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I GIORNATA, 26 ottobre 2006
Ore 15.30 – 16.00 Registrazione partecipanti
Ore 16.00 – 17.00 Apertura dei lavori e Saluti
Adolfo Ferraro
Direttore OPG Aversa
Angela Ruggiero
Direttore ASL Ce2
Tommaso Contestabile
Provveditore Regionale Campania – Ministero della Giustizia
Domenico Ciaramella
Sindaco di Aversa
Ore 17.00 – 19.00 Evento Speciale – Sala Virgilio:
“Depressione e Suicidio Allargato”
Ore 17.00 – 17.30: “Il Passaggio dal Suicidio all’Omicidio e dall’Omicidio al Suicidio”
Giancarlo Nivoli
Direttore Clinica Psichiatrica Università di Sassari –
Pres. Società Italiana Psichiatria Forense
Ore 17.30 – 18.00: “Il Suicidio in Carcere”
Stefano Ferracuti
Docente Clinica Psichiatrica Università La Sapienza – Roma
Ore 18.00 – 18.30: “Dal Suicidio allargato all’Omicidio allargato”
Francesco Bruno
Titolare cattedra di Psicopatologia Forense – Università La Sapienza – Roma
Ore 18.30 – 19.00: Discussione Interattiva con gli Esperti sulle Tematiche trattate
II GIORNATA, 27 ottobre 2006 – Sala Teatro
I SESSIONE
Moderatore: Mario Maj
Dir. Clinica Psichiatrica Univ. di Napoli,
Pres. Società Mondiale di Psichiatria
Ore 08.30 – 09.00: Verifica Presenze
Ore 09.00 – 09.40: “Famiglia di Tebe e Famiglia di Corinto”
Romolo Rossi
Ordinario di Psichiatria Clinica Psichiatrica Genova
Psicoanalista
Ore 09.40 – 10.20: "Figlicidio e abbandono dei neonati".
Isabella Merzagora
Titolare Cattedra di Criminologia Università di Milano
Angelo De Micheli
Cattedra di Criminologia Università di Milano
Ore 10.20 – 11.00: “Dove và la famiglia del terzo Millennio”
Francesco Bruno
Titolare cattedra di Psicopatologia Forense – Università La Sapienza – Roma
Ore 11.00 – 11.30: Pausa Lavori
Ore 11.30 – 12.10: “Profili di Sviluppo della Personalità oppositiva – antisociale”
Stefano Ferracuti
Docente Clinica Psichiatrica Università La Sapienza – Roma
Ore 12.10 – 12.50: “Le madri che uccidono”
Giancarlo Nivoli
Direttore Clinica Psichiatrica Università di Sassari –
Ore 12.50 – 13.30: Discussione Interattiva con gli Esperti sulle Tematiche trattate
Ore 13.30 – 14.30: Pausa Lavori
II SESSIONE
Moderatore: Salvatore De Feo
Direttore OPG Napoli
Ore 14.30 – 14.50: “Delitti in famiglia, esecuzione della pena e concessione dei benefici penitenziari".
Natale Fusaro
Coord. Master in Scienze Forensi, Univ.“La Sapienza” Roma
Ore 14.50 – 15.10: “Arsenico, pallottole, lame taglienti ed un rivolo di sangue:
il cinema ed i delitti all’interno delle mura domestiche”
Ignazio Senatore
Psichiatra E. P. Clinica Psichiatrica Univ. Federico II, Napoli
Ore 15.10 – 15.30: “Il mio Viaggio nella mente di Medea e Cronos”
Alessandra Bramante
Psicologa – Milano
Ore 15.30 – 15.50: “Il vaso delle Danaidi. Analisi dell’Uxoricidio”
Simonetta Costanzo
Docente Univ. della Calabria, Cosenza
Ore 15.50 – 16.10: “Datità e Verità nel Delirio”
Carlo Pastore
Psichiatra, Dir. Scuola Sperim. Formaz. Psicoter. e Ric. Scienze Umane ASL NA1
Ore 16.10 – 16.30: “Abusi Sessuali nell’ambito familiare: una visione territoriale di casi psichiatrico-forensi”
Manlio Russo
Psichiatra – Napoli
Ore 16.30 – 17.00: “Figli che uccidono”
Paolo De Pasquali
Psichiatra – Criminologo, Univ. La Sapienza di Roma
Ore 17.00 – 17.30: Discussione Interattiva con gli Esperti sulle Tematiche trattate
Ore 17.30 – 19.30 : Evento Speciale (Sala Virgilio)
“La cura nella famiglia”
Ore 17.30 – 18.00: “Il Ruolo delle Associazioni”
Rino Colavecchia – Napoli
Bianca Maria de Chiara – Napoli
Ore 18.00 – 18.30: “I reati in famiglia nell’attuale popolazione dell’OPG di Castiglione delle Stiviere:
confronto tra i due sessi”(al 31.12.2005)."
Antonino Calogero
Psichiatra, Dir. OPG Castiglione delle Siviere
Ore 18.30 – 19.00: "Il Ruolo degli antipsicotici nel trattamento delle psicosi correlate"
Silvestro La Pia
Psichiatra, Psicofarmacologo Dsm NA4 Ambulatorio antipsicotici atipici
Ore 19.00 – 19.30: Discussione Interattiva con gli Esperti sulle Tematiche trattate
Pres. Società Italiana Psichiatria Forense
III GIORNATA, 28 ottobre 2006 – Sala Teatro
I Sessione
Moderatore: Goffredo Sciandone
Ordinario di Medicina Legale II Università di Napoli
Ore 08.30 – 09.00: Verifica Presenze
Ore 09.00 – 09.40: “Psicobiografia di alcune madri figlicide”
Vincenzo Mastronardi
Psichiatra, Criminologo Clinico,
Titolare Psicopat. Forense I Facoltà Medicina Univ. “La Sapienza” Roma
Ore 09.40 – 10.20: “Quando la donna uccide”
Massimo Picozzi
Psichiatra, Criminologo
Ore 10.20 – 11.00: "L’uccisione di un modello insano: il patricidio".
Antonello Crisci
Associato di Medicina Legale II Università di Napoli
Ore 11.00 – 11.30: Pausa Lavori
Ore 11.30 – 12.10: "Dai maltrattamenti all’omicidio: la valutazione del rischio di recidiva".
Anna Baldry
Associato Psicologia Sociale – S.U.N.
Ore 12.10 – 12.50: “Delitti in Famiglia o Delitti di Famiglia?”
