Pronunciandosi su un caso in cui si discuteva della legittimità delle decisioni assunte dalle autorità giudiziarie, sia in sede civile che in sede penale, di non procedere contro i responsabili del ricovero forzato del ricorrente in una struttura psichiatrica, la Corte EDU ha ritenuto, all’unanimità, che fosse stato violato l’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, sia per la mancanza di un’indagine efficace che per quanto concerneva il ricovero e il trattamento forzato in un ospedale psichiatrico.
Ha inoltre ritenuto violati l’articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l’articolo 3 nonché l’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) letto in combinato disposto con gli articoli 3 e 14 CEDU.
Indice
1. Il ricovero e il trattamento forzato
Basaglia (1972) scriveva «Noi, i campioni della grande civiltà occidentale che rivendica i valori dell’individuo, dello spirito e della ragione, ci troviamo indeboliti e distrutti da un sistema la cui logica sopravvive sulla nostra debolezza, sulla nostra acquiescenza e sulla manipolazione di questa debolezza e questa acquiescenza. I valori assoluti che ci sono stati sempre proposti (vanto della nostra civiltà popolata di santi e di eroi) hanno agito – nella loro irraggiungibilità e disumana perfezione – come strumento di dominio attraverso il gioco della colpa in chi non riesce a realizzarli, e come addestramento al compromesso e all’accettazione della propria impotenza negli ostinati che tentano di farlo. La distanza fra assoluto e relativo, quando il valore proposto come unico sia assoluto, serve come strumento di soggezione, dipendenza, manipolazione; serve a rendere assolutamente relativa (quindi vuota, inutile, priva di significato) ogni azione agli occhi di chi agisce; serve a far accettare supinamente e acriticamente la condizione disumana in cui si vive.»
Questa vicenda ho voluto raccontarla, nelle sintetiche e schematiche parole della Corte, senza aggiungere molto, perché credo – nella sua drammatica attualità, anzi contemporaneità – possa essere quasi un documentario che ci fa ripiombare a cinquant’anni fa.
Se pensiamo tuttavia che questa vicenda sia un’eccezione, un fatto raro o episodico, ci basti affermare (con ampia cognizione di causa ampiamente documentato da numerosi osservatori nazionali e internazionali indipendenti) che purtroppo questo non è affatto un caso solato.
In più, l’aspetto forse più drammatico, la grande maggioranza di questi episodi è non documentata proprio perché attiene la vita di persone troppo giovani, inconsapevoli dei propri diritti, prive di strumenti economici per farli valere e tutelarsi, e prive nella maggior parte dei casi del supporto familiare e sociale.
Ogni ulteriore commento è ridondante rispetto alla vicenda, che andremo a descrivere semplicemente nella sua ontologia di “fatto accaduto”.
2. Il fatto e le norme di diritto
Il caso di V.I. contro la Repubblica di Moldavia (domanda n. 38963/18) riguardava il collocamento di un orfano, ritenuto affetto da una lieve disabilità intellettiva, in un ospedale psichiatrico, contro la sua volontà.
All’epoca era sotto la tutela dello Stato.
Alla fine di quello che avrebbe dovuto essere un ricovero di tre settimane, è stato lasciato lì per altri quattro mesi, senza che nessuno venisse a visitarlo o a prenderlo, mentre veniva trattato con neurolettici e antipsicotici.
Il ricorrente ha sostenuto che il suo trattamento, insieme alle condizioni dell’ospedale e al comportamento del personale medico e degli altri pazienti equivalevano a maltrattamenti. Ha lamentato che le indagini sulle sue affermazioni sono state non effettive e ha aumento lo stigma sociale e la discriminazione nei confronti delle persone con disabilità psicosociali ed ha lamentato la mancanza di soluzioni di cura alternative.
La Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha stabilito, all’unanimità, che c’è stata una violazione dell’articolo 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti) della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, per quanto riguarda l’assenza di soluzioni di cura alternative.
Per la mancanza di un’indagine efficace che per quanto concerneva il ricovero e il trattamento forzato in un ospedale psichiatrico ha inoltre ritenuto violati:
– l’articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con l’articolo 3; e
– l’articolo 13 (diritto a un ricorso effettivo) in combinato disposto con gli articoli 3 e 14.
La Corte ha riscontrato che le autorità non avevano indagato sulle circostanze in cui V.I. era stato ricoverato nell’ospedale psichiatrico e se le relative garanzie legali relative al collocamento involontario e al trattamento psichiatrico e se ci fosse stata una giustificazione per il ricovero in ospedale psichiatrico.
