Il Supremo Collegio è stato, pertanto, chiamato a stabilire se la nozione di “abuso di autorità” sia limitata alle ipotesi di abuso derivante da una formale posizione pubblicistica, quale potrebbe essere quella del pubblico ufficiale oppure vada estesa ai poteri di supremazia di natura privata, quale potrebbe rivelarsi quella di un insegnante privato rispetto ai propri alunni.
Quesito di non poco momento perché, ove la vittima abbia un’età inferiore ad anni quattordici, può rilevare per delimitare i confini tra il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis, I comma c.p. e il delitto di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p.
normativa di riferimento: violenza sessuale art. 609 bis, I comma c.p.; atti sessuali con minorenne art. 609 quater c.p.
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La vicenda giudiziaria
I fatti da cui ha origine la questione rimessa al Suprema Consesso riguarda proprio un insegnante privato di lingua inglese che costringeva, mediante abuso di autorità, due studentesse di età inferiore ad anni quattordici a subire e a compiere su di lui atti sessuali.
Nell’originario assunto accusatorio, infatti, si contestava al prevenuto il delitto di violenza sessuale ex art. 609 bis, I comma, c.p. aggravato ex art. 609 ter, I comma, n. 1 c.p., per aver commesso il fatto nei confronti di soggetti minori di anni quattordici.
Con sentenza del 22 gennaio 2015, il Giudice per l’udienza preliminare del Tribunale di Enna riqualificava i fatti di cui all’originaria incolpazione in atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater, IV comma, c.p., ritenendo modesto il grado di violenza e offensività insito nei comportamenti accertati ed escludendo l’aggravante di cui all’art. 609 ter, I comma, n. 1 non ritenendola applicabile all’insegnante privato.
La Corte d’Appello di Caltanisetta, invece, valorizzando l’originario costrutto accusatorio, condannava l’imputato per il reato di violenza sessuale ex art. 609 bis, I comma, c.p. aggravata ai sensi dell’ art. 609 ter, I comma, n. 1[1], con conseguente aggravio del trattamento sanzionatorio.
Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per il tramite del difensore, lamentando l’erronea applicazione degli artt. 609 bis e 609 quater c.p. in quanto “l’abuso di autorità” quale modalità della condotta del reato di violenza sessuale presuppone una posizione autoritativa di tipo formale e pubblicistico, in mancanza della quale deve trovare applicazione la fattispecie meno grave di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p.
Violenza sessuale per costrizione: brevi cenni.
Prima di procedere oltre nella disamina dell’ordinanza n. 2888/2020 della Corte, è opportuno delineare gli elementi di cui si compone la fattispecie di violenza sessuale ex art. 609 bis, I comma, c.p.
Tale disposizione, infatti, nasce all’esito di un complesso e farraginoso iter parlamentare, sfociato nell’approvazione della legge del 15 febbraio 1996, n. 66, con la quale sono state contestualmente abrogate le disposizioni relative alla violenza carnale (art. 519 c.p.), atti di libidine violenta (art. 521 c.p.) e l’ingiunzione carnale commessa con abuso della qualità di pubblico ufficiale (art. 520 c.p.).[2]
L’attuale formulazione del primo comma dell’art. 609 bis, pertanto, punisce la condotta di chi “con violenza o minaccia o mediante abuso di autorità costringe taluno a compiere o subire atti sessuali (…)”.
Anche definita come “violenza sessuale per costrizione” – per meglio distinguerla dalla fattispecie contemplata al secondo comma di “violenza sessuale per induzione”- la disposizione in esame legittima l’intervento punitivo ogni qual volta l’autore del reato abbia costretto la vittima a compiere o subire un atto sessuale, attraverso l’utilizzo di violenza, minaccia o abuso di autorità.
Se la violenza e la minaccia, quali modalità alternative di estrinsecazione della condotta costrittiva, non suscitano particolari perplessità ermeneutiche, al contrario il requisito dell’abuso di autorità ha sollevato la querelle esegetica su cui è chiamata a pronunciarsi proprio la Suprema Corte.
