La normativa di riferimento e la questione di legittimità costituzionale
Con sentenza n. 72 depositata il 15 marzo 2022[1], la Corte Cost. si pronuncia sulla questione di legittimità costituzionale, sollevata dal Consiglio di Stato (ordinanza n. 69/2021)[2] in merito all’art. 76 del Codice di Terzo settore, nella parte in cui riserva alle organizzazioni di volontariato (ODV) i contributi per l’acquisto di autoambulanze, di autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, escludendo gli altri enti del Terzo settore (ETS) anche qualora svolgano le medesime attività di interesse generale.
Al riguardo, in relazione al quadro normativo di riferimento si evidenzia come il Codice di Terzo (CTS) settore preveda diverse e svariate forme di sostegno agli ETS[3], al fine di valorizzare e sostenerne le finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale perseguite senza scopo di lucro.
In particolare, l’art. 73 del citato CTS ha disposto, al comma 1, il trasferimento delle risorse finanziarie del Fondo nazionale per le politiche sociali destinate alla copertura degli oneri relativi agli interventi in materia di Terzo settore di competenza del Ministero del lavoro e delle politiche sociali «per le medesime finalità, su un apposito capitolo di spesa iscritto nello stato di previsione» di tale Ministero. Inoltre, ha rimesso a uno o più atti di indirizzo ministeriali di determinare annualmente, «nei limiti delle risorse complessivamente disponibili, gli obiettivi generali, le aree prioritarie di intervento, le linee di attività finanziabili e la destinazione delle risorse per le seguenti finalità: a) sostegno alle attività delle organizzazioni di volontariato; b) sostegno alle attività delle associazioni di promozione sociale; c) contributi per l’acquisto di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali».
Il censurato art. 76 dispone poi inequivocabilmente che «le risorse di cui all’articolo 73, comma 2, lettera c), sono destinate a sostenere l’attività di interesse generale delle organizzazioni di volontariato attraverso l’erogazione di contributi per l’acquisto, da parte delle medesime, di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e di beni strumentali, utilizzati direttamente ed esclusivamente per attività di interesse generale, che per le loro caratteristiche non sono suscettibili di diverse utilizzazioni senza radicali trasformazioni, nonché per la donazione dei beni ivi indicati nei confronti delle strutture sanitarie pubbliche da parte delle organizzazioni di volontariato e delle Fondazioni (…)».
L’ordinanza di rimessione evidenzia come il beneficio economico ivi previsto sia «riservato esclusivamente alle organizzazioni di volontariato e non si [potrebbe] estendere ad altri enti del Terzo settore, nemmeno attraverso un’interpretazione costituzionalmente orientata». Si solleva dunque questione di legittimità costituzionale in merito al fatto se tale disposto realizzi una discriminazione tra gli ETS.
I contenuti dell’ordinanza del CDS. Il principio costituzionale di non discriminazione
In questa cornice di riferimento, osserva il Consiglio di Stato, il legislatore statuale ha una potestà discrezionale di scelta, in ordine alla definizione del regime giuridico di ciascun ente del Terzo settore, nell’esercizio insindacabile della funzione politica e in relazione agli obiettivi prescelti, tenendo conto della evidente complessità della materia[4].
In altri termini, spetta alla valutazione politica del legislatore individuare i soggetti ritenuti destinatari di determinate provvidenze economiche, orientate a realizzare le finalità di utilità sociale meritevoli di tutele e trattamenti fiscali di favore.
D’altro canto, anche la giurisprudenza della Corte costituzionale ha ripetutamente affermato questo principio, particolarmente rilevante quando il sostegno economico mira proprio a rafforzare particolari soggetti deboli o ritenuti comunque bisognosi di sostegno o ad incidere, oggettivamente, in peculiari ambiti. Al tempo stesso, però, il libero esercizio della funzione legislativa deve svolgersi senza oltrepassare i limiti della ragionevolezza e della proporzionalità, secondo il parametro dell’art. 3 della Costituzione.