Le autorità moldave non hanno cercato di chiarire quale sia stato l’impatto il trattamento con neurolettici e antipsicotici, né se tale trattamento fosse giustificato da un punto di vista medico o se fosse stato usato semplicemente come limitazione chimica.
Inoltre, l’indagine non aveva tenuto conto della vulnerabilità del richiedente, della sua età o degli aspetti di disabilità.
La Corte ha rilevato, in particolare, che il quadro giuridico moldavo esistente non soddisfaceva il dovere dello Stato (“obbligo positivo”) di istituire e applicare efficacemente un sistema di protezione per le persone con disabilità intellettiva in generale, e ai bambini privi di cure parentali in particolare, contro le gravi violazioni della loro integrità.
Notando che il caso rivelava un problema sistemico, la Corte ha decretato che spettava alla Repubblica di Moldavia adottare misure generali per la tutela dei minori per risolvere i problemi alla radice delle violazioni riscontrate e per evitare che violazioni simili si verifichino in futuro.
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3. Fatti principali
Il ricorrente, V.I., è un cittadino moldavo nato nel 1998 e residente a Vicenza (Italia).
Dopo la morte della madre nel 2005 e l’incarcerazione e successiva morte del padre nel 2009, V.I. è stato accudito dalla zia dal 2005 al 2012. Il sindaco di Ciutești è diventato il suo tutore e rappresentante legale alla fine del 2012.
Durante la primavera e l’estate del 2013, V.I., che è stato diagnosticato affetto da un lieve handicap intellettivo, ha trascorso un paio di periodi di tre settimane in ospedale per cure psichiatriche.
È stato inoltre collocato temporaneamente in una casa per bambini e poi in un altro centro di collocamento prima di essere iscritto per l’anno scolastico 2013-2014 in un collegio.
Alla fine di maggio 2014, l’amministrazione scolastica ha chiesto al sindaco di Ciutești di trovare un posto in cui V.I. potesse rimanere durante le vacanze estive. Pochi giorni dopo, presumibilmente senza aver incontrato V.I., un medico lo indirizzò a un ospedale psichiatrico.
Il Comitato per la protezione dei bambini e dei rischi di Nisporeni ha raccomandato che V.I. fosse curato in una clinica specializzata e poi di affidarlo a un servizio di assistenza locale. Il bambino quindi è stato portato all’ospedale psichiatrico di Codru contro la sua volontà, mentre gli era stato detto che sarebbe andato a un campo estivo e che poi, gli era stato detto, sarebbe rimasto in ospedale solo per tre settimane.
Tuttavia, al termine delle tre settimane, il 7 luglio 2014, non è venuto nessuno a prenderlo.
Il 22 luglio 2014, l’amministrazione dell’ospedale ha preteso che il sindaco di Ciutești provvedesse a prenderlo per poterlo dimettere.
Tuttavia, V.I. è rimasto nella stessa unità per altri due mesi prima di essere trasferito nell’unità per adulti.
Il riassunto medico fornito in quell’occasione descriveva il suo comportamento come asociale, impulsivo e aggressivo. L’amministrazione dell’ospedale ha chiesto più volte al sindaco di Ciutești o al suo collegio di andare a prenderlo. Il 10 ottobre 2014 ha chiesto l’intervento dell’amministrazione comunale di Nisporeni e poi, in assenza di reazioni, ha contattato il Mediatore e il Centro per i diritti umani.
In seguito, il Servizio di assistenza psicopedagogica di Nisporeni ha provveduto, in ospedalle, a una valutazione dello sviluppo e delle esigenze del bambino: questi sono stati i primi visitatori che aveva avuto durante la sua degenza in ospedale.
La loro conclusione generale è stata che non era un bambino con bisogni educativi speciali; il suo linguaggio, lo sviluppo cognitivo e lo sviluppo socioemotivo erano normali per la sua età; la sua capacità di far fronte a situazioni sociali e situazioni di stress era poco sviluppata.
Il 5 novembre 2014 la cugina di V.I. è stata nominata sua tutrice e il bambino è stato affidato alle sue cure due giorni dopo.
Secondo la sua cartella clinica, al momento del ricovero in ospedale, era stato prescritto un tranquillante (diazepam in compresse) e, da luglio a settembre 2014, gli erano stati fatti assumere tranquillanti (diazepam e difenidramina) e neurolettici (risperidone e levopromazina).
