Sommario: 1. Il caso. -2. Omessa prestazione dei mezzi di assistenza: art.570, secondo comma, n.2 c.p. -3. Particolare tenuità del fatto: art.131 bis c.p.; applicabile in assenza di abitualità.
Il caso
Con sentenza del 09 gennaio 2019 la Corte di Appello di Catanzaro, in riforma delle precedenti sentenze del Tribunale di primo grado di Cosenza del 13 maggio 2016 e 5 luglio 2017, dichiarava l’imputato non punibile, ai sensi dell’art. 131 bis c.p., del reato di cui all’art 570, secondo comma, n.2, per aver omesso di versare la somma statuita dal giudice civile della separazione a titolo di mantenimento dei figli minori, violando di fatto gli obblighi di assistenza familiare.
Avverso tale sentenza, ha presentato ricorso il Procuratore generale della Repubblica deducendo, in un unico motivo la “violazione di legge, in relazione all’art. 131 bis c.p., e vizio di motivazione, per mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità, per aver i giudici dell’appello erroneamente applicato l’indicata causa di non punibilità”.
Con memoria depositata il 10 gennaio 2019 il difensore dell’imputato chiede il rigetto del ricorso per “aspecificità del motivo afferente al vizio di motivazione e per inammissibilità ovvero infondatezza della doglianza concernente l’asserita violazione di legge”.
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Omessa prestazione dei mezzi di sussistenza: art. 570[1], secondo comma, n.2 c.p.
La condotta disciplinata dall’art. 570, secondo comma, n.2 c.p. consiste nel far venire meno i mezzi di sussistenza riguardo a specifiche categorie di soggetti ivi indicati (soggetti passivi).
Mentre soggetto attivo del reato sono gli ascendenti, i discendenti e il coniuge, con esclusione del coniuge cui sia addebitata la separazione.
L’esame dell’elemento oggettivo della condotta transita inevitabilmente tra tre requisiti essenziali: mezzi di sussistenza; stato di bisogno del soggetto passivo; capacità patrimoniale dell’autore del reato.
Per ciò che concerne i “mezzi di sussistenza” occorre fare una distinzione tra quest’ultimo concetto penalistico e quello civilistico di “mantenimento ovvero assegno alimentare”. Il primo comprende tutti i mezzi economici fondamentali a garantire il soddisfacimento delle più elementari esigenze della vita e anche altre esigenze connesse quali vestiario, libri, mezzi di trasporto etc. e rappresenta una piccola porzione sia del mantenimento sia dell’assegno alimentare.
Quest’ultimo, secondo dei concetti prima richiamati, qualora risultasse troppo esiguo rispetto alle necessità per le quali è stato stabilito dal giudice, può comportare l’integrazione del reato di cui all’art. 570 c.p. ma l’eventuale mancata corresponsione dello stesso, fissato in giusta misura dal giudice, non comporta de plano il perfezionamento della condotta vietata. Affinché ciò avvenga il giudice dovrà valutare se tale mancanza determini un venir meno di ogni mezzo necessario di sussistenza[2].
Secondo requisito richiesto dalla condotta è lo stato di bisogno della parte passiva, in quanto priva dei mezzi di sussistenza.
L’ultimo requisito interessa la capacità patrimoniale dell’obbligato. Egli non è tuttavia tenuto alla corresponsione qualora risultasse appieno incapace di provvedere per cause ad esso non addebitabili. La sola mera difficoltà non solleva l’obbligato dalla corresponsione, il quale è tenuto a provare rigorosamente la situazione eventuale di impossibilità assoluta essendo del tutto inidonea a tal fine la dimostrazione di una mera flessione degli introiti economici o la generica allegazione di difficoltà ad adempiere[3].
Nel caso di specie, l’omissione era dipesa dalle difficoltà economiche in cui il pervenuto si era venuto a trovare a causa di alcune attività commerciali avviate e non andate a buon fine e che la stessa Corte distrettuale definisce “generiche”.