Gennaro Galdo
Psichiatra – Napoli
Ore 12.50 – 13.30: Discussione Interattiva con gli Esperti sulle Tematiche trattate
Ore 13.30 – 14.30: Compilazione Questionari ECM finali
Chiusura Lavori
Verifica presenze
Sezione Poster
E’ possibile partecipare esponendo un o più Poster inerenti gli argomenti del Convegno.
Una Commissione Scientifica valuterà i lavori che dovranno essere preventivamente inviati in formato elettronico (Word o Pdf) entro la data del 15 ottobre 2006 all’indirizzo poster@opgaversa.it
Una e-mail di riposta confermerà l’avvenuta valutazione ed accettazione del lavoro, che dovrà venire esposto, a cura dell’autore, non oltre le ore 16,00 del 26 ottobre, data di inizio dei lavori.
Il miglior lavoro, valutato in sede dalla stessa Commissione Scientifica, verrà pubblicato su "InterAzioni – Psichiatra e Giustizia", rivista scientifica dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Aversa.
E’ possibile ricevere qualsiasi tipo di informazione inerente il Convegno, inviando una e-mail oppure telefonando direttamente al dott. Massimiliano De Somma al 338/7445862
Questo Convegno di Studi è dedicato alla memoria del Dott. Alfredo Paolella
ABSTRACT
Dai maltrattamenti all’omicidio: la valutazione del rischio di recidiva
Anna Baldry – Roma
La cronaca in Italia ci ricorda, di media ogni quattro giorni, che l’uxoricidio (l’uccisione della partner o ex partner) non è un fenomeno raro. Ma può, l’omicidio e la recidiva dei maltrattamenti essere prevenuto? Dopo aver preso in rassegna le ricerche e le prassi operative attualmente esistenti a livello nazionali e internazionale sul fenomeno dei maltrattamenti e sulla normativa in materia, partendo da un’analisi dettagliata degli approcci della valutazione del rischio adoperati a livello internazionale, verrà presentato quello in sperimentazione in Italia, il SARA (Spousal Assault Risk Assessment).
Questo metodo verrà spiegato in maniera semplice ma efficace; l’uditore verrà guidato nell’apprendimento della prassi attraverso la presentazione dei risultati di una ricerca longitudinale su un campione di 395 vittime di reato, la spiegazione dei formulari SARA e delle schede sulla violenza e illustrando i primi risultati sull’efficacia predittiva della valutazione recidiva.
Il mio viaggio nella mente di Medea e di Cronos
Alessandra Bramante
Studi italiani e stranieri ci dicono che quando viene ucciso un bambino, soprattutto se piccolo, il suo carnefice la maggior parte delle volte va ricercato all’interno della sua famiglia, proprio in quel luogo che avrebbe l’obbligo di proteggerlo e di dargli sicurezza, quel luogo che, forse oggi più di ieri, diventa troppo spesso teatro di sbalorditive atrocità.
Ecco che si sentono i soliti commenti: “come può essere successo”, “era una brava madre e amava il suo bambino”, “era un pò solitario ma voleva bene alla sua famiglia”, “era cambiata dopo il parto”, e poi subito il pensiero della gente vola alla ricerca del perchè, della spiegazione del fatto, cosa di fondamentale importanza per noi esseri umani al fine di poterlo “metabolizzare ed archiviare” nella nostra mente. E quale miglior e più tranquillizzante spiegazione della follia? Si perchè quando un fatto ci colpisce e spaventa preferiamo pensare che sia stato un “matto” a commetterlo, perchè noi non siamo “matti” e quindi non lo potremmo fare mai.
Ma realmente non sempre è così, ci sono casi in cui non è la malattia mentale a fungere da primo movens alla commissione del reato bensì un lucido ed intenzionale desiderio di eliminare l’oggetto odiato o in altri casi il desiderio di punire, attraverso l’uccisione del figlio, il vero oggetto dell’odio, il partner.
L’interesse, la curiosità ed in alcuni casi l’incredulità e l’angoscia che il figlicidio suscita, mi hanno portata ad intraprendere un vero e proprio viaggio nella mente di Medea e di Cronos, dei genitori che uccidono i figli. Ho analizzato le storie, raccolto i commenti dei principali attori, studiato le modalità e ricercato quel “perchè” tanto amato e necessario all’essere umano.
Dove và la famiglia del terzo Millennio
F. Bruno – Roma
L’importanza della famiglia nella genesi dei comportamenti devianti è ormai un fatto noto in criminologia e in psicologia da tantissimi anni. Sappiamo bene come gli psicopatici, i tossicodipendenti, i criminali di ogni tipo vengono da famiglie che nella gran parte dei casi sono effettivamente disgregate per l’assenza, la morte, l’allontanamento di uno dei genitori o i cui equilibri interni appaiono fortemente compromessi e all’interno dei quali si genera una notevole sofferenza, una notevole disagio per i bambini i quali saranno costretti a crescere in un ambiente in cui invece di essere protetti come dovrebbe essere, si difendono dalle insidie e da angosce di ogni tipo. Naturalmente, non vogliamo dire che i serial killer o comunque qualunque altro tipo di situazione deviante siano una necessaria conseguenza di una famiglia di questo tipo, sappiamo che le famiglie che non funzionano o che comunque per un motivo o per un altro sono disgregate, sono moltissime e per fortuna quelle devianti ne costituiscono comunque una parte minoritaria.
In altri termini la disgregazione della famiglia è senz’altro un fattore che facilita l’emergere di una situazione deviante, ma non è la condizione necessaria e assoluta. Molti ragazzi che vengono da famiglie distrutte o fortemente conflittuali riescono a costituirsi una forte personalità e percorrono un cammino adeguato per il loro futuro, non sappiamo quindi esattamente come, in quale modo le famiglie agiscano sulla formazione di questi stati di diversità, di condizioni di sofferenza che poi si traducono in una condotta che tende ad infrangere le regole del vivere sociale. Questo è vero, come abbiamo detto, in modo aspecifico per quasi tutte le condotte devianti, non possiamo differenziare all’interno delle famiglie disgregate quale darà i natali ad un delinquente, o ad un malato di mente, o a un deviante.
Il percorso evolutivo sembra andare verso forme sempre meno numerose di famiglia: dall’orda al branco, dalla società alla famiglia, dalla famiglia allargata a quella nucleare, dalla coppia all’ individuo.
le funzioni fondamentali della coppia si possono riassumere nelle seguenti: Sessualità e riproduzione; Relazione sociale e culturale; Cura ed educazione dei figli; Funzione economica; Funzione di solidarietà ed assistenza. La perdita progressiva di funzioni porterà a nuove aggregazioni determinate da nuove basi che, per ora, sembra azzardato prevedere. La crisi, oggi è ancor più drammatica di sempre e porta a comportamenti socio e bio distruttivi.