Da settembre a novembre 2014, gli erano stati somministrati neurolettici (clorpromazina, risperidone e levopromazina), tranquillanti (diazepam e difenidramina), anticonvulsivi (acido valproico), nootropi (vinpocetina), farmaci per contrastare l’overdose di tranquillanti (dietilammide della nicotinina) e (dietilamide dell’acido nicotinico) e farmaci per il cuore (beta-bloccanti).
A seguito di una denuncia presentata da V.I. che contestava la sua diagnosi e la necessità di un trattamento ospedaliero, all’inizio del 2015 è stata avviata un’indagine penale. V.I. ha sostenuto che le autorità lo avevano collocato e abbandonato nell’ospedale psichiatrico e che gli erano stati fatti assumere tranquillanti e farmaci neurolettici nonostante la sua età e la sua diagnosi e che, di conseguenza, aveva sviluppato la sindrome neurolettica maligna, una condizione pericolosa per la vita.
Il sindaco di Ciutești è stato accusato di negligenza e il caso è stato rinviato a giudizio.
Il 15 giugno 2016 il sindaco di Ciutești è stato assolto da tutte le accuse, con la sentenza che ha stabilito che spettava all’autorità di protezione dei minori di Nisporeni trovare un posto dove far vivere V.I. dopo il suo ricovero in ospedale.
Sia V.I. che il pubblico ministero hanno presentato appello.
Il 6 giugno 2017 i ricorsi sono stati accolti e il sindaco è stato condannato a due anni e mezzo di reclusione per aver abbandonato V.I. in ospedale e non aver trovato una soluzione.
A V.I. sono stati riconosciuti circa 3.000 euro come risarcimento.
Tuttavia, V.I. ha presentato un ricorso in appello per motivi di diritto, in quanto il tribunale non si era pronunciato sulla responsabilità del sindaco per il suo ricovero nell’ospedale psichiatrico.
Il 12 dicembre 2017 la Corte Suprema di Giustizia ha ribaltato la sentenza d’appello e ha assolto il sindaco da tutte le accuse.
Un’indagine penale concomitante sulle accuse di tortura e maltrattamento in relazione alle accuse di V.I. Per essergli stati somministrati neurolettici, per il suo trasferimento nella sezione adulti e per i maltrattamenti subiti in ospedale non si è mai conclusa con il rinvio a giudizio del caso.
È stato interrotto il 29 settembre 2015, accolto in appello, riaperto il 20 aprile 2016 e interrotto il 30 maggio 2017. Il pubblico ministero ha concluso che il ricovero di V.I. nell’ospedale psichiatrico era avvenuto con il consenso informato di V.I. e con il consenso scritto del suo tutore, che non c’era alcuna prova che V.I. avesse avesse subito un trauma psicologico a causa del suo ricovero o che fosse stato oggetto di intimidazione o violenza da parte di altri pazienti o del personale, o che il personale medico avesse l’intenzione di sottoporlo a maltrattamenti.
V.I. ha contestato queste conclusioni, sostenendo che l’indagine era incompleta.
I suoi ulteriori ricorsi non hanno avuto successo.
V.I. ha presentato ricorso basandosi sugli articoli 3 (divieto di trattamenti inumani o degradanti), 8 (diritto al rispetto della vita privata e familiare) e 13 (diritto a un ricorso effettivo) della Convenzione e dell’articolo 14 (divieto di discriminazione) in combinato disposto con gli altri articoli della Convenzione.
Il ricorrente ha lamentato che il ricovero in un ospedale psichiatrico contro la sua volontà e il suo trattamento psichiatrico, così come le condizioni e il comportamento del personale medico e degli altri pazienti, costituivano maltrattamenti.
Il ricorso è stato presentato alla Corte europea dei diritti dell’uomo l’8 agosto 2018.
4. Decisione della Corte EDU
La Corte ha osservato che le autorità avevano prontamente avviato le indagini sulle accuse di V.I..
Tuttavia, nonostante la parziale conferma delle dichiarazioni di V.I. circa la sua opposizione al ricovero in all’ospedale psichiatrico, il ritardo di 4 mesi nella sua dimissione dall’ospedale, il suo trasferimento nella sezione adulti e il suo trattamento con neurolettici, i due distinti procedimenti avevano entrambi concluso che le accuse erano infondate. Le ragioni addotte erano che la sua permanenza in ospedale era stata legittimata da una decisione del medico e non aveva subito conseguenze traumatiche quantificabili, né vi era stato alcun intento diretto da parte dei presunti autori.