Per un corretto bilanciamento dei diritti e interessi in gioco, risulta necessario verificare la correlazione tra la delimitazione soggettiva dei destinatari di una provvidenza patrimoniale e la sua connotazione oggettiva[5]. Il principio di non discriminazione può ritenersi rispettato solo qualora esista una «causa normativa» della differenziazione, che sia «giustificata da una ragionevole correlazione tra la condizione cui è subordinata l’attribuzione del beneficio e gli altri peculiari requisiti che ne condizionano il riconoscimento e ne definiscono la ratio».
Alla luce di quanto esposto, i Giudici del CDS contestano la pronuncia del Giudice di prime cure[6] che ritiene legittimo il beneficio attribuito alle sole ODV, in ragione della loro struttura e soprattutto della prevalente componente volontaristica che le caratterizza. Le peculiarità organizzative delle ODV attengono, infatti, alle modalità di perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale, mediante l’erogazione gratuita di beni e servizi, a fronte della quale le organizzazioni medesime possono ricevere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute.
Nello svolgimento dell’attività di interesse generale che costituisce l’oggetto sociale dell’ente, rileva quindi la prevalenza delle prestazioni dei volontari associati all’ente stesso. La mancanza di scopo di lucro costituisce, pertanto, solo uno degli elementi giustificativi del contributo, ma non l’unico.
In sostanza, il giudice di prime cure sottolinea come la innovativa differenziazione introdotta dall’art. 76 CTS tra le ODV vada ritenuta ragionevole sulla base del diverso rilievo del lavoro dipendente nelle diverse forme giuridiche che possono assumere gli ETS: da un lato, le ODV possono impiegare lavoratori dipendenti, ma senza «superare il numero complessivo dei volontari»; dall’altro, gli enti aventi forma diversa possono avvalersi di volontari, ma senza eccedere il numero dei dipendenti.
Di contro, nell’ordinanza del Consiglio di Stato si sottolinea come la diversa composizione dell’organizzazione lavorativa dell’ente potrebbe giustificare senz’altro discipline differenziate riferite a quello specifico aspetto (quali agevolazioni previdenziali, assicurative, retributive), mentre appare del tutto neutrale rispetto all’acquisto di beni strumentali allo svolgimento dell’attività di utilità sociale dell’ente. Il dubbio di legittimità costituzionale si sostanzia nella sospetta violazione del parametro di ragionevolezza ed eguaglianza, enunciata dall’art. 3 della Costituzione[7].
La pronuncia della Consulta. Codice di Terzo settore: uguaglianza nella diversità.
Il thema decidendum del giudizio si concentra sulla questione di legittimità costituzionale dell’art. 76 CTS, sollevata in riferimento all’art. 3 Cost.
Nella pronuncia in esame, i Giudici della Consulta premettono come il CTS abbia introdotto, per la prima volta nel panorama normativo, una definizione unitaria di ETS: tale qualifica, infatti, è riservata ai soli enti iscritti nel Registro unico nazionale del Terzo settore (RUNTS), destinatari di uno specifico sistema di favor e oneri, diverso da quello di tutti gli altri enti che pur svolgono attività di interesse generale[8].
In particolare, i tratti caratterizzanti del sistema degli ETS sono il perseguimento del bene comune (art. 1 CTS), lo svolgimento di attività di interesse generale (art. 5 CTS) senza perseguire finalità lucrative soggettive (art. 8 CTS), la soggezione a un sistema pubblicistico di registrazione (art. 11 CTS) e a rigorosi controlli (artt. da 90 a 97 CTS). Questo radica tale sistema in una dimensione che attiene ai principi fondamentali della nostra Costituzione, in quanto espressione di un pluralismo sociale rivolto a perseguire la solidarietà che l’art. 2 Cost. pone «tra i valori fondanti dell’ordinamento giuridico»[9] e a concorrere all’«eguaglianza sostanziale che consente lo sviluppo della personalità, cui si riferisce il secondo comma dell’art. 3 della Costituzione» [10]
Proprio in quanto tale, questo sistema è valorizzato ai sensi del principio di sussidiarietà orizzontale di cui all’art. 118, quarto comma, Cost., fino a dar vita, nell’art. 55 cod. terzo settore, a un modello di «amministrazione condivisa» tra gli ETS e le pubbliche amministrazioni[11].