Dal Suicidio allargato all’Omicidio allargato
Francesco Bruno – Roma
La problematica è quella del mass murder, ovvero dell’ omicidio di massa. Questa fenomenologia omicida sta crescendo moltissimo ed anche in Italia, sebbene con caratteristiche un po’ diverse rispetto a quelle che assume negli USA, non vi è quasi giorno senza che qualcuno non decida di portare con sé nel suo impeto distruttivo ed autodistruttivo l’ intera famiglia o parte dei suoi nemici. I mass murder si differenziano in tipici o atipici; uccidono in famiglia e fuori di essa, iniziano intorno ai 40 anni o più tardi. Le loro motivazioni principali riguardano la depressione, la vendetta, la rivalsa, la missione, il richiamo dell’attenzione, rappresentano infatti una sorta di “suicidio alternativo di tipo egoistico” in cui si sceglie di cancellare il mondo dal soggetto piuttosto che il soggetto dal mondo. Quasi sempre finiscono con il suicidio vero e proprio del protagonista, che viene ucciso come se si uccidesse un nemico: “Muoia Sansone con tutti i Filistei”.
I problemi psichiatrici sono rappresentati da due possibili diversi nuclei che si riflettono poi in due diverse tipologie fenomeniche: la depressione con suicidio allargato (si manifesta prevalentemente in famiglia), lo stato paranoicale con elaborazione paranoicale della frustrazione e spostamento all’esterno di una grande quota di aggressività. Si associano frequentemente disturbi di personalità, disturbi relazionali, schizoidismo, fanatismo. Si accompagnano a manifestazioni plurime di distruttività non solo degli animali.
Gli episodi sono spesso precipitati da un vero e proprio delirio megalomanico con condizione d’eccitamento e sviluppo di volontà di potenza. E’ come se il soggetto subisse in modo acuto e per cause diverse un vero e proprio collasso dell’IO con un agito che perde il suo controllore e che viene vissuto in prima persona dalle istanze superegoiche della personalità che prendono direttamente il controllo degli impulsi distruttivi e li esercitano in modo catastrofico.
Esistono frequentemente segnali premonitori che possono consentire una prevenzione del caso specifico. Tuttavia quando si mette in moto la concatenazione d’eventi distruttivi, dopo una fase variabile in cui è possibile una negoziazione, non si riescono più a gestire e bisogna intervenire autoritariamente. Usano armi da fuoco, anche mitraglitori.
I reati in famiglia nell’attuale popolazione dell’OPG di Castiglione delle Stiviere:
confronto tra i due sessi”(al 31.12.2005)
Antonino Calogero – Castiglione delle Siviere
Introduzione
La famiglia è una realtà psicologica dove gli stadi evolutivi dei suoi componenti, figli in particolare, sono “forgiati” all’interno delle complesse dinamiche relazionali tali da determinare affermazione o il fallimento a secondo del grado di “normalità” e maturità delle figure genitoriali. È sempre possibile dimostrare un legame sottile e preciso tra le relazioni affettive intrafamiliari e patologia mentale e, nei casi estremi, sempre più frequenti, tra questa ed il reato.
È cresciuto il disagio mentale a livello sociale ed è sempre più necessario intervenire sulle difficoltà delle persone affette da disturbi mentali gravi e delle loro famiglie al fine di evitare disabilità, cronicizzazione ed emarginazione sociale. Sono aumentati i bisogni della famiglia in relazioni ai vari momenti cruciali del loro ciclo vitale, ma non sempre si riesce a dare delle risposte adeguate alle varie problematiche esistenziali che si presentano durante il loro percorso. Abbastanza spesso ciascuno è lasciato a sé, un po’ alla deriva fino agli eventi delittuosi irreparabili. Dopo di che, si mette in moto, con una certa efficienza, la “macchina” giudiziaria che finisce per dovere dare risposte là dove altri sarebbero dovuti intervenire (prevenendo).
È nota la problematicità della famiglia del paziente schizofrenico (il 70% circa della popolazione dell’OPG), che con la sua profonda radice relazionale e sociale contribuisce alla determinazione della malattia (Lidz e collaboratori). La impossibilità, da parte del soggetto “designato”, a sottrarsi al sistema della comunicazione paradossale intrafamiliare lo conduce alla “follia”. La portata del condizionamento, la “simbiosi” e la marcata dipendenza lasciano intravedere la portata dell’energia aggressiva messa in gioco e il grado di conflittualità del sistema, da cui poi possono scaturire gravi ritorsioni verso uno o entrambe le figure genitoriali.
Negli ultimi anni si è andato registrando un aumento degli omicidi legati ai disturbi mentali (dati Eures 2004) e, prevalentemente, all’interno del nucleo familiare.
Anche la popolazione ospitata presso l’OPG di Castiglione è cambiata negli anni, con uno spostamento percentualmente significativo verso i reati contro la persona ed in particolare contro uno o più componenti del nucleo familiare.
La famiglia, crogiolo di affetti, può trasformarsi in luogo di violenti crimini, dove a farne le spese sono ora i figli da parte dei genitori (la madre prima di una certa età, il padre quando sono grandi), ora i genitori da parte dei figli, quando questi sono grandi. Seguono i reati tra i coniugi e poi tutti gli altri componenti della famiglia dai fratelli, nonni, zii cognati ecc. Cambiano i contendenti ma il risultato è la violenza con allo sfondo la “follia”.
La metodologia
È stata presa in considerazione la popolazione dell’OPG alla data del 31 dicembre 2005. Da questo si è estrapolato il campione di quanti hanno commesso reati contro la persona ed, in particolare, quelli commessi contro la famiglia.
Si è voluto indagare su:
-
· La percentuale dei reati in famiglia rispetto agli altri tipi di reati (confronto tra de 2005 con il 2001).
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· La tipologia dei reati commessi in famiglia e la differenza tra i due sessi.
-
· La tipologia della vittima nei reati in famiglia e per sesso.
-
· Reati in famiglia e provenienza geografica.
-
· Correlazione tra diagnosi e reato e vittima nei due sessi.