Quanto all’elemento soggettivo, il delitto di violenza sessuale richiede il dolo generico. È pertanto sufficiente che l’agente abbia la coscienza e la volontà di realizzare un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona non consenziente, sicché sono del tutto irrilevanti gli ulteriori scopi di diversa natura (ad esempio, concupiscenza, umiliazione della vittima, gioco sessuale) perseguiti dall’agente[3].
L’abuso di autorita’
In merito alla nozione di “abuso di autorità”, quale terza ed ultima modalità di manifestazione della condotta costrittiva, nell’ordinanza di rimessione in commento, la Suprema Corte evidenzia i diversi approdi interpretativi raggiunti dalla giurisprudenza.
Un primo e più risalente orientamento ritiene, infatti, che l’abuso di autorità di cui all’art. 609 bis, I comma c.p., presupponga in capo all’agente una posizione autoritativa di stampo formale e pubblicistico, in difetto della quale dovrà trovare applicazione la fattispecie meno grave di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater[4].
A sostegno di tale esegesi, si ripropone un argomento storico, in virtù del quale la fattispecie di cui all’art. 609 bis, I comma c.p. sostituisce la previgente disciplina di cui all’art. 520, ove vi era riferimento esplicito alla nozione di pubblico ufficiale.
Ne consegue che il concetto di “abuso di autorità” richiamato dall’art. 609 bis, I comma, c.p. coincida con l’abuso della qualità di pubblico ufficiale, prescritto nella vecchia formulazione dell’art. 520 c.p. e, pertanto, presuppone che l’agente ricopra una posizione autoritativa di stampo formale o pubblicistico.
Sulla base di siffatte premesse, in difetto di una qualsivoglia qualifica pubblicistica, la condotta di un insegnante privato, che commetta violenza sessuale ai danni di un alunno minore di anni quattordici, integrerebbe la fattispecie di cui all’art. 609 quater c.p., esulando dall’ambito di applicazione della violenza sessuale per costrizione.
Secondo un più recente orientamento, invece, la nozione di “abuso di autorità”, quale modalità di consumazione del reato di cui all’art. 609 bis, I comma, c.p., si estenderebbe ad ogni potere di supremazia, anche di natura privata, di cui l’agente abusi per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.
È di chiara evidenza la ratio di quest’ultimo orientamento interpretativo, finalizzato ad ampliare la tutela offerta al soggetto passivo.
Infatti, si estende il novero dei soggetti attivi del delitto di cui all’art. 609 bis, I comma c.p., ricomprendendovi ogni persona rivestita di supremazia o autorità, anche privata, senza particolari connotazioni pubblicistiche, che eserciti una forma di influenza o suggestione sulla vittima, al fine di coartarne la volontà o condizionarne il comportamento.
A sostegno di tale impostazione, nell’ordinanza in commento, la Corte propone due argomenti di carattere sistematico: il primo è l’art. 61, n. 11 c.p. che configura, quale circostanza aggravante comune, la condotta di chi commette un reato con “abuso di autorità o di relazioni domestiche ovvero con abuso di relazioni d’ufficio, di prestazione di opera, di coabitazione o di ospitalità”, ossia strumentalizzando rapporti di diritto privato.
In tale ultima disposizione citata, al pari che dell’art. 609 bis, I comma, c.p., non si rinviene alcun riferimento a situazioni autoritative di tipo pubblicistico, al contrario, invece, di quanto rileva nell’art. 608 c.p., – secondo argomento utilizzato dalla Corte – norma che punisce la condotta del pubblico ufficiale che sottopone una persona arrestata o detenuta a misure di rigore non consentite dalla legge.
Da ciò discende l’immediata conseguenza che, in assenza di un’espressa indicazione legislativa circa una precisa connotazione pubblicistica, la nozione di “abuso di autorità” può ricomprendere anche rapporti di natura privatistica.