In questi termini, il Codice di Terzo settore ha svolto senz’altro una funzione unificante, diretta a ordinare e a riportare a coerenza la disciplina degli ETS, superando le precedenti frammentazioni e sovrapposizioni.
Tuttavia – sottolineano a ragione i Giudici – ciò non si è risolto in una indistinta omologazione di tutti gli ETS. All’interno del perimetro legale di questa definizione, infatti, sono rimaste in vita specifiche e diverse caratterizzazioni dei modelli organizzativi, al punto che sono gli enti nella loro autonomia a individuare, variandola se necessario, quella che meglio consente, secondo la storia e l’identità di ciascuno, il raggiungimento dei propri fini istituzionali.
Permangono, inoltre, anche differenziazioni nei regimi di sostegno pubblico che si giustificano in ragione di diversi fattori, tra cui anche quello della specifica dimensione che assume strutturalmente, l’apporto della componente volontaria all’interno dei suddetti enti.
In riferimento al regime tributario applicabile[12], poiché l’attività di interesse generale svolta senza fini di lucro da tali enti realizza anche una forma nuova e indiretta di concorso alla spesa pubblica (ciò che deriva dal necessario reinvestimento degli utili in attività orientate a una funzione sociale), il Titolo X (Regime fiscale degli enti del terzo settore) del Cod. Terzo settore prevede misure di agevolazione fiscale che, sebbene con rilevanti diversità quanto a intensità, forme e modi, interessano però, in ogni caso, tutti gli ETS, comprese le imprese sociali[13]. Al riguardo ci si potrebbe interrogare se tale regime di favore non si ponga in contrasto con i princìpi costituzionali di cui agli artt. 3 e 53 Cost. e costituisca una forma di aggravio della spesa pubblica. In realtà si può pacificamente affermare che le richiamate esenzioni non comportano una diminuzione finanziaria del bilancio dello Stato: l’intervento pubblico nei settori in cui operano le associazioni non lucrative, infatti, comporterebbe una spesa di welfare di gran lunga superiore in proporzione alle minori entrate derivante dal citato regime fiscale di favore[14].
Tornando al regime fiscale introdotto per tali enti, si evidenzia come l’esigenza di una normativa unitaria divenga, invece, recessiva nella disciplina del Capo IV (Delle risorse finanziarie) del Titolo VIII (Della promozione e del sostegno degli Enti del Terzo Settore), che, anche razionalizzando forme di finanziamento preesistenti, identifica un ambito dove è prevalente l’elemento attinente alla tipologia organizzativa, al punto che la normativa in oggetto non conferisce alle imprese sociali alcuna forma di contributo statale diretto, riservandola esclusivamente ad altri ETS.
Al riguardo, proprio la disposizione censurata destina una quota delle risorse finanziarie previste dall’art. 73 CTS per l’acquisto di autoambulanze, autoveicoli per attività sanitarie e beni strumentali al sostegno delle attività di interesse generale svolte dalle sole ODV. Questa differenziazione si pone, come detto, alla base della censura del giudice a quo, diretta a vedere ristabilita la prevalenza della disciplina unitaria e a contestare la ragionevolezza della suddetta limitazione a discapito degli altri ETS.
Valorizzazione del ruolo del volontario
Le organizzazioni di volontariato (ODV), ai sensi dell’art. 32, comma 1, CTS «sono enti del Terzo settore costituiti […], per lo svolgimento prevalentemente in favore di terzi di una o più attività di cui all’articolo 5, avvalendosi in modo prevalente dell’attività di volontariato dei propri associati o delle persone aderenti agli enti associati».
Al riguardo, proprio la prevalenza dell’attività di volontariato[15] assume un rilievo centrale, perché incide anche sul sistema di finanziamento, come del resto conferma l’art. 33, comma 3, CTS, che vincola espressamente le ODV a ricevere, per l’attività di interesse generale prestata, «soltanto il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate».
Si tratta, in realtà, di un vincolo in qualche modo collegato al principio generale secondo cui «l’attività del volontario non può essere retribuita in alcun modo nemmeno dal beneficiario. Al volontario possono essere rimborsate dall’ente del Terzo settore tramite il quale svolge l’attività soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata, entro limiti massimi e alle condizioni preventivamente stabilite dall’ente medesimo. Sono in ogni caso vietati rimborsi spese di tipo forfetario»[16].