La popolazione al 31 dicembre 2005 è costituita da 221 soggetti di cui 133 maschi e 88 donne. I reati contro la persona sono 157 (71%), dato rimasto al di sopra del 70% negli ultimi cinque anni. I pazienti che hanno commesso reato in famiglia sono 93 e rappresentano il 42%. In questo campione i soggetti affetti da disturbo riconducibile allo spettro della schizofrenia e sindromi deliranti sono IL 74%, segue nell’ordine il 15% di disturbi della personalità, 8% di sindromi affettive gravi, 1% ritardo mentale, 2% psicosi indotta da alcole o sostanze stupefacenti. Il confronto delle diagnosi nei due sessi evidenzia negli uomini una maggiore rappresentatività dei disturbi di personalità (17%) e meno dei disturbi dell’umore (4%), mentre vi è la tendenza opposta nelle donne dove entrambe queste diagnosi si attestano al 12%. Anche la “Sindrome schizoaffettiva” è più rappresentata nelle donne (89%) rispetto agli uomini (11%).
Risultati
La tipologia dei reati in famiglia vede al primo posto l’omicidio con 47% dei casi, seguono tentato omicidio e maltrattamenti al 18%, lesioni personali al 14% e reati sessuali ed altro al 3%. Le donne esprimono il loro disagio commettendo più omicidi (69%) rispetto ad altre forme di delitti, mentre gli uomini distribuiscono il loro comportamento violento in più forme di reato: omicidio (29%), tentato omicidio 23%, lesioni personali (15%), maltrattamenti (29%). La tipologia della vittima vede al primo posto i genitori con il 56%, dei casi, seguono i coniugi/conviventi con il 17%, i figli con il 13%, i fratelli/sorelle con il 6%, gli altri familiari (nonni, zii, nipoti, cognati) con 8%. Nei 52 casi in cui la vittima è il genitore abbiamo una netta prevalenza della madre (58%), il padre (25%), entrambi i genitori (17%).
La madre è la vittima maggiormente designata per entrambi i sessi. Segue il padre che è la vittima più rappresentata per i maschi, nettamente inferiore per le donne. Questa differenza si assottiglia nei casi di omicidio in cui la donna dirige la sua aggressività totale anche verso la madre. Ma è significativamente differente il comportamento reato espresso dalla donna, rispetto all’uomo, soprattutto nei confronti di due categorie di vittime: i figli (83% per la donna e 17% per l’uomo) ed i mariti (75% per la donna e 25% per l’uomo), con una forbice ampiamente differenziata. La donna del nostro campione, quando si scompensa, non compie lesioni personali e meno ancora maltrattamenti ma, con un meccanismo di tutto o nulla, commette l’omicidio. Nel caso delle donne se la vittima è il figlio l’età media si aggira tra 3-4 anni.
Il raggruppamento più rappresentativo, nei due sessi, è la schizofrenia. Mentre divergono in modo significativo per i disturbi di personalità (17% uomini, 12% donne) ed in modo più marcato per i disturbi affettivi (4% uomini, 12% donne). Nel caso di omicidio nelle donne, la correlazione tra diagnosi e vittima evidenzia in modo significativo che le persone affette da schizofrenia tendono ad esprimere l’aggressività verso i genitori (37%) e mariti (37%), mentre quelle con disturbi affettivi verso i figli (67%). La sindrome schizoaffettiva (maggiormente rappresentata nelle donne), si correla con la tipologia della vittima in una forma intermedia tra la schizofrenia e i disturbi dell’umore, figli 43% e genitori 29%. Il valore di malattia legato alla depressione è determinante per il reato di figlicidio, mentre gli aspetti più dissociativi si correlano più con il matricidio (29%) e parricidio (13%). I pazienti con disturbo di personalità esprimono la loro massima aggressività verso i genitori nel 64% dei casi. Scarsamente significativa è la correlazione tra tipologia della vittima e la provenienza geografica del paziente con eccezione dei casi di figlicidio che nel 58% provengono dall’area del NORD e dalla Lombardia in particolare (25%).
Conclusioni
La ricerca dimostra che il cambiamento della popolazione OPG, dei suoi individui rispecchia quando sta accadendo nell’ambito sociale. Abbiamo a che fare con pazienti prevalentemente schizofrenici e affetti da disturbo di personalità, spesso complicati da doppie diagnosi. L’OPG di Castiglione ospitando l’unica sezione femminile del territorio nazionale può osservare le analogie ma anche le differenze tra i due tipi di popolazione, precisando che quella maschile non può essere considerata un “osservatorio nazionale” come per la femminile. La patologia di genere impone di guardare la realtà femminile in maniera differente di quella maschile. È un modo diverso di esperire la vita, di provare sentimenti, di vedere la realtà. Ma anche un modo diverso di provare e reagire alle malattie, anche nelle sue componenti più organiche (risposte ai farmaci). Ma nella nostra ricerca, in modo più pragmatico, andiamo a valutare in relazione al reato, alla diagnosi ed alla tipologia della vittima se vi sono delle divergenze di una certa significatività tra il mondo maschile e quello femminile.
La prima lettura che si può fare è che la famiglia, per la donna, in caso di disagio psichiatrico (e non solo), può rappresentare un luogo a più o meno alto grado di “conflittualità”, differente di quanto possa avvenire per l’uomo.
La donna, concepita da sempre come “l’angelo del focolaio” deve coniugare, nella moderna società industriale, il lavoro all’esterno con l’impegno domestico (responsabilità della gestione della casa, accadimento dei figli, ecc.). E’ la donna in particolare a farsi carico delle problematiche psichiatriche, quando si manifestano, all’interno di una famiglia sempre più “nucleare” e isolata. Dalla nostra ricerca emerge che la donna del nostro campione commette omicidio nel 69% (tollera finchè le è possibile poi agisce senza altre forme intermedie di reato) e le vittime “designate” si collocano all’interno delle relazioni significative madre-figli e moglie-marito. Tentativo “maldestro” di eliminare i componenti del nuovo nucleo familiare, ritenuti causa del suo disagio.
La donna commette il reato prevalentemente nell’ambito familiare. Mentre l’uomo sposta la sua carica aggressiva, anche fuori dallo stretto nucleo familiare.
La correlazione tra diagnosi e tipologia della vittima, sembra confermare il dato che le patologie con aspetti più dissociativi si correlano con un’aggressività agita verso le figure genitoriali (madre in particolare) ed il coniuge, quelli con aspetti più “depressivi” prevalentemente nei confronti dei figli.
Bibliografia
Arieti S. (1985) “Manuale di Psichiatria”. Editore Boringhieri, Torino.
Catanesi R, Troccoli G, (1994) “La madre omicida. Aspetti criminologici”, Rassegna di Criminologia, n. 2, pg. 167
Deutsch H (1946) Psicologia della donna, Boringhieri, Torino
D.P.R. del 10 novembre 1999 Progetto Obiettivo “Tutela della Salute Mentale 1998-2000”.
