Anna Costagliola
Integra l’illecito disciplinare della violazione del dovere di «colleganza» la condotta dell’avvocato che notifica direttamente alla controparte soccombente la sentenza in forma esecutiva e il precetto senza aver previamente informato il difensore di controparte della sua intenzione di dar corso alla procedura esecutiva e senza essersi visto opporre alcun rifiuto esplicito di dare spontanea esecuzione alla pronuncia giudiziale. E’ il principio sancito dai giudici di Cassazione, Sezioni Unite civili, nella sentenza n. 13797 del 1° agosto 2012, che ha confermato la sanzione disciplinare dell’avvertimento impartita dall’Ordine degli Avvocati di appartenenza, prima, e poi confermata dal Consiglio Nazionale Forense nei confronti di un avvocato che, senza avvisare il difensore della controparte, aveva provveduto a notificare la sentenza direttamente alla parte soccombente.
Sulla vicenda si era già pronunciata la Corte di legittimità a Sezioni Unite (sent. 27214/2009) che, investita dell’impugnazione da parte del COA (Consiglio dell’Ordine degli Avvocati) avverso la decisione del CNF che riteneva la insussistenza di alcun obbligo deontologico a carico del legale incolpato, aveva cassato con rinvio il provvedimento assolutorio pronunciato dal CNF. Sul punto le Sezioni Unite avevano affermato il principio di diritto in base al quale è violativa dell’art. 22 del codice deontologico forense la condotta dell’avvocato che, sulla base della sentenza favorevole al proprio assistito, nonostante la modestia del credito accertato nella pronuncia giurisdizionale e pur in assenza di un rifiuto esplicito di dare spontanea esecuzione alla sentenza, notifichi al debitore atto di precetto (così aggravando la sua esposizione debitoria) senza previamente informare l’avvocato dell’avversario della propria intenzione di dar corso alla procedura esecutiva.
Il CNF, quale giudice disciplinare cui il giudizio era stato rinviato per un nuovo esame nel merito, preso atto della pronuncia delle Sezioni Unite e ritenuta la natura vincolante non solo del principio in essa affermato, ma anche delle relative premesse logico-giuridiche, confermava la responsabilità disciplinare ascritta all’incolpato e la conseguente sanzione dell’avvertimento, ritenuta congrua in rapporto alla gravità dei fatti contestati (come già ritenuto dal Consiglio dell’Ordine di appartenenza del legale coinvolto). Avverso tale pronuncia il legale ha proposto ricorso alle medesime Sezioni Unite, le quali hanno confermato l’affermazione di colpevolezza compiuta dal CNF il quale, nel relativo giudizio, non solo era vincolato dalla regula iuris enunciata dalle stesse Sezioni Unite, che riconosceva la rilevanza disciplinare dell’addebito mosso al legale, ma anche dall’accertamento dei fatti che ne costituivano il presupposto, essendo gli stessi incontrovertibili, in quanto documentalmente provati. In tale contesto processuale, pertanto, nessuno spazio residuava al giudice del rinvio, sia in ordine alla valutazione, sotto il profilo deontologico, della condotta incriminata (valutazione già compiuta dal Giudice di legittimità), sia con riguardo alla concreta sussistenza della stessa, costituente un pacifico presupposto di fatto sulla base del quale era stato formulato il giudizio di colpevolezza.
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