In altri termini, la necessaria prevalenza della componente volontaristica nella struttura costitutiva delle ODV si associa al fatto che la disciplina dell’attività di interesse generale di tali enti è permeata da un vincolo particolarmente stringente anche in relazione al modo di svolgimento della stessa, preordinato a esaltare quella caratteristica di gratuità che connota l’attività del volontario.
Questo aspetto non può essere considerato «neutrale» perché preclude alle ODV la possibilità di ottenere dallo svolgimento dell’attività di interesse generale margini positivi da destinare all’incremento dell’attività stessa[17] a differenza, in particolare, delle imprese sociali che possono percepire forme di corrispettivo dai destinatari delle prestazioni rese.
La Consulta prosegue rimarcando come sussiste quindi una definita linea di confine all’interno della pur unitaria categoria degli ETS: è ben vero che quelli che scelgono di svolgere attività economica – accettando i correlati vincoli, primo dei quali la rinuncia alla massimizzazione del profitto – possono essere considerati operatori di un “mercato qualificato”, quello della welfare society, distinto da quello che invece risponde al fine di lucro. Tuttavia, rimane fermo che tali soggetti hanno la possibilità di ricevere un corrispettivo per il servizio reso e quindi, anche in tal modo, procurarsi le risorse, cui fa riferimento la norma censurata, necessarie all’acquisto degli automezzi e dei beni strumentali al sostegno delle attività di interesse generale. Possibilità che invece è preclusa, come si è visto, alle ODV.
Sul punto si potrebbe però obiettare che tale aspetto non giustifica l’esclusione degli altri ETS, sull’assunto che di fatto anche questi potrebbero avere una «identica struttura […] costituita da metà lavoratori dipendenti e metà operatori volontari». L’obiezione posta in questi termini non può essere considerata corretta, perché alle ODV è normativamente imposta, come scelta non derogabile, una specifica proporzione interna: l’art. 33, comma 1, CTS prescrive chiaramente che «in ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari»[18].
Se quindi la regola generale è che tutti gli ETS «possono» avvalersi di volontari[19], una regola specifica impone alle ODV di avvalersene «in modo prevalente»[20].
Una prima ratio della norma censurata si rivela, quindi, quella di sostenere enti che non dispongono della possibilità di pattuire, per il servizio reso tramite l’attività di interesse generale, una remunerazione in grado di permettere l’acquisto o il rinnovo di automezzi e beni materiali strumentali.
Un’ulteriore ragione attiene poi alla centralità che il cod. terzo settore assegna alla figura del volontario.
Questo, infatti, è oggetto di una definizione positiva nell’art. 17, comma 2, dove si evidenzia che il volontario è «una persona che, per sua libera scelta, svolge attività in favore della comunità e del bene comune»; si prevede poi non solo che tutti «gli enti del Terzo settore possono avvalersi di volontari nello svolgimento delle proprie attività»[21] ma si attivano, altresì, strumenti per «promuovere e rafforzare la presenza ed il ruolo dei volontari negli enti del Terzo settore»[22]; infine, si fa carico a tutte le «amministrazioni pubbliche di cui all’articolo 1, comma 2, del decreto legislativo 30 marzo 2001, n. 165» del compito di diffondere la «cultura del volontariato»[23].
La descritta valorizzazione del volontariato ha solide ragioni: la Corte Cost. proprio in riferimento a tale forma di impegno civico ha affermato che la persona è «chiamata ad agire non per calcolo utilitaristico o per imposizione di un’autorità, ma per libera e spontanea espressione della profonda socialità che caratterizza la persona stessa»[24].
Si tratta della sottolineatura di un «modello fondamentale dell’azione positiva e responsabile
dell’individuo»[25], che ha assunto carattere sistematico nella giurisprudenza costituzionale portando a evidenziare come all’origine dell’azione volontaria vi sia l’emergere della natura relazionale della persona umana che, nella ricerca di senso alla propria esistenza, si compie nell’apertura al bisogno dell’altro[26] .
In tal modo il volontariato costituisce una modalità fondamentale di partecipazione civica e di
formazione del capitale sociale delle istituzioni democratiche, al punto che risulterebbe paradossale penalizzare proprio gli enti che strutturalmente sono caratterizzati in misura prevalente da volontari, a causa del limite del mero rimborso delle spese.