Eures Ricerche Economiche e Sociali, Rapporto 2004 sull’Omicidio volontario in Italia, Roma 2005.
Fornari U. (3° Ed.) Trattato di Psichiatria Forense
Kaplan L.J. (1992) “Perversioni femminili”. Cortina Editore, Milano.
Lanza L. (1994) “Gli omicidi in famiglia.” – Giuffrè Editore, Milano.
Lidz T. (1971) “La persona umana”. Astrolabio Editore, Roma.
Merzagora Betsos I (2003) “Demoni del focolare – Mogli e madri che uccidono”, Centro Scientifico Editore, Torino, 2003
Nivoli G., “Medea tra noi:le madri che uccidono il proprio figlio”, Carocci 2002.
Racamier P.C. (1985) “Di Psicoanalisi in psichiatria – Studi psicopatologici.” Loescher Editore Torino.
Società Italiana di Psichiatria 11.10.2001 “Documento approvato all’unanimità dal Comitato Esecutivo”
Watzlawick P. ed altri (1997) “Pragmatica della comunicazione umana.” Astrolabio Editore, Roma.
Profili di Sviluppo della Personalità oppositiva – antisociale
S. Ferracuti – Roma
Uno dei principali problemi legati delle indagini sulla devianza giovanile è legato alla necessità di riconoscere precocemente i soggetti che presentano un maggior rischio di evoluzione comportamentale in senso di una carriera criminale, rispetto ad una maggioranza di giovani che possono esprimere condotte tali da violare regole sociali, ma che, invece, non evolvono in una effettiva criminalità. E’ stato identificato un sottogruppo di minori con tratti di personalità caratterizzati da profonda mancanza di empatia, di sensi di colpa, disinteresse scolastico, freddezza emotiva, tendenza alla menzogna e incostanza nelle amicizie, associati a mancanza di sensi di colpa, irresponsabilità e ridotta gamma di manifestazioni emotive i quali tendono ad avere spesso un decorso prognosticamente negativo. Questo insieme di tratti di personalità è molto vicino al costrutto di psicopatia di Hare che caratterizza le personalità psicopatiche. Tuttavia è rilevante che la ricerca abbia anche evidenziato una maggior o minore espressione delle condotte antisociali a seconda dell’interazione che si sviluppa tra il minore e l’ambiente e le modalità di attaccamento. Ad esempio è probabile che un minore con una predisposizione temperamentale caratterizzata da basi livelli di inibizione possa sviluppare un sufficiente livello di empatia se i patter di accudimento sono adeguati o che, a seconda del temperamento dei minore, alcuni profili educativi risultino più efficaci di altri.
Il Ruolo degli antipsicotici nel trattamento delle psicosi correlate
Silvestro La Pia – Napoli
Il trattamento “evidence-based” della Schizofrenia ha ricevuto, negli ultimi anni, un sostanziale apporto dall’introduzione di linee-guida basate su rigorose analisi della letteratura, in particolare dei risultati dei trials clinici controllati (RCTs), e sull’opinione di esperti. La “Practice Guideline for the Treatment of Patients with Schizophrenia” dell’American Psychiatric Association (APA), di cui esiste un’edizione italiana, e la Consensus Conference della Società Italiana di Psicopatologia (SOPSI) ne sono alcuni esempi. Indiscutibilmente, questi strumenti hanno consentito di orientare le scelte terapeutiche e di adottare strategie di intervento aderenti alle norme di buona pratica clinica ed in linea con i risultati più convincenti della ricerca. Ciò nonostante, le evidenze scientifiche su cui si basano le attuali linee-guida non sono esenti da critiche. In primo luogo, molti dati riflettono esperienze cliniche distanti dal modello italiano, impostato sui Servizi Territoriali intorno ai quali, a partire dalla Legge di Riforma Psichiatrica, si è sviluppata l’esperienza psichiatrica nel nostro Paese. In secondo luogo, l’introduzione di nuovi farmaci ed il progressivo affermarsi di un orientamento centrato sui bisogni del paziente pongono il problema di implementare algoritmi che integrino risorse derivanti da interventi psicologici, riabilitativi e psicosociali con il trattamento farmacologico. Nella misura in cui, infine, ci si volesse concentrare prevalentemente, se non esclusivamente, sulla scelta farmacologica, si dovrebbe fare i conti con la nuova realtà costituita dalla coesistenza dei neurolettici tradizionali, che hanno avuto il merito storico di imporre il cambiamento nella immutabilità presunta della condizione psicotica, consentendo il “controllo” dei sintomi e favorendo, di conseguenza, i processi di de-istituzionalizzazione, con i nuovi antipsicotici, che hanno permesso di spostare l’attenzione del clinico su dimensioni, quali i sintomi negativi e cognitivi, ritenuti lo “zoccolo duro” della terapia della Schizofrenia. Questo confronto si traduce, nella pratica clinica, in problematiche del tutto nuove, quali il passaggio dalle terapie “classiche” alle nuove (“switch”), la scelta dell’antipsicotico all’interno di classi dotate di profili farmacodinamici diversi, il potenziamento dell’adesione del paziente, la definizione di livelli variabili di resistenza al trattamento e, non ultimo, la gestione dell’emergente collateralità dei nuovi farmaci. Scopo dell’intervento sarà, pertanto, quello di confrontare il mondo dell’ Evidence-Based Psychiatry con il “Real World” della Experience-Based Psichiatry, seguendo una modalità il più possibile interattiva, allo scopo di valorizzare la pratica clinica ed i problemi concreti connessi al trattamento dei pazienti schizofrenici nella realtà dei servizi territoriali. Affrontare gli interrogativi generati da queste problematiche, che costituisce la finalità di questo intervento, può contribuire ad avvicinare i processi medicina basata sull’evidenza alle concrete esigenze del lavoro clinico nei Servizi.
Psicobiografia di alcune madri figlicide
Vincenzo Mastronardi – Roma
L’Autore reduce dalle fasi conclusive della ricerca effettuata in collaborazione con il Direttore dell’Ospedale Psichiatrico Giudiziario di Castiglione delle Stiviere Dott. Antonino Calogero, sottoporrà all’uditorio alcuni vissuti e processi associativi mentali prodromi dell’atto delittuoso commesso da alcune madri figlicide recluse nel summenzionato OPG di Castiglione.