Il procuratore ricorrente, tuttavia, sottolinea come la Corte d’appello abbia travisato “le prove, posto che le carte del processo avevano comprovato che l’imputato, nel periodo considerato di trentotto mesi, aveva versato l’importo dovuto solo per otto mensilità e una somma ridotta per altre sei mensilità, risultando del tutto inadempiente nelle restanti scadenze, nonché per il versamento delle spese straordinarie”.
Particolare tenuità del fatto: art.131 bis c.p.; applicabile in assenza di abitualità
L’art. 131 bis c.p.[4] è stato introdotto con l’art. 1, comma secondo, del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28.
La causa di non punibilità di cui al codesto articolo ha portata generale ma il legislatore ha limitato il campo di applicazione in relazione alla gravità del reato, desunta dalla pena edittale massima (cinque anni); ed alla non abitualità del comportamento. Il fatto particolarmente tenute va individuato alla stregua di caratteri riconducibili a tre categorie di indicatori: la modalità della condotta, l’esiguità del danno o del pericolo cagionato alla persona offesa dal reato; il grado della colpevolezza e quindi l’intensità del dolo o il grado della colpa.
La causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto costituisce figura di diritto penale sostanziale[5]. Esso persegue finalità connesse al principio di proporzione; con effetti deflattivi. La funzione principale è di sopprimere fatti marginali, che non necessitano di pena. Proporzione e deflazione si intrecciano quindi coerentemente.
La valutazione del giudice circa l’applicabilità o meno dell’art. 131 bis c.p. è soggetta alla verifica della sussistenza di un’offesa particolarmente tenute ad un bene giuridico tutelato dall’ordinamento, avendo riguardo agli indicatori prima menzionati valutati ai sensi dell’art. 133, primo comma, c.p. e alla non abitualità della condotta.
Si chiede in breve, un’equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta[6].
Nel caso di specie, la Corte d’appello aveva riconosciuto applicabilità dell’art 131 bis c.p. all’imputato seppur, come affermato dal Procuratore e poi dalla Corte di Cassazione nella sentenza in commento, non risultano sufficientemente date le motivazioni che hanno portato a tale decisione, avendo definito l’inadempimento come “saltuario e limitato a pochi mesi e a generiche difficoltà economiche”.
Costituisce ius receptum nella giurisprudenza di legittimità il principio secondo il quale, in tema di non punibilità per la particolare tenuità del fatto, il giudice è tenuto a motivare sulle forme di estrinsecazione del comportamento incriminato, al fine di valutarne la gravità, l’entità del contrasto rispetto alla legge e, conseguentemente, il bisogno di pena, essendo insufficiente il richiamo a mere clausole di stile[7].
Gli Ermellini valutata la fattispecie e non riscontrando la saltuarietà della condotta dell’imputato, richiamando un precedente principio affermano che: “la causa di estinzione della punibilità per particolare tenuità del fatto di cui all’art 131 bis cod. pen. è sì applicabile al reato di violazione degli obblighi di assistenza familiare, ma a condizione che l’omessa corresponsione del contributo al mantenimento abbia avuto carattere di mera occasionalità[8]; e la modesta entità del contenuto dell’obbligo contributivo imposto e non adempiuto non è di per sé sufficiente a configurare la causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto, avendo rilievo, a tal fine, le modalità e la durata della violazione[9]”.
Alla luce di ciò, accoglievano il ricorso ed annullavano il provvedimento con rinvio ad altra sezione della Corte per un nuovo giudizio.
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Note
[1] Art. 570 c.p. stabilisce che: “Chiunque, abbandonando il domicilio domestico, o comunque serbando una condotta contraria all’ordine o alla morale delle famiglie, si sottrae agli obblighi di assistenza inerenti alla responsabilità genitoriale, alla tutela legale o alla qualità di coniuge, è punito con la reclusione fino a un anno o con la multa da centotre euro a milletrentadue euro.
