 5 cod. pen., aveva riprodotto materiale pedopornografico perché aveva ripreso la propria fidanzatina, al momento del fatto minorenne, durante un rapporto sessuale.
Nei confronti della sentenza emessa dal giudice di prime cure, proponevano ricorso in Cassazione i genitori del ragazzo infraquattordicenne nei cui confronti si era proceduto.
I ricorrenti deducevano l’illogicità delle argomentazioni contenute nella sentenza impugnata che, a loro dire, non avrebbe attribuito la dovuta attitudine probatoria ad alcune dichiarazioni che, se accolte, avrebbero scagionato il figlio. I medesimi lamentavano, infatti, l’insussistenza del reato, di cui all’art. 600ter cod. pen., in quanto la sola visione del filmato e la mancata materiale disponibilità in capo a terzi dello stesso costituivano circostanze che escludevano, di per sé, l’esistenza del delitto ipotizzato.
Prima di comprendere, quali sia stata la decisione del Giudice adito, è necessario esaminare, seppur brevemente, i reati in esame.
L’art. 600ter cod. pen. prevede la pena della reclusione fino a 12 anni e una multa da euro 24.000 a euro 240.000, per colui che realizza esibizioni e spettacoli pornografici ovvero produce materiale pornografico utilizzando minori di anni 18. La predetta pena è aumentata da un terzo alla metà, se il reato cui all’art. 600ter cod. pen. sia stato commesso in danno di un minore di anni 16.
Ai fini dell’integrazione del reato de quo, è necessario che la condotta dell’agente abbia una consistenza tale da implicare il concreto pericolo di diffusione del materiale pedopornografico prodotto, così che, esulano dall’area applicativa della norma, solo quelle ipotesi in cui la produzione pornografica sia destinata a restare nella sfera privata del soggetto. Ai fini della produzione ed esibizione si richiede, altresì, l’inserimento della condotta penalmente rilevante in un modello organizzativo, anche embrionale, e di destinazione del materiale pedopornografico alla successiva fruizione da parte di terzi.
Le censure sollevate risultavano essere infondate. La Suprema Corte, infatti, evidenziava il contenuto delle dichiarazioni di un minore, compagno di classe, del soggetto attivo, il quale asseriva che il medesimo aveva mostrato a scuola il video da lui stesso realizzato, vantandosi del suo operato.
Ai fini del reato di cui all’art. 600ter cod. pen. è necessario che la condotta dell’agente abbia una consistenza tale da implicare il pericolo concreto della diffusione del materiale pedopornografico prodotto, così che esulavano dall’area applicativa della norma citata solo quelle ipotesi in cui la produzione del materiale hard, che avesse come protagonisti minori, fosse destinata a restare nella sfera privata ed intima dell’autore “regista”.
Poiché il delitto in esame ha natura di pericolo concreto, sarà compito del giudice accertare, di volta in volta, la configurabilità della predetta fattispecie penale, facendo ricorso ad elementi sintomatici della condotta attiva. Assumevano rilievo, a tal proposito, l’effettuazione della videoripresa durante il rapporto sessuale conservata nella memoria del telefono e la sua visione a terzi.
Il fatto stesso che il video fosse stato mostrato ai compagni era sufficiente ad integrare in requisito del pericolo concreto di diffusione erga omnes.
Il ricorso, pertanto, anche sulla base della infrascritte considerazioni, veniva dichiarato inammissibile. Al giudice di legittimità, infatti, si chiedeva una rilettura degli elementi di fatto, posti a fondamento della decisione, al fine di dare una ricostruzione alternativa al giudizio, attività preclusa alla Suprema Corte.
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