Dalle loro parole, e/o delle loro poesie, emerge tutto il dramma della propria psicopatologia e delle consequenziali distorsioni interpretative della realtà, responsabile del malsano gesto in condizioni di palese “infermità di mente”.
Molto importante compare anche la testimonianza di una madre in terapia che ha iniziato la sua escalation, maltrattando il figlio addirittura col ferro da stiro e tentando finanche di strangolarlo. La stessa si confesserà e racconterà il suo dramma all’uditorio, intervistata di spalle.
Figlicidio e abbandono dei neonati
Isabella Merzagora Betsos – Angelo de Micheli
La criminologia differenzia tra il neonaticidio, che ricorre nell’immediatezza della nascita; l’infanticidio, che è l’uccisione del bimbo entro l’anno di età; e il figlicidio o libericidio, quando la vittima ha più di un anno. La distinzione, soprattutto fra le prime due forme e la terza, è fatta in base a considerazioni di ordine statistico, socio-situazionale, motivazionale. Per cominciare, l’infanticidio e il neonaticidio ricorrono, per il nostro come per altri codici penali, solo qualora l’uccisione si dia immediatamente dopo la nascita, e possono trovare alla radice dinamiche particolari, ed è possibile osservare sentimenti di ostilità e di estraneità nella madre nei confronti del neonato, o che lo percepisce come parte del proprio corpo e quindi nella propria piena disponibilità.
Per il figlicidio materno, a parte i casi di Medea e Munchausen per procura su cui ci si diffonderà oltre, combinando quanto riferito da diversi Autori, si possono descrivere una serie di tipologie situazionali e motivazionali, in un continuum che va dall’assenza di patologia, via via verso la patologia più grave.
Oggigiorno si fa un gran parlare di abusi e addirittura di omicidi di bambini, ma la ragione di questa abbondanza di notizie è nella particolare attenzione che il fenomeno desta, non nella maggiore diffusione. In un’epoca come la nostra, in cui si ha una speciale considerazione per l’infanzia, noi percepiamo come particolarmente scandaloso e sconvolgente che si maltrattino o addirittura si uccidano i bambini, e tanto più se ad opera dei genitori, ma bisogna subito dire che anche nel passato i tempi per i fanciulli erano duri, e probabilmente ben più duri di quelli odierni.
L’infanticidio è stato per millenni il tradizionale mezzo di controllo demografico, talora effettuato con mezzi violenti o che non lasciavano possibilità di scampo, talaltra con mezzi più insidiosi: fra le “tradizionali” forme di infanticidio, neppure tanto mascherato, si collocava anche l’esposizione del neonato, cioè l’abbandono ad una sorte quantomeno densa di incognite; di questa forma abbastanza comune di disfarsi dell’infante, magari di imbarazzanti natali, si hanno esempi illustri, da Mosé ad Edipo, ma sicuramente a molti altri bambini non è andata così bene e non hanno avuto il tempo di passare alla storia (o alla mitologia). Quanto a Romolo e Remo, dovevano essere incappati in una lupa particolarmente disponibile, forse anoressica.
Parricidio, matricidio e genitoricidio in Italia
Paolo De Pasquali
Università La Sapienza di Roma, Cattedra di "Psicopatologia Forense"
In questo lavoro l’Autore, forte di una casistica italiana di oltre 150 casi di omicidi in famiglia compiuti da giovani a danno dei propri familiari, esamina gli aspetti psicopatologici e criminologici del fenomeno.
Il "parenticidio" compiuto dai figli viene innanzitutto suddiviso negli specifici sottogruppi: "parricidio" (omicidio del padre), "matricidio" (omicidio della madre), "genitoricidio" (omicidio della coppia genitoriale), "famiglicidio" (omicidio di tre o più familiari).
Attraverso l’analisi dei moventi che hanno portato al delitto, emergono otto tipologie di figli che uccidono i genitori, ciascuna con peculiari caratteristiche psicologiche, comportamentali e familiari:
1. I "Folli": maschi schizofrenici o depressi che commettono più frequentemente il matricidio. 2. I "Vendicatori": solitamente ragazze che commettono parricidio "per riscatto" da violenze psicofisiche continue. 3. I "Libertari": genitoricidi o famiglicidi che uccidono per liberarsi dal controllo familiare; comunemente si tratta di giovani figlie che uccidono in concorso col fidanzato. 4. Gli "Ereditieri": genitoricidi che hanno come fine il guadagno economico, i quali spesso uccidono coadiuvati da complici coetanei. 5. I "Litigiosi": ragazzi impulsivi di entrambi i sessi, il cui parenticidio consegue a conflitti continui ed incomprensioni (ad es. insofferenza per divieti). 6. I "Mentitori": maschi tardo-adolescenti il cui parricidio e/o matricidio è volto a coprire una grave bugia nel campo degli studi. 7. I "Pietosi", che uccidono per compassione o pietà un genitore affetto da un male incurabile, anche se questi non aveva chiesto l’eutanasia.
8. I "Mostri": giovani parenticidi (sovente coppie di fidanzati) apparentemente sani di mente, che sterminano la famiglia senza alcuna ragione.
Dopo aver analizzato gli aspetti statistici del fenomeno in Italia (che vede una maggiore frequenza di tali delitti al Nord, quindi al Sud ed infine al Centro), il lavoro si chiude con l’indicazione dei parametri predittivi di un comportamento omicidiario di un adolescente e con i possibili trattamenti da intraprendere prima dell’omicidio (prevenzione primaria e secondaria) o dopo il parenticidio (prevenzione terziaria).
Bibliografia consigliata:
De Pasquali Paolo: "Figli che uccidono. Da Doretta Graneris a Erika & Omar", Rubbettino, 2002
Datità e Verità nel Delirio
Carlo Pastore – Napoli
L’intervento tenterà di mostrare le differenze concettuali relative alle nozioni di “verità” e “datità”.
Si farà ricorso alla nozione di “codice sensoriale” entro cui verrà situato l’universo delirante. A partire da queste considerazioni ci si interrogherà intorno al senso dell’”intendere” e al senso del “volere”.