La Corte ha notato che le autorità non avevano indagato sulle circostanze in cui V.I. era stato ricoverato nell’ospedale psichiatrico e, in particolare, se le tutele legali fossero state rispettate né sulle garanzie legali relative al collocamento involontario e al trattamento psichiatrico e se ci fosse stato bisogno di un trattamento ospedaliero o se altre forme di trattamento sarebbero state più appropriate. In particolare, il medico di Nisporeni, che aveva l’incarico senza visitare V.I. non era stato nemmeno interrogato.
Inoltre, il trattamento di V.I. con neurolettici e antipsicotici era stato considerato legittimo in assenza di qualsiasi intenzione di fargli del male, umiliarlo o svilirlo. Tuttavia, non c’è stato alcun tentativo di di chiarire l’impatto del trattamento su di lui, né se il trattamento fosse stato giustificato da un punto di vista medico, o se si fosse trattato semplicemente di una costrizione chimica.
In entrambi i procedimenti, le autorità avevano concluso che non c’erano state conseguenze traumatiche per V.I. e hanno ritenuto che qualsiasi sofferenza fosse “non quantificabile” e non abbastanza grave da giustificare un’azione penale.
Tuttavia, tale valutazione mancava di obiettività, in quanto era stata effettuata da medici affiliati all’ospedale in cui era stato effettuato il trattamento. Inoltre, V.I. aveva denunciato violenze e abusi sessuali da parte di altri pazienti durante la sua permanenza nel reparto adulti e queste non erano state affatto indagate.
Pertanto, la Corte ha concluso che le autorità non avevano svolto un’indagine efficace sulle accuse di maltrattamento del ricorrente, nonostante i numerosi elementi a loro disposizione.
Inoltre, l’indagine non aveva tenuto conto della vulnerabilità del ricorrente, della sua età o degli aspetti di disabilità delle sue denunce.
Da un punto di vista procedurale, c’è stata una violazione dell’articolo 3.
Per quanto riguarda l’aspetto sostanziale la Corte ha osservato che la legge moldava sulla salute mentale conteneva chiare disposizioni legali in merito all’ammissione dei bambini negli istituti di salute mentale, la loro collocazione separata dagli adulti, la considerazione del loro punto di vista, e alcune garanzie, come la rivalutazione iniziale e periodica della necessità di prolungare la loro permanenza. Inoltre, la legge proibisce di somministrare trattamenti psichiatrici in assenza di una malattia psichiatrica. L’età a partire dalla quale era richiesto un consenso valido era di 16 anni per i servizi medici in generale e di 18 anni per l’assistenza psichiatrica.
Allo stesso tempo, non esistevano disposizioni legali e salvaguardie sull’uso della contenzione chimica e non esistevano tutele indipendenti in caso di conflitto di interessi tra il bambino (o un paziente privo di capacità giuridica) e il suo tutore legale per consentire una revisione o un monitoraggio indipendente del loro internamento contro la loro volontà, in particolare quando tale internamento non era limitato nel tempo, quando tale trattamento differiva dal piano terapeutico iniziale e/o quando il comportamento del paziente era significativamente ridotto dai farmaci. Non esisteva inoltre una procedura per la rivalutazione del consenso una volta che il paziente avesse compiuto 16 e/o 18 anni.
Pertanto, la Corte ha ritenuto che il quadro normativo moldavo esistente non fosse all’altezza del dovere dello Stato (“obbligo positivo”) di istituire una procedura di valutazione del consenso e di istituire e applicare efficacemente un sistema di protezione delle persone con disabilità intellettiva in generale, e ai minori privi di cure parentali in particolare, contro gravi violazioni della loro integrità, in contrasto con l’articolo 3 della Convenzione.
Per quanto riguarda il ricovero di V.I. nell’ospedale psichiatrico, la Corte ha ritenuto che non era stata dimostrata la necessità medica di collocarlo nell’ospedale psichiatrico; i documenti di ammissione facevano riferimento a una disabilità intellettiva e non a una malattia mentale.
Inoltre, non era stata presa in considerazione l’opinione di V.I. Inoltre, in assenza di garanzie contro una permanenza in di un ricovero ospedaliero illimitato, V.I. era stato fatto rimanere lì per altri quattro mesi nonostante non vi fosse alcuna necessità medica.