Si allinea alle valutazioni della Contre anche il ricorso dell’Avvocatura che, nel giudizio in esame esclude che l’art. 76 cod. terzo settore abbia un contenuto irragionevole o discriminatorio, poiché il legislatore non avrebbe introdotto ingiustificate disparità di trattamento tra enti operanti nel medesimo ambito di utilità sociale ma, al contrario, promuoverebbe e sosterrebbe «una categoria giuridica che per struttura e componente volontaristica è unica nel panorama degli enti del Terzo settore». In altri termini, la delimitazione soggettiva prevista dal citato art. 76 assolverebbe a una «funzione compensativa dei vincoli prescritti per le ODV»; non sarebbero pertanto conferenti i richiami del giudice a quo alle due sentenze di questa Corte.
Le ODV, infatti, si distinguerebbero dagli altri ETS per due tratti peculiari:
- in primo luogo, le modalità del perseguimento delle finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale che, per esse, avverrebbe attraverso l’erogazione gratuita di beni e servizi, a fronte della quale potrebbero «ricevere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate»;
- in secondo luogo, la prevalenza, nello svolgimento dell’attività di interesse generale che costituisce l’oggetto sociale dell’ente, delle prestazioni dei volontari associati all’organizzazione medesima.
Pertanto, insieme ad altre disposizioni[27] anche il censurato art. 76 si inserirebbe nel particolare regime descritto, «non per creare disparità di trattamento nei confronti dei vari soggetti appartenenti agli enti del terzo settore ma per riconoscere le peculiarità degli stessi nell’ambito di norme generali comuni». Infatti, a differenziare le ODV anche rispetto alle altre associazioni senza scopo di lucro varrebbe l’esclusiva finalità solidaristica e la gratuità delle prestazioni volontarie degli associati.
Nella specie si sarebbe «completamente al di fuori di un mercato di tipo economico governato dalle norme sulla concorrenza» e di conseguenza i contributi sarebbero concessi per acquistare beni necessari all’esercizio di attività di utilità sociale, per lo svolgimento delle quali le ODV potrebbero ricevere esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, «con esclusione, pertanto, di qualsiasi attribuzione a titolo di maggiorazione, mark up, ricarico o simili». Tale profilo costituirebbe, ad avviso dell’Avvocatura, un significativo elemento di esclusione delle cooperative sociali dal novero dei soggetti considerati dall’art. 76 cod. terzo settore, poiché, collocandosi esse sul mercato, l’eventuale accesso al contributo in parola «potrebbe avere un effetto distorsivo sui principi comunitari di tutela della concorrenza»[28].
D’altro canto, le «premialità riconosciute» alle ODV avrebbero come «contraltare l’osservanza di regole particolarmente stringenti riferite alla composizione della base associativa-sociale, agli organi sociali, e alle modalità di impiego delle risorse umane e finanziarie»[29].
Conclusioni. Non fondatezza della questione di legittimità costituzionale
La Corte, alla luce delle citate considerazioni, ritiene che non appaia irragionevole, né discriminatorio, che il contributo oggetto della norma censurata sia accessibile solo a ETS caratterizzati dal vincolo normativo alla prevalenza dei volontari e dal connesso principio di gratuità, con esclusione degli altri enti per i quali tale previsione non sussiste e che quindi
possono pattuire remunerazioni con cui autonomamente finanziare l’acquisto o il rinnovo dei beni considerati nella norma censurata.
Il filtro selettivo stabilito da quest’ultima appare pertanto coerente, per i motivi illustrati, con la ratio della stessa.
Nella previsione qui in esame, infatti, è la connotazione sostanziale a rendere ragione del contributo in questione, rivolto a enti in cui strutturalmente è prevalente la componente dei volontari e che, in forza della limitazione al rimborso delle spese, non potrebbero altrimenti reperire le risorse finanziarie necessarie all’acquisto o alla sostituzione degli automezzi e degli altri mezzi strumentali.
Rileva quindi, a differenza di quei precedenti, una giustificata connessione tra la specifica condizione che caratterizza tali soggetti e la ratio della misura di sostegno.