Famiglia di Tebe e Famiglia di Corinto
Romolo Rossi – Genova
Viene ricercata la patologia intrafamigliare seguendo un modello in parte psicoanalitico, tenendo presente l’esistenza, nell’immaginario famigliare, di due realtà fantastiche, come si trovano alla base dell’Edipo. Le famiglie immaginarie sono due, l’una, quella di Corinto, che a livello cosciente è quella reale mentre è in realtà adottiva, considerata famiglia ottimale, razionale e soddisfacente. L’altra, quella di Tebe, che è per Edipo la vera famiglia d’origine ma del tutto inconsapevole, sede e depositaria delle istanze incestuose e delle distruttività. Dall’equilibrarsi delle forze e controforze di queste due realtà nascono la nevrosi, le turbe fantastiche e le violenze, più o meno rimosse, negate e sublimate in famiglia e poi in generale nella vita. E’ compito del sé, in senso Kohutiano, di sistemare queste istanze e questi livelli. Un esempio in cui l’effetto ordinatore del narcisismo del sé, inteso come fattore strutturante, viene a mancare, si ritrova nei Sei personaggi in cerca d’autore di Pirandello, dove la mancanza del regista, o la sua inconsistenza, mette in atto questa pressione sfociando nella disperazione, nel comportamento criminoso e borderline e nel suicidio adolescenziale.
Abusi Sessuali nell’ambito familiare: una visione territoriale di casi psichiatrico-forensi
Manlio Russo – Napoli
Quale può essere oggi, alla luce dei recenti orientamenti giurisprudenziali, un rapporto utile e corretto tra lo psichiatra forense e lo psichiatra clinico (territoriale o ospedaliero)?
Per rispondere in maniera esauriente a questa domanda, bisogna tener conto del fatto che lo Psichiatra Forense dovrebbe possedere, oltre a quelle specifiche del settore, anche competenze di tipo clinico (quali sono le cure adeguate al caso in esame) e tecnico – organizzativo (quali sono le strutture nelle quali il soggetto va assistito).
In particolare, dal momento che spesso i periti consigliano l’affidamento dei pazienti da loro esaminati ai servizi territoriali di salute mentale, è necessario che essi conoscano le modalità operative e le concrete possibilità assistenziali di tali servizi.
E’ necessario pertanto intensificare la collaborazione, anche tramite appositi protocolli di intesa, tra enti giudiziari e penitenziari e le autorità sanitarie territoriali coinvolte nel trattamento di questi soggetti, vista la loro particolare condizione e la necessità per gli stessi di progetti riabilitativi personalizzati.
Restano, allo stato, ancora molte difficoltà nell’individuare strutture e/o modalità terapeutiche alternative all’O.P.G. (sono ancora da istituire, p.es., le comunità terapeutiche giudiziarie, sia perché non vi sono state riforme legislative, sia perché è sempre difficile affrontare con maggiore serenità tali problematiche).
D’altro canto, lo psichiatra clinico non può tenersi fuori dalle conoscenze giuridiche, in considerazione del fatto che il coinvolgimento dei servizi pubblici da parte degli enti giudiziari è sempre maggiore.
La necessità di integrare il lavoro dello psichiatra clinico con quello dello psichiatra forense è dunque indifferibile, poiché le innovazioni legislative impongono (e non solo per i casi di pericolosità sociale) un confronto bidirezionale tra le due figure professionali.
La presente relazione espone 3 casi giudiziari di abusi sessuali in famiglia, per i quali l’intervento o l’interesse dei servizi territoriali è stato assente o marginale.
In virtù di quanto affermato in premessa, si cercherà di mettere in luce le contraddizioni che si presentano in casi giudiziari che interessano prevalentemente o esclusivamente lo psichiatra forense, sottolineando ancor più la necessità di una corretta e proficua integrazione con gli specialisti dei servizi territoriali.
Arsenico, pallottole, lame taglienti ed un rivolo di sangue:
il cinema ed i delitti all’interno delle mura domestiche
Ignazio Senatore – Napoli
Cappelli calati sugli occhi, gocce di sudore che imperlano la fronte del protagonista, sigarette che sprigionano nuvole di fumo. Cinema fatto di fuoco, di ardore, di emozioni vive e pulsanti che non si spengono al minimo soffio di vento. Sberle prese in piena faccia, cadaveri sforacchiati dai proiettili, lame fiammeggianti che splendono nel buio delle notte; c’è tutto questo nei gialli, nei thriller, nei noir. Al di là della sua spettacolare carica drammaturgica il crimine, sin dal cinema degli albori, ha sedotto sempre milioni di spettatori. Qualche cineasta si è mostrato indulgente nei confronti di chi si è macchiato di delitti così feroci; altri, invece, hanno preso nettamente le distanze emotive da questi individui fortemente disturbati, privi di scrupoli e di umanità.
Tra gli delitti efferati avvenuti nel chiuso delle mura domestiche non mancano quelli ideati da mariti traditi, da mogli gelose, da madri ciniche e spietate, da figli accecati dalla vendetta, da bambini dallo sguardo angelico ma dal cuore impagliato, ruvido e di pietra.
Qualche regista sceglie il fuori campo e lascia allo spettatore la possibilità di immaginare con quale dinamica sia avvenuto l’omicidio; altri, prediligono un tocco più cruento e sanguinolento e filmano con dei primi piani alternati il volto allucinato del folle ed il corpo martoriato della povera vittima.
Dietro la porta chiusa di Fritz Lang, I pugni in tasca di Marco Bellocchio, Grazie zia di Salvatore Saperi, Bod boy bubby di Rolf de Heer, Il manuale del giovane avvelenatore di Benjamin Ross, Rischiose abitudini di Stephen Frears, Rosso d’autunno di Bruce Beresford, Luna rossa di Antonio Capuano sono solo alcune delle pellicole che ruotano intorno ad un delitto compiuto ai danni di un proprio caro. La relazione sarà accompagnata da un collage cinematografico della durata di circa dieci minuti.
Bibliografia
Ignazio Senatore: L’analista in celluloide – Franco Angeli (1994)
Ignazio Senatore: Curare con il cinema – Centro Scientifico Editore (2002)
Ignazio Senatore: Il cineforum del dottor Freud – Centro Scientifico Editore (2004)
Ignazio Senatore: Psycho cult – Centro Scientifico Editore (2006)
Delitti in famiglia, esecuzione della pena e concessione dei benefici penitenziari
Natale Fusaro – Roma
Il contributo nasce dall’analisi della Sentenza n. 18486 del 25 maggio 2006 con la quale la Prima Sezione Penale della Suprema Corte di Cassazione ha respinto l’istanza presentata dai legali di Erika De Nardo, finalizzata a richiedere la libertà condizionale con inserimento in una struttura terapeutica.
Nella sentenza è stato stabilito che Erika deve rimanere in carcere in quanto non si è ravveduta per il “vissuto criminale” di “gravissima entità” del quale si è resa colpevole.