La Corte ha ritenuto che tutti questi aspetti, insieme al trasferimento di V.I. nella sezione per adulti, la sua sottoposizione a ciò che equivale a una contenzione chimica e le condizioni materiali in cui si trovava costituivano violazioni dell’articolo 3.
In relazione all’articolo 14 in combinato disposto con l’articolo 3, la Corte ha osservato che la denuncia di V.I. sull’inefficacia dell’indagine era basata su un’affermazione più ampia, secondo la quale l’omissione delle autorità di indagare sulle sue accuse non era stata una violazione dell’articolo 3; non era stato un evento isolato, ma era dovuto a stereotipi generali e alla natura discriminatoria delle autorità moldave nei confronti delle autorità moldave nei confronti delle persone con disabilità psicosociali.
La Corte ha osservato che i Relatori speciali delle Nazioni Unite hanno costantemente segnalato l’esistenza di discriminazioni sistemiche delle persone, in particolare dei bambini, con disabilità intellettiva nella Repubblica di Moldavia sotto forma di istituzionalizzazione psichiatrica in assenza di qualsiasi necessità medica.
Secondo questi rapporti, c’è una percezione diffusa delle persone con disabilità come “anormali”, distinte dalle persone “sane”, il che, collegato alla mancanza di servizi di supporto alla comunità che rispondano ai loro bisogni, ha portato a un alto tasso di istituzionalizzazione di bambini con disabilità psicosociali.
Nel caso di V.I., la Corte ha osservato che le varie autorità – l’amministrazione scolastica, il medico di Nisporeni, il tutore legale, l’autorità per la protezione dei minori e i medici dell’ospedale – tutti con doveri di cura nei suoi confronti, avevano unanimemente acconsentito al suo ricovero in ospedale, nonostante l’assenza di finalità terapeutiche.
I documenti amministrativi e medici di ammissione facevano riferimento alla disabilità intellettiva di V.I. come motivo di ricovero in ospedale psichiatrico e di trattamento psichiatrico.
La Corte ha anche osservato che il pubblico ministero aveva rilevato che il suo ricovero in ospedale era legato all’assenza di opzioni di cura alternative.
Secondo la Corte, la combinazione di questi fattori ha dimostrato chiaramente che le azioni delle autorità non si erano limitate a un fallimento isolato nel proteggere l’integrità fisica e la dignità di V.I., ma avevano di fatto perpetuato una pratica discriminatoria nei confronti di un bambino con una reale o percepita disabilità intellettiva.
Il fatto che fosse privo di cure parentali non ha fatto che aggravare la sua vulnerabilità.
La Corte ha concluso che c’è stata una violazione dell’articolo 14 della Convenzione in combinato disposto con l’articolo 3.
In relazione all’articolo 13 la Corte ha ritenuto che lo Stato moldavo non avesse previsto un meccanismo appropriato in grado di fornire un risarcimento alle persone, e in particolare ai bambini con disabilità mentali, che dichiarano di essere vittime ai sensi degli articoli 3 e 14 della Convenzione. C’è stata quindi una violazione dell’articolo 13 della Convenzione in combinato disposto con gli articoli 3 e 14.
In relazione all’articolo 46 (forza vincolante ed esecuzione delle sentenze), quando la Corte constata una violazione della Convenzione, lo Stato ha l’obbligo giuridico di scegliere, sotto la supervisione del Comitato dei Ministri, le misure generali e/o, se del caso, individuali da adottare nel proprio ordinamento giuridico interno per porre fine alla violazione constatata dalla Corte e di porre rimedio alla situazione.
La Corte ha osservato che questo caso ha rivelato un problema sistemico per quanto riguarda il collocamento involontario in ospedali psichiatrici e il trattamento psichiatrico di bambini con disabilità intellettive e privi di cure parentali.
In particolare, le violazioni indicavano una pratica discriminatoria nei confronti di persone con disabilità intellettiva reale o percepita e la mancanza di tutele e meccanismi in grado di prevenire e rilevare i maltrattamenti di questi bambini in un contesto psichiatrico.
Pertanto, la Repubblica Moldavia è chiamata ad adottare misure generali per risolvere i problemi alla radice delle violazioni riscontrate dalla Corte e per evitare che violazioni simili si verifichino in futuro.
Ex articolo 41 la Corte ha stabilito che la Repubblica di Moldavia doveva versare al ricorrente 25.000 euro (EUR) per i danni non pecuniari e 25.000 euro per i danni alla salute e 7.420 euro per costi e spese.
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