Il richiamo al legislatore: applicazione di un filtro meno selettivo per l’accesso ai finanziamenti
Nel giungere a tale conclusione di non fondatezza della questione sollevata nell’odierno giudizio[30], tuttavia, questa Corte non può non segnalare al legislatore che anche altri ETS si trovano o si possono trovare in una condizione ragionevolmente assimilabile a quella delle ODV. In particolare, ciò vale per le associazioni di promozione sociale (APS) che, in forza dell’art. 35, comma 1, cod. terzo settore, condividono il medesimo requisito della necessaria prevalenza dell’operare volontario delle persone associate; difatti, nell’impianto sistematico del citato codice, proprio in virtù dell’esistenza del medesimo carattere strutturale, le ODV e le associazioni di promozione sociale vengono accomunate sul piano dell’accesso a specifici regimi[31].
Del resto, anche le recenti Linee guida sul rapporto tra pubbliche amministrazioni ed enti del Terzo settore negli artt. 55-57 del d.lgs. n. 117/2017 (CTS)[32], specificano che ODV e associazioni di promozione sociale, avvalendosi «prevalentemente dell’attività dei propri associati-volontari», esprimono «una connotazione di tipo solidaristico più marcata rispetto agli altri enti del Terzo settore».
La Consulta si appella dunque al legislatore evidenziando come appaia quindi auspicabile che lo stesso intervenga a rivedere in termini meno rigidi il filtro selettivo previsto dalla norma censurata in modo da permettere l’accesso alle relative risorse anche a tutti quegli ETS sulla cui azione – per disposizione normativa, come nel caso delle associazioni di promozione sociale, o per la concreta scelta organizzativa dell’ente di avvalersi di un significativo numero di volontari rispetto a quello dei dipendenti – maggiormente si riflette la portata generale dell’art. 17, comma 3, cod. terzo settore, per cui al volontario possono essere rimborsate «soltanto le spese effettivamente sostenute e documentate per l’attività prestata»[33].
[1] Cfr. Corte Cost., sent. n. 72, dep. Il 15/03/2022, pubblicata in G. U. 16/03/2022.
[2] Con ordinanza del 9 novembre 2020 (reg. ord. n. 69 del 2021), il Consiglio di Stato, sezione terza, ha sollevato questioni di legittimità costituzionale dell’art. 76 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», in riferimento complessivamente agli artt. 2, 3, 4, 9, 18, 76 e 118, quarto comma, della Costituzione.
[3] In riferimento alla riforma del Terzo settore, v. In dottrina sulla recente riforma del Terzo settore, A. Fici, E. Rossi, G. Sepio, P. Venturi, Dalla parte del Terzo Settore. La Riforma letta dai suoi protagonisti, Roma-Bari, Laterza, 2020; A. Cosentino, L’economia della gestione degli enti del terzo settore. Prime riflessioni, Torino, Giappichelli, 2020; G.M. Colombo, A. Setti, Terzo settore. Aspetti civilistici, contabili e fiscali, Milano, Giuffrè, 2020; S. Boffano, P. Cella, Enti no profit al bivio. Linee guida per orientarsi nella Riforma del Terzo Settore, Milano, Egea, 2019; A. Fici (a cura di), La riforma del terzo settore e dell’impresa sociale. Una introduzione, Napoli, Esi, 2018; P. Consorti, L. Gori, E. Rossi, Diritto del Terzo settore, Bologna, Il Mulino, 2018; F. Loffredo, Gli enti del Terzo settore, Milano, Giuffrè, 2018; F. Farri, Le modifiche strutturali al quadro normativo del Terzo settore, «Riv. Dir. Trib.», 16 febbraio 2018; G. Rivetti, Enti senza scopo di lucro. Terzo settore e impresa sociale. Profili di specialità tributaria tra attività no profit o for profit, Milano, Giuffrè, 2017; A. Mazzullo, Il nuovo Codice del Terzo settore. Profili civilistici e tributari, Torino, Giappichelli, 2017.
[4] Cfr. Consiglio di Stato, ord. 9 novembre 2021, cit., p. 11 ss.