La Cassazione ha condiviso in tal modo la decisione che al riguardo era stata già assunta dal Tribunale per i Minorenni di Milano in data 27 maggio 2005, che aveva giudicato persistenti, in Erika, carenze riguardo al requisito del sicuro ravvedimento inteso come conclusione del processo di adattamento sociale giustificativo di una prognosi negativa circa la futura recidività.
In sintesi i giudici dell’alta Corte hanno ritenuto che la liberazione condizionale è vista da Erika solo come uno strumento per evitare il carcere per adulti, e per poi, attraverso il beneficio, avvicinarsi a quel traguardo di emenda tuttora ben lungi dall’essere raggiunto.
Proprio con riferimento alla liberazione condizionale, la Suprema corte ha sottolineato che “le caratteristiche dell’istituto in esame non possono essere piegate alle contingenti esigenze del soggetto condannato, allorché (come nella specie) questo non appaia meritevole del medesimo”.
In altre parole, la Suprema Corte ha accolto in pieno la teoria dei giudici del grado precedente che avevano rilevato la mancanza del «requisito del sicuro ravvedimento inteso come conclusione del processo di riadattamento sociale, giustificativo di una prognosi negativa circa la futura recidività».
Ai fini della mancata concessione della liberazione condizionale di Erika, vi è stata anche la negativa valutazione delle relazioni degli operatori penitenziari che avevano espresso parere positivo circa il collocamento della ragazza in una comunità terapeutica pur rilevando «l’oscillazione continua del suo comportamento, migliorato ma ancora lontano dalla adesione consapevole e non solo opportunistica alle regole imposte».
In conclusione, la Cassazione ha ribadito la necessità del carcere per Erika anche in relazione al fatto che dalla relazione psicologica «la De Nardo mostrava apertura di consapevolezza, ma la loro intermittenza e la mancanza di un effettivo senso di colpa esigevano ancora un trattamento lungo e tutt’altro che scontato negli esiti, per la presenza di un marcato assetto di natura schizoide, che scinde costantemente i fattori affettivi da quelli cognitivi, non permettendone l’armonizzazione».
Un percorso terapeutico, dunque, più che mai necessario allo «scopo di ottenere la completa rielaborazione del vissuto criminale e l’acquisizione del senso di colpa, che l’ordinanza impugnata indica come tutt’ora carenti».
La difesa della De Nardo ha rivendicato il fatto che la posizione del senso di colpa per i terribili delitti avrebbe potuto essere completamente rielaborato solo con l’inserimento in una struttura terapeutica alternativa al carcere.
Da qui la necessità di individuare allora strumenti e percorsi diversi finalizzati da un lato a tutelare le esigenze del condannato e dall’altro le istanze di certezza della pena provenienti dalla società.
A tal riguardo, vanno sottolineate le polemiche seguite all’indomani del permesso concesso ad Erika per partecipare ad una partita di pallavolo, interpretato come una sorta di resa della giustizia e come una rinuncia alla sua potestà punitiva.
Oltre a tali polemiche, deve tenersi conto anche dell’assalto mediatico relativo alla prima ora di “libertà” di Erika ed al conseguente senso di disorientamento per l’opinione pubblica, che chiamata a pronunciarsi via internet con un sondaggio proposto da un quotidiano nazionale, si è dichiarata contraria al 90% alla concessione di qualunque beneficio in favore di Erika.
Alla luce di quanto sopra, si cercherà di svolgere una disamina della situazione cercando di proporre delle soluzioni scientificamente e giuridicamente orientate.
Il vaso delle Danaidi. Analisi dell’Uxoricidio
Simonetta Costanzo – Roma
Per uxoricidio si intende l’uccisione del proprio coniuge.
E’ un atto quasi sempre commesso da parte dell’uomo contro la donna, anche se non sono rari i casi contrari.
La motivazione che spinge un soggetto a sopprimere il proprio partner è da ricercarsi quasi sempre nella gelosia, e, cioè, in quel particolare stato emotivo che si fonda sulla paura di perdere la persona amata, proprio in quanto quest’ultima manifesta interesse o affetto verso un’altra persona.
La gelosia può presentarsi come proiettiva, competitiva oppure come un vero e proprio delirio di gelosia.
La struttura della personalità, quando non è danneggiata dalla psicosi – spesso di tipo persecutorio o bipolare con possibile delirio erotico – e dall’alcolismo, appare segnata dal disturbo dipendente di personalità che pervade tutta la psiche.
In questo quadro, il rifiuto definitivo del partner mette in moto dei sentimenti legati strettamente ad angosce di separazione e di morte.
Il lutto non viene elaborato sul piano simbolico, ed il sacrificio di una parte di sé, proiettata sull’altro (oggetto primario d’amore), diventa impossibile.
Il soggetto non si separa, ne’ si può separare, non arriva a farlo, dal suo oggetto d’amore e perciò lo distrugge, legandosi in tal modo, indissolubilmente, ad esso, e per sempre.
L’agito, in questo caso, permette al soggetto di superare l’angoscia e la frustrazione attraverso il trionfo sull’altro, che nell’annullamento viene introiettato.
La vittima, dalle statistiche quasi sempre di sesso femminile, come Desdemona nel dramma di Shakespeare, sembra presentarsi come una donna molto ingenua, la quale non sembra rendersi conto di quanto stia accadendo nell’animo del marito. Ella non si accorge che lui è geloso, anzi spesso ritiene che la gelosia sia il segno di un grande amore.
I rari casi di uxoricidio al femminile vengono agiti dalla donna per salvare se stessa ed i figli dalla violenza del partner, oppure per accaparrarsi l’eredità.
La tragedia delle Danaidi, presenta cinquanta fanciulle battagliere ed ostili agli uomini che uccisero il loro sposo durante la notte nuziale, per ordine del loro padre.
Furono condannate a riempire in eterno un vaso mancante del fondo.
Il vaso delle Danaidi, dunque, interpretato come la metafora di un femminile che può contenere solo il nulla.
L’EVENTO E’ IN CORSO DI ACCREDITAMENTO ECM
La partecipazione all’evento formativo, per coloro che non fanno richiesta di Crediti Formativi ECM ed intendono partecipare come uditori, è GRATUITA, ma non potranno ricevere alcun Attestato di Partecipazione.
Non è necessaria alcuna procedura di iscrizione, e basta presentarsi, muniti di valido documento di riconoscimento, presso la sede del Convegno (Ospedale Psichiatrico Giudiziario "Filippo Saporito", Via S. Francesco 2, Aversa – CE), nei giorni dell’evento.
Per coloro che richiedono Crediti Formativi ECM o attestato di partecipazione, il costo per l’intero evento formativo è di € 160 + IVA
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