Le dette pene si applicano congiuntamente a chi:
1) malversa o dilapida i beni del figlio minore o del coniuge;
2) fa mancare i mezzi di sussistenza ai discendenti di età minore, ovvero inabili al lavoro, agli ascendenti o al coniuge, il quale non sia legalmente separato per sua colpa.
Il delitto è punibile a querela della persona offesa salvo nei casi previsti dal numero 1 e, quando il reato è commesso nei confronti dei minori, dal numero 2 del precedente comma.
Le disposizioni di questo articolo non si applicano se il fatto è preveduto come più grave reato da un’altra disposizione di legge.”
[2] In merito, Cass. Pen. Sez. VI, 8 luglio 2004, n.37137, secondo cui il delitto di cui all’art. 570 c.p. presuppone che l reo abbia fatto mancare all’avente diritto il minimum necessario per vivere, e non è configurabile quando la condotta sia consistita nella mera diminuzione del lussuoso tenore in precedenza garantito all’avente diritto. Vedi anche D&G- Dir. e giust., 2004, f. 37,38, con nota di pezzella.
[3] In questo senso, tra le tante, Cass. Pen., Sez.VI, n. 8063 del 08 febbraio 2012, G., Rv. 252427; Cass. Pen., Sez. VI, n. 41362 del 21 ottobre 2010; Cass. Pen., Sez. VI, n.2763 del 13 novembre 2008; Cass. Pen., Sez. VI, n. 10085 del 15 febbraio 2005;
[4] Art. 131 bis c.p. stabilisce che: “i reati per i quali è prevista la pena detentiva non superiore nel massimo a cinque anni, ovvero la pena pecuniaria, sola o congiunta alla predetta pena, la punibilità è esclusa quando, per le modalità della condotta e per l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’articolo 133, primo comma, l’offesa è di particolare tenuità e il comportamento risulta non abituale.
L’offesa non può essere ritenuta di particolare tenuità, ai sensi del primo comma, quando l’autore ha agito per motivi abietti o futili, o con crudeltà, anche in danno di animali, o ha adoperato sevizie o, ancora, ha profittato delle condizioni di minorata difesa della vittima, anche in riferimento all’età della stessa ovvero quando la condotta ha cagionato o da essa sono derivate, quali conseguenze non volute, la morte o le lesioni gravissime di una persona. L’offesa non può altresì essere ritenuta di particolare tenuità quando si procede per delitti, puniti con una pena superiore nel massimo a due anni e sei mesi di reclusione, commessi in occasione o a causa di manifestazioni sportive, ovvero nei casi di cui agli articoli 336, 337 e 341 bis, quando il reato è commesso nei confronti di un pubblico ufficiale nell’esercizio delle proprie funzioni.
Il comportamento è abituale nel caso in cui l’autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate.
Ai fini della determinazione della pena detentiva prevista nel primo comma non si tiene conto delle circostanze, ad eccezione di quelle per le quali la legge stabilisce una pena di specie diversa da quella ordinaria del reato e di quelle ad effetto speciale. In quest’ultimo caso ai fini dell’applicazione del primo comma non si tiene conto del giudizio di bilanciamento delle circostanze di cui all’articolo 69.
La disposizione del primo comma si applica anche quando la legge prevede la particolare tenuità del danno o del pericolo come circostanza attenuante”.
[5] Cass, pen., Sez. un., n. 13681/2016.
[6] Ivi, cosi anche in Cass. Pen. Sez. VI, n. 5765 del 21 novembre 2019.
[7] Cosi Cass. Pen., Sez. VI, n. 18180 del 20 dicembre 2018, dep. 2019, Venezia, Rv. 275940.
[8] Cass. Pen., Sez. VI, n. 16874 del 09 gennaio 2019, P., Rv. 275547.
[9] Cass. Pen., Sez. VI, n. 44683 del 15 settembre 2015, T., Rv. 265115.
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