[5] Ivi, pp. 12 ss.: «i criteri adottati dal legislatore per la selezione dei beneficiari dei servizi sociali devono presentare un collegamento con la funzione del servizio (ex plurimis, sentenze n. 166 e n. 107 del 2018, n. 168 del 2014, n. 172 e n. 133 del 2013 e n. 40 del 2011). Il giudizio sulla sussistenza e sull’adeguatezza di tale collegamento – fra finalità del servizio da erogare e caratteristiche soggettive richieste ai suoi potenziali beneficiari – è operato da questa Corte secondo la struttura tipica del sindacato svolto ai sensi dell’art. 3, primo comma, Cost., che muove dall’identificazione della ratio della norma di riferimento e passa poi alla verifica della coerenza con tale ratio del filtro selettivo introdotto» (Corte cost. 9 marzo 2020 n. 44, nonché le decisioni da questa richiamate).
[6] Cfr. T.A.R. del Lazio, sez. III-bis, sent. n. 7114/2019.
[7] Peraltro – sottolinea ancora il Consiglio di Stato (p. 15) – l’irragionevolezza si connette strettamente al particolare ambito in cui si colloca la norma che disciplina il beneficio: gli incentivi alla strumentazione tecnica necessaria per l’attività economica correlata al perseguimento delle finalità di utilità sociale degli enti del Terzo settore, in ambito sanitario. In questo senso, pertanto, il riferimento al parametro centrale, costituito dall’art. 3 della Costituzione, va integrato con il sintetico richiamo agli articoli 2 (nella parte in cui tutela i diritti della persona nell’ambito delle formazioni sociali), 4 (nella parte in cui protegge il lavoro), 9 (per la promozione della ricerca tecnica), 18 (per la garanzia dell’associazionismo, in qualsiasi forma giuridica) e 118, comma quarto (per l’affermazione del principio di sussidiarietà orizzontale).
[8] Cfr. Corte Cost., sent. n. 131/2020, dep. il 26/06/2020, pubblicata in G. U. 01/07/2020. Questo insieme è «definito dall’art. 4 CTS, in forza del quale costituiscono il Terzo settore gli enti che rientrano in specifiche forme organizzative tipizzate (le organizzazioni di volontariato, le associazioni di promozione sociale, gli enti filantropici, le società di mutuo soccorso, le reti associative, le imprese sociali e le cooperative sociali) e gli altri enti “atipici” (le associazioni riconosciute o non riconosciute, le fondazioni e gli altri enti di diritto privato diversi dalle società) che perseguono, “senza scopo di lucro, […] finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale mediante lo svolgimento, in via esclusiva o principale, di una o più attività di interesse generale in forma di azione volontaria o di erogazione gratuita di denaro, beni o servizi, o di mutualità o di produzione o scambio di beni o servizi”, e che risultano “iscritti nel registro unico nazionale del Terzo settore”»
[9] Cfr. Corte cost. sent. n. 75/1992
[10] Cfr. Corte cost. sent. n. 500/1993.
[11] Cfr. Corte cost., sent. n. 131/2020, cit.
[12] Sul tema v., S. Di Diego, V. Tosi, La riforma del terzo settore, Maggioli Bologna, 2019; M.E. Roncato, S. Orlandi, La nuova disciplina fiscale degli ETS Enti del Terzo settore, Maggioli, Bologna, 2019; S. Gianoncelli, Regime fiscale del terzo settore e concorso alle spese pubbliche, «Riv. dir. fin. Sc. fin.», 2017, I, p. 295 ss.
[13] Per un approfondimento sulla disciplina delle imprese sociali, sia consentito il richiamo a F. Moroni, L. Gabbanelli, Imprese sociali 2022. Profili civilistici e fiscali, ebook, Fisco e Tasse – Maggioli, Bologna, 2022.
[14] Cfr. G. Rivetti, Enti senza scopo di lucro, Milano, Giuffrè, 2017, p. 220.