Ne consegue che integrerebbero ipotesi di violenza sessuale mediante abuso di autorità: la condizione di convivenza dell’imputato con la madre del minore persona offesa[5]; il potere di supremazia dell’imputato sulla cognata minore destinataria degli atti sessuali[6]; la qualità di istruttore di arti marziali esercitata dall’imputato nei confronti dei suoi allievi minorenni[7]; la qualità di datore di lavoro strumentalizzata per costringere una segretaria a compiere atti sessuali[8]; la qualità di insegnante nei confronti di una ex alunna[9]; la posizione del cappellano del carcere nei confronti dei detenuti[10].
In conclusione la questione su cui le Sezioni Unite sono state chiamate a pronunciarsi, ha il pregio non solo di fornire un esatta, precisa e puntuale definizione della nozione di “abuso di autorità” ma, di riflesso, consente di tracciare confini più netti rispetto al delitto di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p.
Tale ultima fattispecie in parola mira alla salvaguardia del corretto sviluppo della personalità sessuale del minore, stabilendo al primo comma un’inviolabilità assoluta per la vittima infraquattordicenne, relativa e condizionata per la vittima infrasedicenne, richiamando quoad poenam il delitto di violenza sessuale e al secondo comma, invece, punisce con un trattamento sanzionatorio più mite – la cornice edittale prevede la pena della reclusione da un minimo di tre ad un massimo di sei anni – chi, abusando dei poteri connessi alla sua posizione, compia atti sessuali con un minorenne che abbia compiuto sedici anni.
La fattispecie de quo si ritiene sussistente ogni qual volta l’agente compia atti sessuali, senza costrizione, con minorenni il cui consenso risulta viziato dal mancato raggiungimento dell’età anagrafica richiesta dalla norma penale incriminatrice.
A ben vedere, quindi, è proprio la condotta costrittiva a fungere da discrimen tra la fattispecie di violenza sessuale, come descritta all’art. 609 bis, I comma c.p. e quella di atti sessuali con minorenne ex art. 609 quater c.p., a prescindere da possibili profili pubblicistici dell’”abuso di autorità” del soggetto attivo.
Il mancato riconoscimento alla condotta abusiva di tratti pubblicistici, infatti, non equivale ad estendere sic et simpliciter l’area dell’illiceità penale e a consentire l’incriminazione a titolo di violenza sessuale di ogni atto commesso con abuso di autorità, ma è pur sempre necessario che tale abuso sia strumentale a costringere la vittima a compiere o subire atti sessuali[11].
La questione rimane aperta, in attesa della pronuncia da parte del Supremo Consesso.
La pronuncia a Sezioni Unite
Le Sezioni Unite con la Sentenza n. 27236 hanno affermato che l’abuso di autorità cui si riferisce l’art. 609-bis, comma primo, cod. pen., presuppone una posizione di preminenza, anche di fatto e di natura privata, che l’agente strumentalizza per costringere il soggetto passivo a compiere o subire atti sessuali.
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Note
[1]Tale disposizione nella formulazione antecedente alla modifica intervenuta con legge n. 69 del 19 luglio 2019 puniva fatti di violenza sessuale commessi a danno di persona con età inferiore ai quattordici anni, con un trattamento sanzionatorio più severo.
[2]B. Romano, “Delitti contro la sfera sessuale della persona”, V ed., 2013, p. 99.
[3]Di questo avviso in dottrina F. Mantovani, “Diritto penale, Parte spec., I, Delitti contro la persona”, VI ed., Milano, 2016, p. 407. In giurisprudenza ex multis Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 4913, 22 ottobre 2014.
[4]così Cass. Pen, sez. un., sentenza n. 13, 13 maggio 2000.
[5]così Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 2119, 3 dicembre 2008.
[6]così Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 19419, 19 aprile 2012.
[7]così Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 37135, 10 aprile 2013.
[8]così Cass. Pen. sez. III, sentenza n. 49990, 30 aprile 2014.
[9]così Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 33042, 08 marzo 2016.
[10]così Cass. Pen., sez. III, sentenza n. 33049, 17 maggio 2016.
[11]Per una più completa disamina in merito cfr. S. Finocchiaro, “l’abuso di autorità dell’insegnante privato tra violenza sessuale (art. 609 bis c.p.) e atti sessuali con minorenne (art. 609 quater c.p.): la parola alle Sezioni Unite”, su Sistema penale, 20.02.2020.
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