[15] Per un inquadramento pratico delle ODV, G. Visconti, Le organizzazioni di volontariato. Disciplina civilistica e fiscale 2022, ebook, Fisco e Tasse – Maggioli, Bologna, 2022; C. De Stefanis, Onlus – Associazioni volontariato e promozione sociale, ebook, Fisco e Tasse – Maggioli, Bologna, 2021. Si permetta anche il richiamo a F. Moroni, Volontariato e compatibilità con rapporto di lavoro: chiarimenti dal Ministero, in Fisco e Tasse, 14 marzo 2022; Id., Autoambulanze negli ETS: necessario intervento normativo per favorire l’uniformità, in Fisco e Tasse, 17 marzo 2022.
[16] Cfr. art. 17, comma 3, CTS.
[17] Salvo che per le attività diverse di cui all’art. 6 cod. terzo settore, che però possono essere solo «secondarie e strumentali rispetto alle attività di interesse generale».
[18] Lo stesso articolo inoltre stabilisce che le ODV possono assumere lavoratori dipendenti, ma solo entro precisi limiti di carattere “qualitativo”, cioè «occorrenti a qualificare o specializzare l’attività svolta», Corte cost., sent. n. 72/2021, cit., p. 13.
[19] Cfr. art. 17, comma 1, CTS.
[20] Cfr. art. 32, comma 1, CTS. Inoltre, nel caso delle imprese sociali, in particolare, la regola è oltretutto ribaltata, in quanto queste possono avvalersi di volontari, ma il numero degli stessi non può superare quello dei lavoratori, v. art. 13, comma 2, D.lgs. n. 112 del 2017.
[21] Cfr. art. 17, comma 1, CTS.
[22] Cfr. art. 63, comma 1, CTS.
[23] Cfr. art. 19, comma 1, CTS.
[24] Corte cost., sent. n. 75/1992.
[25] Ibidem.
[26] Corte cost., sentt. n. 131/2020 e n. 228/2004.
[27] V., ad esempio, gli artt. 56, comma 1, 72 e da 83 a 86 CTS.
[28] Corte Cost., sent. n. 72/2022, cit., p. 6. Si evidenzia che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, che ha chiesto di dichiarare inammissibili e comunque non fondate le questioni sollevate.
[29] Considerando il profilo del rapporto tra dipendenti e volontari, la difesa statale osserva che se tutti gli ETS possono avvalersi di volontari, solo nelle ODV tale apporto sarebbe così qualificante da dovere essere prevalente, come richiesto dall’art. 32 cod. terzo settore, e che, in forza del successivo art. 33, comma 1, «[i]n ogni caso, il numero dei lavoratori impiegati nell’attività non può essere superiore al cinquanta per cento del numero dei volontari». Infine, osserva sempre l’avvocatura, ulteriori limiti, propri delle sole ODV, riguarderebbero la gratuità delle cariche sociali – ai sensi dell’art. 34, comma 2, cod. terzo settore, ad eccezione degli organi di controllo – e l’acquisizione delle risorse finanziarie, potendo esse ricevere per le attività di interesse generale prestate esclusivamente il rimborso delle spese effettivamente sostenute e documentate, come previsto dall’art. 33, comma 3, cod. terzo settore.
[30] Nel dettaglio, la Corte Cost. dichiara inammissibili le questioni di legittimità costituzionale dell’art. 76 del decreto legislativo 3 luglio 2017, n. 117, recante «Codice del Terzo settore, a norma dell’articolo 1, comma 2, lettera b), della legge 6 giugno 2016, n. 106», sollevate, in riferimento agli artt. 2, 4, 9, 18 e 118, quarto comma, della Costituzione, dal Consiglio di Stato, sezione terza, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 2) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76 del d.lgs. n. 117 del 2017, sollevata, in riferimento all’art. 76 Cost., dal Consiglio di Stato, sezione terza, con l’ordinanza indicata in epigrafe; 3) dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell’art. 76 del d.lgs. n. 117 del 2017, sollevata, in riferimento all’art. 3 Cost., dal Consiglio di Stato, sezione terza.
[31] Ad esempio, nell’art. 56, in relazione alle convenzioni; nell’art. 67, relativamente all’accesso al credito agevolato; nell’art. 68, in relazione ai crediti privilegiati; nell’art. 72, in riferimento al finanziamento di progetti.
[32] Le Linee guida sono state approvate con decreto del Ministro del lavoro e delle politiche sociali 31 marzo 2021, n. 72.
[33] Corte cost., sent. n. 72/2021, cit., p. 14.
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